Faith Ringgold, il potere dell’arte nell’attivismo, di Livia Capasso

Il 13 aprile 2024, all’età di novantatré anni, a Englewood nel New Jersey, è venuta a mancare la pittrice, artista tessile, performer e scrittrice americana Faith Ringgold. Per tutta la sua vita è stata una voce contro l’ingiustizia razziale, a favore dei diritti civili e dell’emancipazione femminile, e ha usato la sua abilità artistica per sensibilizzare l’opinione pubblica e comunicare le sue idee politiche. Figura di spicco nel Movimento delle Arti Nere, e prima donna nera a esporre da sola alla Spectrum Gallery di New York, nel 1967 e poi nel 1970, frequentò per anni gli artisti più in voga del cosiddetto Rinascimento di Harlem, un movimento culturale che ha animato la produzione artistica afroamericana tra le due guerre mondiali.
Nata Faith Willi Jones l’8 ottobre 1930, fu stimolata nella sua creatività dalla famiglia (sua madre era una sarta, suo padre uno scrittore di talento) e influenzata dalla poesia e dalla musica nell’infanzia trascorsa nel quartiere di Harlem a New York City. Duke Ellington, Billie Holiday, Louis Armstrong, Ella Fitzgerald, Count Basie, molti di questi musicisti vivevano ad Harlem e frequentavano la sua casa.
Da bambina soffriva di asma, quindi trascorreva gran parte del suo tempo in casa con la nonna e la madre che le insegnarono a cucire e usare i tessuti in modo creativo. Frequentò il City College di New York, dove conseguì una laurea in Educazione artistica nel 1955 e un master in Belle Arti nel 1959. Dopo la laurea, iniziò a dipingere; i suoi primi lavori presentano forme e figure piatte e si ispirano nello stile al cubismo, all’impressionismo e all’arte africana. Nel 1950 aveva sposato un pianista jazz, Robert Earl Wallace; dal matrimonio nacquero due figlie, Michele e Barbara. Si separarono quattro anni dopo a causa della dipendenza di Robert dall’eroina. Dopo il master e il divorzio intraprese un viaggio di formazione in Europa, a Parigi, Firenze e Roma. Nel 1962 sposò Burdette Ringgold, di cui ha conservato il cognome, e andò a vivere con lui in un ranch nel New Jersey. Intanto il suo lavoro cominciava a riflettere la sua crescente coscienza politica.
In un gruppo di dipinti di figure dei primi anni Sessanta, Early Works, spicca un autoritratto, tipico dello stile iniziale di Ringgold, dalla tecnica piatta e dai contorni netti. L’artista si raffigura con le braccia conserte e uno sguardo fermo. All’espressione fredda dei cinque uomini bianchi che fissano lo spettatore, in Early Works #15: They Speak No Evil, contrappone il sorriso degli afroamericani in Early Works #20: Black and Blue Man.


Durante gli anni Sessanta iniziò anche a creare la sua prima serie di dipinti politici, American People Series, che racconta il movimento per i diritti civili da una prospettiva femminile. L’artista descrive il volto sgradevole dei vicini in American People Series #3: Neighbors, o, al contrario, quello dolce di un uomo ben vestito, American People Series #6: Mr. Charlie. In American People Series #17: The Artist and His Model, sottolinea il disinteresse di alcuni artisti neri per l’impegno politico e sociale, scioccamente soddisfatti di poter finalmente dipingere donne bianche. Uno dei più noti e forse più inquietanti dipinti della serie è American People #20: Die, del 1967, un’audace rappresentazione delle rivolte razziali contemporanee. Ispirato a Guernica di Picasso, il dipinto presenta un groviglio di corpi bianchi e neri, uomini, donne e bambini, feriti e coperti di sangue, che combattono, fuggono spaventati o muoiono su uno sfondo grigio astratto.


Così Faith Ringgold chiariva la genesi del dipinto: «All’epoca, le strade erano piene di scontri, rivolte spontanee, omicidi non documentati di afro-americani e tanto razzismo. Tutti lo sapevano. Tutti ne parlavano, ma nessuno ne avrebbe mai sentito parlare in televisione. In quanto artista, donna e afro-americana, mi chiedevo come avrei potuto documentare quello che stava succedendo attorno a me».
Per Ringgold arte e attivismo erano un tutt’uno senza possibilità di scissione, motivo per cui spesso si unì a proteste per sostenere l’inclusione di opere di neri e di donne nelle collezioni dei principali musei americani, da cui venivano generalmente escluse. Per questo fu anche arrestata il 13 novembre 1970. Ha partecipato e fondato gruppi come Women Artists in Revolution (WAR), Women Students and Artists for Black Art Liberation, la National Black Feminist Organization e il collettivo “Where We At” Black Women Artists.
Dal 1967 al 1969 la serie Black Light racconta i volti della comunità nera utilizzando una tavolozza scura. Con l’intenzione di creare una “estetica nera più affermativa”, Ringgold si ispirò alle culture africane che tendono a usare colori più scuri. In Black Light Series #7: Ego Painting, del 1969, ripete quattro volte fra le parole “Black” e “America” la sua firma, per affermare sé stessa e contestare quanto le dicevano i colleghi che apporre la firma sull’opera fosse antiquato ed egocentrico.

Nel 1972 Ringgold ricevette l’incarico di completare un murale, For the Women’s House, dedicato alle donne incarcerate nel Correctional Institution for Women di Rikers Island, New York City. La composizione raffigura donne in varie professioni come alternativa positiva alla reclusione.

All’inizio degli anni Settanta iniziò a sperimentare nuovi mezzi, in particolare il tessuto, che per lei significava liberarsi dalla tradizione artistica europea e occidentale della pittura. Visitando un museo di Amsterdam era rimasta colpita dai tanka tibetani, tessuti dipinti della cultura buddista che possono essere arrotolati quando non ne è richiesta l’esposizione, detti anche “dipinti su rotolo”. «Alla fine degli Anni Sessanta avevo realizzato dipinti monumentali, difficili da spostare, spedire e incorniciare. Quando ho visto per la prima volta i tanka in un museo di Amsterdam ho avuto un’illuminazione: ho capito di aver trovato finalmente la soluzione perfetta. Una vera svolta». Quando tornò a New York, iniziò a dipingere su tele con bordi in tessuto morbido, a creare sculture morbide, bambole di stoffa e maschere. Le bambole hanno teste realizzate con zucche o gusci di cocco dipinti e sono vestite con costumi realizzati in collaborazione con sua madre. Le “maschere ritratto” raffigurano a grandezza naturale personaggi come Martin Luther King Jr. o sconosciuti abitanti del quartiere di Harlem.

Le sue story quilt sono trapunte che raccontano una storia, realizzate attraverso la tecnica del patchwork, unendo cioè diversi pezzi di stoffa per creare un disegno. Le immagini e le storie originali sono ambientate nel contesto della tradizione narrativa afroamericana che trae origine dalla schiavitù. La prima serie di quilt di Faith Ringgold fu The Slave Rape Series, che raccontava le esperienze di una donna africana catturata e venduta come schiava.

La serie Woman on a bridge segna il passaggio da una politica attivista e conflittuale ad un modello di vita positivo per la gioventù afroamericana per la quale la donna assume il ruolo guida. Il quilt più famoso della serie è Tar Beach, letteralmente “spiaggia di cemento”, completato nel 1988. Il termine fa riferimento alla terrazza di un tetto condominiale, dove le famiglie si riunivano nelle sere d’estate per sfuggire al caldo opprimente degli angusti appartamenti. Qui Faith rivive la sua infanzia, tra sogno e realtà. L’opera ha ispirato il libro Tar Beach, che racconta di Cassie Louise, della sua famiglia e dei vicini: Cassie prende il volo sopra la città, mentre la sua famiglia e i suoi vicini mangiano e giocano a carte sul tetto della loro abitazione. Le donne in questa serie di opere d’arte sono volanti, cioè semplicemente, totalmente libere.


La serie di quilt intitolata The French Collection (1991-97) racconta con parole e immagini le avventure romantiche di una giovane artista nera nella Parigi degli anni Venti. Faith Ringgold evoca una moltitudine di personaggi, da Gertrude Stein a Josephine Baker, Rosa Parks, Elizabeth Cattlet, Malcolm X o Pablo Picasso insieme a una modella nera che posa per Les Demoiselles d’Avignon.




La serie American Collection comprende 11 quilt di storie che ricontestualizzano simboli come la bandiera americana o artiste musicali come Josephine Baker e Bessie Smith.


Molti di questi quilt, come The Sunflower Quilting Bee at Arles, sono dedicati a donne afroamericane storiche che hanno cambiato il mondo.

Nel 1987 Ringgold iniziò la carriera di insegnante presso il Dipartimento di Arti Visive dell’Università della California, San Diego, dove continuò a insegnare fino al 2002, anno in cui andò in pensione. Nel 1988 fu tra le fondatrici di Coast-to-Coast, organizzazione che espose le opere di donne afroamericane negli Stati Uniti. Nella sua autobiografia, We Flew Over the Bridg, ha raccontato gli eventi della sua vita, e le sue conquiste come artista. Negli anni Novanta ha dato sempre più importanza alla scrittura, pubblicando numerosi libri per bambini e ha eseguito molte performance, un altro modo di raccontare la sua storia.