Tattoografia, di Omar Fassio, Golem edizioni 2024, recensione di Daniela Domenici

È un saggio breve ma intenso che ha come sottotitolo “analisi di un tatuaggio”, che ho letto in un soffio e che mi ha colpito per vari motivi.
Innanzitutto perché l’autore del libro è uno psicologo e psicoterapeuta che ha scelto di dedicare la sua attenzione a questa forma d’arte perché “l’accusa, avanzata fino a qualche decennio fa, di essere un sintomo di inquietudine, disagio o autolesionismo è una lettura antiquata e superficiale” e quindi Fassio li analizza “facendo emergere motivazioni, emozioni e desideri di chi li indossa” perché “i tatuaggi stanno al corpo come i sogni alla mente”.
Per questa sua analisi si è avvalso del racconto di un tatuatore, di alcune persone tatuate e di una fotografa, la sua squadra di lavoro; Fassio inizia la sua disamina con una breve storia dei tatuaggi che afferma siano iniziati nel periodo che risale al passaggio dalla preistoria alla storia con il ritrovamento del corpo di Oetzi. Molto interessante il capitolo “il tatuaggio e la psicologia” di cui vorrei estrapolare l’incipit “la pelle è il primo noi che ci delimita, che ci contiene e ci protegge…è il più esteso organo del nostro corpo. Il modo stesso in cui si modella sulle ossa e sui muscoli permette agli altri di farsi una prima impressione sul chi siamo. E possiamo calzare la nostra pelle con indifferenza, con gioia o con vergogna, la possiamo amare o odiare, la laviamo o sporchiamo, la curiamo o maltrattiamo. La si può ornare con bracciali e pensagli, o trafiggere, incidere e mutilare, la si può truccare superficialmente o, con i tatuaggi, annegare nell’inchiostro”. Momento conclusivo di profonda commozione la nota dell’editrice che non vi anticipo ma che è magicamente perfetta per concludere questo saggio: complimenti!
PS: sono la madre orgogliosa di un tatuatore.