Katalin Karikò, la ragazza che voleva vedere cosa c’è dentro, di Maria Grazia Vitale

Katalin Karikó, la ragazza che voleva vedere cosa c’è dentro
Dal momento dell’esplosione della terribile pandemia di Covid-19 è passato meno di un anno, fino alla fine del 2020, perché la più massiccia campagna di vaccinazione della storia potesse avere inizio. Il Covid ha lasciato dietro di sé molte vittime, non solo fra i più anziani e le più anziane, oltre a profonde ferite nell’anima, soprattutto fra le persone più giovani. Ma fortunatamente il vaccino ha funzionato: il sistema immunitario della nostra specie ha imparato a combattere il virus e la terribile peste del secondo millennio si è arrestata. Nel 2023 eravamo appena usciti dalla pandemia e il Premio Nobel per la medicina e la fisiologia è stato assegnato a una biochimica, Katalin Karikó, e a un medico, Drew Weissman, «per le loro scoperte riguardanti le modifiche delle basi nucleosidiche che hanno consentito lo sviluppo di vaccini mRNA efficaci contro il Covid-19».

Katalin Karikó, nata a Szolnok, in Ungheria, in una famiglia di mezzi modesti (suo padre era un macellaio e sua madre una contabile) e fin dagli anni della scuola elementare, aveva mostrato la sua attitudine nelle scienze. Suo padre le raccontava che da piccola, quando lui apriva un maiale, lei voleva vedere cosa c’era dentro, mentre la sua sorellina scappava via spaventata.
Ricorda anche con gratitudine il suo insegnante di scienze alle elementari: «Andavamo fuori in autunno e lui raccoglieva le foglie e diceva: “Oh, è giallo. È il giallo che è diventato perché prima era verde, o forse il giallo era dietro il verde e il verde è scomparso?” Ci ha fatto pensare: “Hm, o le foglie rosse, da dove viene il rosso?”».
Si laureò in biologia nel 1978 all’Università di Szeged, e nella stessa università nel 1982 ottenne il dottorato in biochimica. Successivamente continuò le sue ricerche presso il centro di ricerca biologica (Brc) dell’Ungheria, dove collaborava con Jenő Tomasz. Nel 1985, però, perse il lavoro per le difficoltà finanziarie del suo laboratorio al Brc e dovette prendere la decisione di trasferirsi all’estero. Così, ricevuta l’offerta per una ricerca dalla Temple University, lasciò l’Ungheria per stabilirsi negli Stati Uniti con suo marito, l’ingegnere Béla Francia e la loro figlia Susan, che allora aveva due anni. Erano ancora i tempi della cortina di ferro e si trattò di una vera e propria “fuga”, con le 900 sterline ricavate dalla vendita della loro auto nascoste nell’orsacchiotto di peluche della bambina.

In America, dopo il post-dottorato presso la Temple University di Philadelphia, dove aveva ottenuto una borsa di studio, Karikó, partecipò a una sperimentazione clinica su pazienti affetti da Aids, malattie del sangue e sindrome da stanchezza cronica, trattati con RNA a doppio filamento. Si trattava di una ricerca all’avanguardia, perché non si era ancora capito il modo in cui il dsRNA induceva la produzione dell’interferone da parte delle cellule, anche se ne avevano le prove dell’effetto antitumorale.
All’inizio degli anni ’90, Katalin cominciò a interessarsi alla terapia genica basata sull’mRNA (RNA messaggero), ma ebbe enormi difficoltà a ottenere i necessari finanziamenti. Lei era incapace «di navigare tra gli scogli della politica universitaria», racconta il neurochirurgo David Langer, al punto che la sua carriera ne fu pesantemente danneggiata. Nel 1995 fu vittima di un demansionamento, quando “disubbidì” ai suoi superiori che le chiedevano di dedicarsi ad altro, mentre lei ostinatamente continuava i suoi studi sull’mRNA.
Le cose cambiarono quando nel 1998 nella sua Università arrivò un giovane studioso impegnato nello studio dei vaccini, l’immunologo Drew Weissman. Si incontrarono casualmente davanti a una fotocopiatrice dell’Università e cominciarono a “raccontarsi” le rispettive ricerche. Drew stava lavorando a un vaccino contro l’Aids e capì che l’mRNA poteva aprire nuove prospettive in questo campo. Katalin e Drew si resero subito conto di avere competenze davvero complementari. «È un medico, quindi quando abbiamo esaminato alcuni dati, stava pensando a qualcosa di correlato alla malattia, e io stavo pensando di più alla scienza di base perché sono una biochimica. Ci siamo istruiti a vicenda. Ho imparato da lui la vaccinologia immunologica moderna, e lui ha imparato la parte sull’RNA», ricorda Katalin in un’intervista dopo il Nobel, «potresti avere un grande team per studiare un fenomeno da molte direzioni diverse, un grande team può farlo. Oppure ci sono due persone che sono in campi diversi, si capiscono, si rispettano e si istruiscono e poi escogitano qualcosa». Insieme pubblicarono una serie di articoli in cui mostravano come poteva essere superato il problema della scarsa efficacia terapeutica dell’mRNA, a causa della sua immunogenicità, cioè della capacità che manifestava di stimolare il sistema immunitario. Si trattava di operare delle modifiche chimiche sui nucleosidi. Successivamente cercarono di capire quale fosse il modo giusto di somministrarlo e compresero che potevano essere utilizzate le nanoparticelle lipidiche, che agivano come un adiuvante, aumentando la risposta immunitaria a un vaccino.
Nonostante questi risultati, i finanziamenti pubblici per continuare le ricerche non arrivavano o erano troppo esigui. Così Karikò e Weissman decisero di fondare la start-up RNARx e brevettarono la tecnica di modifica del mRNA. Cercarono aiuto da diverse case farmaceutiche e lo ottennero da due aziende impegnate nel campo delle biotecnologie: Moderna (il cui nome deriva proprio da modified RNA) negli USA e BioNTech in Germania. Quest’ultima azienda fece poi un accordo con Pfizer per finanziare le ricerche.
Nel 2013 Karikò accettò il ruolo di vicepresidente della BioNTech RNA Pharmaceuticals, senza peraltro rinunciare alla sua cattedra universitaria. Alla BioNTech era responsabile del programma di sostituzione delle proteine: cercava di modificare l’mRNA per il trattamento del cancro, per la sua capacità di “insegnare” alle cellule immunitarie a eliminare i tumori metastatici.
Alla fine degli anni Dieci di questo secolo si era ormai compreso che questa tecnologia avrebbe permesso di “costruire” dei vaccini molto migliori di quelli convenzionali. Gli studi sugli animali avevano già dimostrato la grande efficacia dei vaccini basati su mRNA per il virus Zika, ma anche per l’influenza, l’Hiv, l’herpes simplex.
Quando, alla fine del 2019, scoppiò la pandemia, il nuovo vaccino antinfluenzale era in dirittura d’arrivo. Dopo due anni di lavoro, stava per cominciare la sperimentazione umana. La tecnologia necessaria per il vaccino anti Covid era la stessa: si trattava “solo” di applicarla a un virus diverso. Non c’era tempo da perdere, ma tutto quel lavoro lo avrebbe reso possibile molto più velocemente, perché era da lì che si sarebbe potuto ripartire. Cominciò una corsa eroica contro il tempo, ma stavolta, sotto la spinta della drammatica emergenza della pandemia, arrivarono tutte le risorse che servivano e il risultato sperato giunse in tempo da record.
Il vaccino fu pronto molto più velocemente di quanto si sarebbe potuto immaginare, dimostrando un’efficacia superiore al 90% e salvando probabilmente milioni di vite umane.
Alla domanda «Che effetto le fa sapere che la sua ricerca ha salvato milioni di vite?», Katalin risponde: «Devo dire che io stessa non ho mai avuto la sensazione di averlo fatto. Mi sono affidata al lavoro di molte altre persone, ho fatto ricerca per 20, 30 anni. Ho imparato leggendo articoli di persone che non sono più con noi e ho imparato da questo. Ho avuto colleghi e così tante, tante persone che hanno contribuito… È così che mi sento, e devo dire che sono stata fortunata». Ma l’mRNA, con la sua capacità di “insegnare” alle cellule immunitarie a riconoscere e distruggere il bersaglio voluto, ha già adesso o potrà avere in futuro altre moltissime applicazioni nel trattamento di molte malattie, come il cancro, le malattie cardiovascolari e metaboliche, inclusa l’ischemia cerebrale, oltre alle malattie autoimmuni come la sclerosi multipla.
Per le sue ricerche sull’mRNA, Hatalin Karikò, insieme a Drew Weissman, ha ricevuto il premio Nobel nel 2023.

Ha dichiarato che spenderà i soldi del premio nel campo dell’istruzione, per aiutare giovani studenti con difficoltà economiche. Lei stessa si era trovata nella stessa situazione da bambina e solo usufruendo di borse di studio aveva potuto frequentare le scuole fino all’università, la prima nella sua famiglia.
Oltre al Nobel, Karikó ha ricevuto più di 130 premi e riconoscimenti internazionali per il suo lavoro pionieristico e di importanza mondiale nel campo della biochimica. Inoltre, nel 2023, è stata inserita nella National inventors hall of fame e nel 2024 è stata nominata dal «Time» tra le 100 persone influenti nel campo della salute. Nel 2024, è stata inclusa nella lista delle 100 donne della BBC.