Ida Rentoul Outhwaite, la promessa di vita del femminile, di Laura Coci

Quattro koala (marsupiali arrampicatori australiani) siedono a una tavola imbandita, in un interno: indossano giacche di frac, elegantissime; due fumano sigari, levando volute di fumo, altri due accostano calici di champagne (una bottiglia fa bella mostra di sé in un secchiello con ghiaccio sul pavimento, una seconda è stappata in primo piano, un’altra portata con sollecitudine). Non mostrano, i koala, lo sguardo tenero che li ha resi popolari tra i peluche cari all’infanzia, ma ostentano espressioni arroganti e pose scomposte. Due fate (sì, sono inequivocabilmente fate) dalle minuscole ali scolorite di farfalla o libellula, gli occhi rassegnati e tristi, servono loro bicchierini di liquore e caffè in un bricco d’argento; intorno, piccole creature bambine (elfi, probabilmente) intrattengono i commensali suonando e cantando, stappano o portano (appunto) bottiglie, si affaccendano con dolci e piattini.

È un acquerello di Ida Rentoul Outhwaite tratto dal libro Elves & Fairies (Elfi e Fate), che nel 1916 ne consacra la fama. Non c’è dubbio che i koala rappresentino il tipo del maschio anglo-australiano della classe medio alta dell’epoca, servito e riverito dalle donne e dai bimbi e bimbe di casa: ed ecco che un’illustrazione di un innocente libro per l’infanzia del primo Novecento assume il carattere di una dichiarazione di suffragismo, di sommessa ma chiarissima ribellione all’ordine maschile costituito.
Ma ora un secondo acquerello, di segno opposto, dal medesimo volume. Una bimba — quattro, forse cinque anni — dorme serena tra erba e fiori, in primo piano; accanto a lei tre fate giovanissime dalle sontuose, variopinte ali di farfalla (le sviluppano, senza dubbio, le giovani donne in libertà): una invita al silenzio, due allontanano dalle labbra i flauti con cui hanno cullato la piccola verso il sonno. Sullo sfondo, al centro, sorge la luna piena, due folletti compresi nel proprio ruolo fanno la guardia reggendo fucili giocattolo, tre leprotti ritti sulle zampe anteriori guardano partecipi. È la promessa di vita del femminile, quasi una rete di protezione delle fate nei confronti della bimba che si è affidata a loro, che crede in loro, affinché custodisca in sé la bellezza, la comunione con la natura, la libertà, quando diventerà donna, e le sue ali possano crescere grandi e coloratissime, senza avvizzire nel servaggio inflitto al proprio genere.

Quando pubblica Elves & Fairies, Ida ha ventotto anni. È nata il 9 giugno 1888 a Carlton, Melbourne; suo padre, John Laurence Rentoul (irlandese) è emigrato in Australia qualche anno prima con la moglie Annie Isobel Rattray (inglese): lui diviene moderatore generale della Chiesa presbiteriana, docente di teologia e sostenitore dei diritti dei nativi australiani (in aperta controtendenza rispetto al diffuso razzismo dei colonizzatori verso gli aborigeni), lei è un’eccellente acquarellista. Il primogenito e la secondogenita della coppia muoiono entrambi in tenera età; la terza nata, il 22 settembre 1882, è Annie Rattray, la maggiore dei quattro figli e figlie sopravvissuti; Ida Sherbourne è la terza. Le due sorelle saranno legate affettivamente e professionalmente per tutta la vita.
«Minuta, estrosa e vivace» come i personaggi che popolano le sue illustrazioni, Ida vive con la famiglia a Ormond College, presso la Melbourne University, e frequenta il Collegio presbiteriano femminile, ma, come lei stessa dirà, preferisce trascorrere il proprio tempo a scrutare nell’erba, osservando «le piccole cose che vi crescevano e vi si muovevano, per tentare poi di riprodurle» sulla carta. Le cronache di famiglia narrano che già a due anni disegnasse uccelli, animali giocattolo e bambole: un amore che non si esaurisce, poiché da studente, pur eccellendo nelle lingue, affronta la monotonia delle lezioni istoriando i margini dei testi scolastici con illustrazioni dei soggetti più cari, senza peraltro essere mai sorpresa dagli insegnanti, tiene a precisare. «Fu quando avevo undici anni — racconta — che qualcuno mi regalò una boccetta di Indian Ink (tipo di inchiostro nero) e qualche pennino Gillot e io scoprii il piacere di lavorare in bianco e nero, che è sempre stato e sempre sarà il mio mezzo espressivo preferito», per quanto Ida dimostri notevole talento anche nell’acquerello. Il padre (anche in questo caso in netta controtendenza rispetto alla società del proprio tempo) la incoraggia, perché «molte giovani di talento vedono le proprie competenze e aspirazioni diminuite e delegittimate da parte di genitori e amici ottusi e superficiali»: entrambe le figlie, dunque, ricevono «ogni sostegno e apprezzamento», oltre ad avere la possibilità di trascorrere le vacanze immerse nella «magia della maestosa bellezza» del paesaggio australiano, dalle Macedon Ranges (catene montuose, qui si trova Hanging Rock) alla Victorian Coast (costa dell’oceano meridionale).

E in effetti, se la passione per le fiabe nasce nella piccola Ida grazie alla lettura di Hans Christian Andersen, «è stato nel bush che ho davvero incontrato le fate», afferma. Il vocabolo bush è difficilmente traducibile in lingua italiana con una sola parola: è la boscaglia che si estende selvaggia nel paesaggio naturale australiano e che funge da scenario, talvolta da protagonista, nelle illustrazioni di Ida Rentoul, abitato da alberi di eucalipto e piante di tè, uccelli lira e kookaburra, e, naturalmente, canguri e koala.

Data all’adolescenza il sodalizio con la sorella maggiore Annie (che consegue poi la laurea in lettere presso l’Università di Melbourne nel 1905), autrice di testi in prosa e poesia che Ida illustra con sensibile originalità: la prima prova congiunta è il volumetto Mollie’s bunyip, del 1904: le due giovani hanno rispettivamente ventidue e sedici anni (e il bunyip è una creatura lacustre della mitologia aborigena). È questo il primo titolo della bibliografia redatta da Robert Holden (autore del saggio dedicato all’illustratrice, Revel in fantasies and imagination [Giocando con fantasia e immaginazione], del 2011) che conta sessantadue tra prime edizioni e ristampe, comprese tra il 1904 e il 1945. Il 9 dicembre 1909, in seguito al matrimonio con Arthur Grembly Outhwaite, Ida Rentoul diviene Ida Rentoul Outhwaite, mantenendo comunque come primo il cognome paterno al quale giustappone quello del marito; si trasferisce a Melbourne, in una casa con un padiglione-studio tutto per lei, nel giardino, tra piante e fiori. La nascita di due figli (nel 1910 e nel 1919) e di due figlie (nel 1911 e nel 1914) rallenta il ritmo della sua produzione, che riprende però negli anni Venti, quando l’artista compie un viaggio in Europa ove espone con grande successo le proprie opere, a Parigi e a Londra, sempre supportata dal coniuge, cosa bella e rara per quel tempo (e non solo).
Poi, il declino: non solo perché il gusto cambia, e Ida si esprime ancora secondo i canoni dell’Art Nouveau del primo Novecento, ma anche perché, a causa della Seconda guerra mondiale, «le fate sono fuggite, atterrite dalla bomba»; nella guerra Ida, già vedova dal 1938, perde entrambi i figli maschi, Robert nel 1941 e William nel 1945, caduti in azione. Trascorre gli ultimi anni di vita con la sorella Annie e muore, quasi dimenticata, il 25 giugno 1960.

È cosa ardua privilegiare alcune poche opere nell’ampia produzione editoriale di Rentoul Outhwaite (attiva anche nella realizzazione di cartoline augurali e opuscoli pubblicitari, al pari di altre artiste del tempo), che collabora non solo con la sorella, ma anche con il marito, pure autore dei testi redatti a corredo delle tavole, tanta è la fama di lei. Due sontuosi volumi si segnalano forse tra gli altri: il già menzionato Elves & Fairies (Elfi e Fate), del 1916, e Fairyland (Il paese delle fate), del 1926; il primo è accompagnato da liriche di Annie, così come il secondo, al quale si uniscono testi in prosa pure di Annie e di Arthur; entrambi presentano illustrazioni sia monocrome, in bianco e nero, sia delicatamente acquarellate ed entrambi, stampati rispettivamente in mille e in millecinquecento copie, hanno raggiunto valutazioni considerevoli sul mercato antiquario. Ancora, nello stesso breve arco di anni, sono dati alle stampe The Enchanted Forest (La foresta incantata, 1921), The Little Green Road to Fairyland (La stradina verde per il Paese delle fate, 1922) e The Little Fairy Sister (La sorellina fata, 1923).

Le illustrazioni di Ida non possono che essere scelte in base al gusto personale. Un cenno, allora, alla graziosa The Witch (La strega) — con tanto di ramazza, gatto nero al fianco e pipistrelli svolazzanti — tratta da Elves & Fairies, immagine divenuta assai celebre anche grazie al francobollo commemorativo che nel 1985 è dedicato al volume da Australian Post; alla fanciulla acquatica che incarna The Waterfall Fairy (La fata della cascata), ninfa memore di un mito classico in un paesaggio suggestivo, da The Enchanded Forest (La foresta incantata); alla bimba che dorme quieta in una falce di luna calante, su un fiume di stelle, In a Sleepy Bay (In una baia assonnata), opera esposta alla Preece’s Gallery di Adelaide nel novembre 1922; alla giovanissima dea del mare che in una notte stellata affronta, o forse ha evocato, un’onda alta quanto e più di lei — e, a differenza dei gabbiani in fuga, non ne ha affatto paura — che chiude Fairyland.
Creature femmine, bambine e giovani donne, che non temono la solitudine, sanno vivere in armonia con la natura, appagate dalla propria libertà. Proprio quello che vorremmo, per noi e per le nostre figlie.