Lila De Nobili di Vezzano, di Sara Marsico

Lila De Nobili di Vezzano

Ciò che colpisce immediatamente a teatro è la scenografia, così come l’illustrazione all’interno di un articolo o sulla copertina di una rivista e l’immagine su una cartolina illustrata catturano per prime lo sguardo del lettore o della lettrice. Si sarebbe indotte/i a pensare che chi si occupa di scenografia si senta a suo agio sotto le luci della ribalta. Niente di più lontano dal temperamento e dalla vita di Lila De Nobili di Vezzano, disegnatrice, illustratrice, scenografa e costumista, scopritrice di talenti e, nella parte finale della sua esistenza, pittrice. Sembra quasi che nella sua vita da privilegiata discendente di un’antica famiglia aristocratica, questa donna dalla personalità complessa abbia cercato di rendersi invisibile, sfuggente per sua stessa volontà, per lasciar parlare le sue creazioni. Definita «l’ultima grande rappresentante della scena teatrale dipinta», vicina a registi come Visconti e Zeffirelli, e soprattutto Raymond Rouleau, cui la unì un sodalizio durato quasi 30 anni, De Nobili seppe muoversi con passo felpato nel mondo del teatro, fermamente determinata a rimanere lontana dai riflettori.

Laocoonte galleria

Nata il 3 settembre 1916 in Svizzera, a Castagnola, una frazione di Lugano, dal padre Prospero De Nobili di Vezzano, imprenditore e politico discendente da una famiglia della nobiltà ligure, e dalla madre Dola Vertès, con ascendenze ebree e ungheresi, trascorse la sua infanzia tra Nizza e Roma, intraprendendo ben presto con la mamma numerosissimi viaggi, anche all’estero. Parigi, Budapest e New York la stimolarono non solo ad apprendere e parlare diverse lingue, ma anche a sviluppare una curiosità intellettuale e un amore per il sapere che ne favorirono la grande apertura mentale. Lo zio Marcel Vertès, pittore e illustratore molto noto, scoprì ben presto, insieme al padre, le doti artistiche della nipote e lo stile sintetico e libero della sua pittura fu per Lila un modello importante. Grazie all’amicizia del padre con Aristide Sartorio, che le dedicò un ritratto, la futura scenografa riuscì a entrare all’Accademia di Belle Arti di Roma, in via di Ripetta, dove conobbe Ferruccio Ferrazzi, allievo di Sartorio, che divenne suo maestro e col quale si diplomò in decorazione nel 1939.

Lila De Nobili non smise mai di studiare, con una volontà di apprendere, perfezionarsi e mettersi alla prova che la caratterizzò per tutta la vita. A Roma, dove in quegli anni si respirava un clima internazionale, conobbe persone molto stimolanti, tra cui Filippo De Pisis da cui avrebbe ricevuto suggerimenti assai utili alla sua crescita artistica. Il suo punto di riferimento restò comunque lo zio Marcel Vertès, costumista, disegnatore, illustratore e scenografo, dal tratto disinvolto e ironico. Fu lui a introdurre nella redazione di Vogue France le illustrazioni di Lila De Nobili, che aveva già collaborato con la rivista di moda Bellezza, diretta da Gio Ponti. Fu questo il periodo in cui le sue opere per le copertine di Vogue raggiunsero grande successo.

Una delle copertine disegnate per Vogue, con la consueta firma Nobili in basso a sinistra

Nel 1946, dopo la morte del padre, si trasferì a Parigi con la madre Dola, stabilendosi nel Quartiere Latino. Furono anni di notevoli malinconie e di difficoltà economiche. Ben presto però Vertès le presentò alcune personalità del mondo artistico parigino, tra cui Christian Berard, che diventò un altro suo punto di riferimento. Purtroppo, egli morì presto, nel 1949, e fu Cocteau a riconoscerla come l’erede del grande Berard. Sempre grazie a Vertès, in questo periodo si avvicinò al teatro e alla mondanità parigina, per la quale non nutriva grande simpatia. In seguito all’incontro con l’attore e regista Raymond Rouleau, marito di una sua compagna di studi, nacque un rapporto professionale intensissimo, con collaborazioni come scenografa e costumista in più di 20 spettacoli teatrali e un film.

Sono poche le notizie attorno a De Nobili. Dobbiamo molto al libro di Maria Crespi Morbio Lila De Nobili, pubblicato nel 2014, per le edizioni Grafica Step nella Collana Amici della Scala, nel quale sono raccolti disegni, bozzetti e illustrazioni di grande valore e una serie di fotografie. Particolarmente convincente anche la conferenza dedicatale da Irene Fineschi il 27 novembre 2023 per la serie Il genio della donna nella Sala dello Zodiaco di Palazzo Malvezzi di Bologna. Fineschi ha avuto accesso, per la sua tesi di laurea magistrale, grazie alla disponibilità di allievi/e e amicizie di De Nobili, a carteggi, bozzetti, disegni, illustrazioni e fotografie fino ad allora inaccessibili, a causa della consegna del silenzio, sempre rispettata, imposta dalla stessa scenografa.

Lila De Nobili non ha mai voluto essere definita artista. Le piaceva l’idea di praticare mestieri, come quello della scenografa e della costumista, perché in una certa misura si avvicinavano a quello dell’artigiana, impegnata con le mani e con il corpo. Non ha mai voluto essere intervistata e ha rifuggito il mondo delle mostre e della pittura che «sapeva di soldi». Questa sua idea del lavoro ci è stata raccontata da Renzo Mongiardino, architetto e amico d’infanzia, nel corso di una intervista rilasciata a Rossana Biason, autrice di una tesi di laurea dal titolo Cominciando dalla fine. Alla ricerca di Lila De Nobili, per il corso di Scenografia, dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Avrebbe riferito a Mongiardino le seguenti parole: «La pittura in questo modo è disgustosa, sa di soldi, sa di mercato, sa di mostre orrende, tutto quello che è questo mondo non mi piace, non lo voglio vedere. Mi piace la gente che lavora a ore, che lavora perché lì c’è bisogno di quella determinata cosa e ci si mette dentro».

Lila De Nobili, bozzetto con due personaggi di teatro

Lila De Nobili si avvicinò al teatro come scenografa, portando dentro la scena dipinta tutto il suo sapere, frutto di numerosissime letture, di film, di spettacoli di lirica e di prosa, della profonda cultura e della interdisciplinarità che la contraddistinguevano. Con le sue opere, per la cui realizzazione spesso lavorava instancabilmente e senza assistenti, contribuiva al racconto portato in scena mettendo a disposizione tutto ciò che conosceva e che aveva appreso negli anni. La collaborazione con Rouleau, esperto di illuminotecnica, la influenzò e ne fece emergere la grande abilità, ancora oggi non pienamente valorizzata. Le sue scenografie, che hanno alla base i bozzetti, rivelano un sapiente uso delle luci, attraverso cui dare un effetto magico, di sogno, realizzato con veli di garza e tulle applicati sulla scena. Visconti desiderò conoscerla dopo avere assistito a Parigi alla rappresentazione di Anna Karenina, regia di Raymond Rouleau, e la volle con sé come scenografa e costumista in Come le foglie di Giuseppe Giacosa nel 1954 e, l’anno successivo, per la realizzazione dell’opera La Traviata di Giuseppe Verdi. De Nobili suggerì a Visconti di spostare l’ambientazione delle vicende a fine Ottocento, proponendo Maria Callas per il ruolo della protagonista Violetta Valery, in modo da poter consentire alcune scelte di regia non convenzionali, come far sciogliere in scena a Violetta i lunghi capelli prima dell’incontro con Alfredo, o farle togliere le scarpe lanciandole poi in aria e restando a piedi scalzi per parte dell’opera. Furono soluzioni sceniche rivoluzionarie per l’epoca, che consentirono a questo allestimento di entrare a pieno titolo nella storia della lirica. Pur essendo esperta in ambientazioni fin de siecle, De Nobili partecipò a messe in scena di opere inserite in epoche storiche diverse, da quelle shakespeariane rappresentate a Stratford on Avon a quelle di Tennessee Williams, da quelle di Rostand a quelle di Giraudoux. Ogni rappresentazione era per lei occasione di studi filologici accurati e approfonditi, con una ricerca dell’autentico che la accomunava a Visconti. Un incontro fondamentale fu anche quello col costumista e collezionista di abiti Tirelli, che avrebbe poi aperto la famosa omonima sartoria di Roma. Insieme si recavano al mercato delle pulci di Parigi, come ricorda Fineschi, alla ricerca di abiti d’epoca che diventavano oggetto di studio oppure, se in buono stato, direttamente costumi di scena. De Nobili fu pure una grande talent scout. Proprio lei, insieme alla scrittrice e a Rouleau, volle una giovanissima Audrey Hepburn per la parte di Gigi nella commedia tratta dal romanzo di Colette, rappresentata per ben 17 repliche, dal 1951 al 1953, mentre una debuttante Carla Fracci fu scoperta da lei e poi suggerita a Visconti per interpretare Silvestra in Mario e il mago.

Officina Libraria

Dal 1961 Lila De Nobili si trasferì in un nuovo appartamento del Quartiere Latino in rue de Verneuil, una mansarda al quinto piano, in compagnia di molti gatti, raccolti dalla strada e divenuti soggetti di dipinti e illustrazioni. Nel 2018 Francesca Simone e Claudie Gastine hanno realizzato una pubblicazione, Gatti di Parigi, per Officina libraria, in cui hanno raccolto gli schizzi e i disegni di quelli che possiamo definire i suoi modelli più cari. A farle compagnia nella sua vita ci furono sempre molti amici e amiche, allievi e allieve di ogni età che godevano della sua conversazione raffinata e delle sue notevoli doti empatiche. Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, spesso la condizione di nubile è quella che, a qualsiasi età, apre al dono dell’amicizia, fortuna non sempre riservata alle donne che si sposano e che devono dedicarsi, per convenzione sociale, a marito, figli e figlie. Aperta e colta, De Nobili si relazionava con chiunque, anche con i bambini e le bambine, e le piaceva insegnare ritenendola un’occasione per perfezionare il proprio metodo e continuare a esercitarsi. Nonostante i suoi viaggi, Parigi rimase sempre il luogo a cui tornare, soprattutto per l’amore per la madre alla quale la unì un rapporto profondo.

Fondamentale per De Nobili fu la partecipazione a cinque edizioni del Festival dei due mondi di Spoleto, per una delle quali curò la realizzazione della locandina; per l’edizione del 1973 si occupò, anche se a distanza, a causa della malattia della madre, della scenografia di Manon Lescaut di Puccini, l’ultima regia di Luchino Visconti nel mondo della lirica. Creò costumi per Ingrid Bergman, Maria Callas, Edith Piaf, Simone Signoret, Lawrence Olivier e Michel Piccoli e molte altre artiste.

Lila De Nobili fu assai impegnata civilmente e politicamente; a fianco della gioventù nelle proteste del maggio ’68, prese posizione in difesa della libertà di stampa con Simone De Beauvoir e Jean Paul Sartre.

Lila De Nobili (1916-2002), Vaso con Fiori, Olio su tela

Ritiratasi dal teatro nel 1970, si dedicò alla pittura e periodicamente frequentava il Museo del Louvre per eseguire copie delle opere dei grandi maestri, così come aveva sempre fatto anche prima della guerra. Girava con un taccuino e dei fogli da disegno, tenuti in un cestino di vimini, su cui realizzava schizzi dei soggetti più vari. Fondò anche una piccola scuola di disegno, l’Academie, con Yannis Tsarouchis, pittore e scenografo greco, di cui invidiò il metodo e da cui continuò a imparare. Gli innumerevoli disegni, le cartoline illustrate per gli amici e le amiche e i suoi bozzetti hanno incantato molti artisti, tra cui Robert Wilson e David Hockney.

Zeffirelli disse di lei che era «la più grande scenografa e costumista del XX secolo, la maestra di tutti noi». In uno degli articoli scritti pochi giorni dopo la morte, avvenuta il 19 febbraio del 2002, fu definita «piccolo e geniale elfo della scenografia dipinta», per sottolineare il modo discreto e silenzioso di lavorare, come un elfo nell’ombra, di questa donna che, anche per sua stessa volontà, è poco conosciuta e che meriterebbe di essere riscoperta pure per le sue doti di pittrice. Dopo la morte, le sono state dedicate alcune mostre, le più importanti delle quali a Milano, al Museo del Teatro alla Scala, e a Roma, all’Accademia di Francia a Villa Medici. La consegna del silenzio da lei imposta sulla sua vita è stata infranta, per nostra fortuna, da alcuni e alcune amiche e allieve che hanno consentito l’accesso alla sua vasta produzione e ai carteggi, rendendo possibili in parte la ricostruzione della personalità di un’artista tanto riservata e il godimento della bellezza dei suoi lavori.