“Sogno di una notte di mezza Estathè” al teatro Everest di Firenze

Quando mi hanno invitato a vedere questo spettacolo ho pensato subito, leggendone il titolo con il gioco di parole, che fosse un qualcosa che parodiasse il testo originale di Shakespeare ma che, comunque, lo lasciasse riconoscibile.

Quando poi, nel foyer del teatro, ho notato un numeroso pubblico di giovani spettatori tra i quali mi sono sentita una “vintage” ho pensato, da docente di letteratura inglese, che fosse una cosa davvero positiva che tanti giovani fossero accorsi per ascoltare Shakespeare.

Quando all’ingresso hanno dato a ognuno di noi, insieme al biglietto, un paio di occhialini simili a quelli che servono per vedere i film in 3D ho pensato che fosse un escamotage nuovo e simpatico per vedere ancora più cromaticamente il già coloratissimo testo di Shakespeare.

Quando alla fine dello spettacolo ho notato che gli spettatori non si alzavano dai loro posti come se si aspettassero che continuasse ancora, data l’estrema brevità, che ci fosse qualcos’altro che facesse loro capire meglio dove fosse Shakespeare allora mi sono decisa a scrivere queste parole.

I due giovani attori, Giulia Aiazzi e Matteo Cecchini, sono davvero bravi, hanno delle belle potenzialità, la voce musicalissima di Giulia e la dizione eccellente di Matteo tra le altre, doti che, personalmente, riteniamo andrebbero messe in luce con testi più validi anche se leggiamo nella brochure di sala che questo testo ha vinto tre premi ed è stato selezionato per un altro.

E’ vero che i critici teatrali prediligono i circuiti teatrali maggiori e recensire le pieces più celebri e per questo ho voluto essere all’Everest ieri sera ma perdonatemi se non sono riuscita ad apprezzare al meglio questa performance che nell’intenzione dell’autore e regista Alessio Martinoli doveva essere “uno studio sull’inconscio che, partendo dal testo di Shakespeare, sveste le loro battute della loro magniloquenza lasciandole inaspettate e spurie. Quattro innamorati che, interpretati dai due attori, uniscono i rispettivi margini e perdono i propri confini rischiando la propria appartenenza. Due diverse modalità di comunicazione che si scontrano chiuse nel loro egocentrismo mentre un cane abbaia attenzione”.

Forse sono davvero troppo vintage…