“Sex machine” al teatro Bobbio, recensione di Claudia Antolini
Serata unica al Teatro Bobbio per “Sexmachine”, che inaugura la rassegna “Femminile Singolare”. Insignito del Premio della critica 2005 dall’Associazione Nazionale Critici di Teatro, lo spettacolo dà voce a diversi personaggi che espongono le proprie sicurezze, opinioni e contraddizioni riallacciandosi al tema portante dell’amore a pagamento.
Donne che vendono sesso, uomini che lo comprano; non è semplice compravendita di prestazioni sessuali, è un pilastro dell’equilibrio sociale fondato sul disprezzo verso il commercio del corpo, eppure necessario per mantenere lo status quo di figure quotidiane che popolano il palcoscenico: un pensionato appassionato frequentatore di case chiuse, un agente di commercio ossessionato dal suo appetito sessuale, una prostituta esperta che istruisce una novizia sulle varietà dei clienti, una giovane madre moralista, un magazziniere che si accontenta di guardare donne per lui inarrivabili nei night club e un piccolo imprenditore sull’orlo del fallimento della propria azienda e del proprio matrimonio, che racconta la propria rovina ad una prostituta non riuscendo ad aprissi con la moglie. Personaggi che incontriamo ogni giorno, e che, tra momenti introspettivi e spunti per la risata, ci raccontano molto di quello che pensiamo e di come funziona la macchina del sesso a pagamento: non si vende l’atto sessuale in sé, bensì l’idea di esso, la trasgressione di compiere un gesto proibito appaga la mente prima del corpo.
A fare da contrappunto, il fraseggio discreto della chitarra di Igi Meggiorin, sembra suggerirci che l’estrazione sociale, l’età, lo stato di famiglia non contano per definire l’identità del “cliente”: il mercato del sesso conta 10 milioni di prestazioni a pagamento all’anno e un pubblico estremamente trasversale. La cornice spaziale del racconto è il produttivo Nord Est, evocato sul palcoscenico dalla versatilità eccezionale di Giuliana Musso, che alterna i personaggi in scena adattandosi alla loro identità e tratteggiandone, senza mai diventare caricaturale, sia le ingenue aspettative che le storture meno innocue in un dialogo col pubblico. A questo è lasciato il compito di giudicare la realtà mostrata, di coglierne le contraddizioni e confrontarsi con una parte di noi stessi di cui ci vergogniamo, ma della quale non riusciamo a liberarci.
“Io vorrei che tu scrivi che non sono diversa dagli altri, non sono diversa proprio da nessuno, che non è giusto che tutti ci dicono arruse, porche e schifose ma poi vengono a cercarci. O siamo sporche e schifiate e allora basta, fateci morire. Oppure vi bisogniamo, e allora ditelo.”
