“Il giardino”, racconto di Adele Libero

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Crescevano senza cure fiori e qualche alberello nel giardino: margheritine, primule, narcisi, campanule e così via. Il terreno era ben recintato da un muretto in pietra ed un cancello alto, verde scuro, ne proteggeva del tutto la vista dalla strada. Che s’inerpicava dolcemente sulla collina di Cervaro, nel frusinate, fino a giungere al paese tra prati e villette adagiate ai lati della statale.

Il giardino era proprio tra due villette bianche, adornate di fiori. Era un campo di pochi ettari, lasciati in eredità da un ricco proprietario che aveva disposto nel testamento che il terreno andasse alla sua fedele domestica. Naturalmente i nipoti avevano impugnato le disposizioni e la causa si trascinava pigramente in tribunale da anni.

Mariella non ebbe difficoltà ad aprire il cancello il cui lucchetto arrugginito, anni prima, era stato forzato da alcuni ragazzi. Lentamente gli occhi si abituarono a tanta bellezza: i fiori si arrampicavano dappertutto, sui rami degli alberi leggeri, sulle pareti del muretto di cinta, e naturalmente lungo il prato. La natura si era impadronita in quegli anni di quello spazio incolto ed aveva provveduto, a modo suo, a renderlo allegro e spensierato, coi ciuffi d’erba che crescevano al loro piacimento e perfino qualche pozza d’acqua che dava ancora più luce. Anche la pioggia in quella zona non mancava mai, pure in estate.

Mariella non aveva mai visto niente di così bello. Era una delle prime passeggiate da quando si era trasferita da Roma, causa sfratto, in un monolocale di proprietà di un lontano cugino. Non rimpiangeva la caotica città, anzi, finalmente respirava aria buona e profumata.

Si, il giardino sarebbe stato una meta quotidiana e voleva addirittura provvedere a coltivarlo un po’. Alla sua età – ne aveva sessantaquattro – era ancora in grado di prendere una zappetta ed una vanga per mettere un po’ di ordine.

Così fece nei giorni seguenti. Raggiungeva al mattino il giardino, sostava un po’ per godersi indisturbata i profumi e poi iniziava a lavorarci per un’oretta. Era sola, non si era mai sposata anche se nel cuore era rimasto inciso profondamente un ricordo. Non doveva dar conto a nessuno. Solo il cugino, a volte, l’andava a trovare con i suoi bimbi, belli ed irrequieti e così le visite erano di breve durata.

Era quasi a buon punto nel lavoro di riordino del giardino quando, un mattino, Mariella inciampò in una radice nascosta dall’erba alta. Cadde malamente con l’anca in terra ed un braccio le scivolò sotto la schiena. Picchiò un poco anche la testa e non ebbe forza per rialzarsi. Iniziò a lamentarsi, ma la strada era pochissimo trafficata. Passavano automobili, per lo più, e non avrebbero certo sentito le sue invocazioni.

Perse la cognizione del tempo e dello spazio. A sera era ancora lì, gli occhi che fissavano le stelle e pian piano si addormentò sul dolore.

 

 

Il giorno seguente comprese che doveva assolutamente alzarsi ed uscire. Vi riuscì dopo qualche difficile tentativo e si affacciò finalmente sulla strada.

Fu raccolta da un’auto dopo poco ed accompagnata all’ospedale. Pallidissima, stanca ed ancora molto dolorante fu lasciata al pronto soccorso.

Due occhi scuri, dopo un po’, la iniziarono a fissare, facendole domande sul suo stato. Fu portata in medicheria, finalmente, ed un dottore sulla sessantina cominciò a pulirla dal terreno, a tastarle il braccio ancora distorto ed a farle domande di prassi: nome, cognome, data di nascita.

Mariella rispondeva meccanicamente, sapeva solo che il dolore aumentava ad ogni parola.

Sergio, il medico di guardia del reparto ortopedia chiamato al pronto soccorso, la guardava sempre più stralunato. Non poteva credere ai suoi occhi. Era proprio lei, Mariella, la ragazza dei suoi venti anni, conosciuta a Roma, dove lui frequentava Medicina, e con la quale aveva avuto una storia di sei, sette mesi. Poi lui era dovuto tornare a Sora, il suo paese, perché il padre era deceduto. Aveva completato gli studi solo anni dopo ed a Roma non era più tornato. Il legame con Mariella, inizialmente mantenuto grazie a lettere e telefonate, si era, tuttavia, allentato. Le lettere e le telefonate erano passate da due-tre la settimana a due tre al mese. Le promesse di rivedersi presto non erano state mantenute, per vari motivi e così, lentamente e dolcemente, i due si erano allontanati.

Mariella non poteva riconoscere Sergio, era tanto cambiato con l’età, i capelli erano quasi tutti caduti, era ingrassato, aveva gli occhiali. Tuttavia negli occhi di lui leggeva una curiosità eccessiva, quasi imbarazzante.

Le prime cure finirono presto e fu spedita in radiologia per controllare che non avesse fratture. Subito dopo finì in reparto e, vuoi per lo stress vuoi perché aveva dormito poco o niente, si addormentò subito.

Ma l’alba la trovò sveglia, dal letto poteva vedere uno spicchio di cielo, nuvole che danzavano veloci nel vento, il sole che si affacciava dalla collina.

Ripensava a quello che era successo. Ma non poteva rammaricarsi troppo, in fondo era stata lei stessa a provocarsi l’incidente, inoltre aveva fatto male a non avvisare nessuno delle sue quotidiane visite al giardino.

Sergio comparve verso le nove, seguito da due infermieri. La visitò e le disse che l’avrebbe dimessa in giornata anche se, ovviamente, a casa avrebbe dovuto stare a riposo per alcuni giorni.

Al termine delle visite del Reparto tornò. Questa volta un leggero sorriso rallegrava la faccia. Le disse “Mariella, ma non ti ricordi proprio di me?”. Il suo cuore ebbe un sobbalzo! Sergio…ma certo era lui, il cuore glielo diceva. Sergio, il primo ed unico amore, scivolato in un indifferente silenzio anche per orgoglio ed insicurezza di sé.

Anche lei sorrise e fece di sì con la testa, incapace di parlare.

Lui disse “Quando esci, verso mezzogiorno, vieni giù al bar dell’ospedale, che parliamo”. E la lasciò.

Le ore seguenti furono un susseguirsi di ricordi: le loro passeggiate, i baci appassionati, le prime, commosse telefonate.

Mariella fu dimessa in mattinata. Chiamò subito un taxi per tornare a casa.

No, dopo tanti anni non avrebbe avuto l’umiliazione di donargli un corpo non più fresco e profumato come quello dei venti anni. Di dirgli che dopo di lui non aveva voluto più nessuno e neppure l’aveva cercato. Se il destino aveva voluto farli riunire, per dare un’ulteriore opportunità, non voleva coglierla. L’amore era quello della giovinezza, piena di forze prorompenti, di vitalità, di entusiasmo per il futuro.

Tornò al “suo” giardino. Si sedette in terra vicino ad un cespuglio di roselline selvatiche. Qualche lacrima cadde proprio sui fiori più freschi. Che piegarono lievemente il capo, quasi a comprendere il suo dolore. E per qualche minuto anche il Tempo si fermò – come capita ogni tanto – per prender fiato e tornare a girare un po’ più tristemente.

 

Quando tornò a girare, perfino, forse, più velocemente, le lancette corsero per un altro anno. Mariella pensò, oltre alle visite al giardino, di cominciare a scrivere. Da giorni aveva un prurito alle mani, aveva voglia di raccontare e raccontarsi. Non che la sua vita fosse così speciale, ma probabilmente proprio perché non aveva figli o nipoti ai quali passare il testimone, comprese che sarebbe stato bello far affluire in uno scritto i suoi ricordi, i suoi stati d’animo, i vari perché, taluni senza motivo, del suo cammino terreno.

 

Da quel giorno il suo computer fu il nuovo compagno di vita, specialmente quando il tempo era cattivo. Le stessa  si stupiva di vedere sullo schermo pagine su pagine, ricordo dopo ricordo, a volte corredato anche da qualche poesia, si, piccole cose, invero, che poi, rileggendo, suonavano perfino belle e scorrevoli.

 

Quando ebbe concluso, soddisfatta, non pensò di inviarle ad un editore. Non ne conosceva. Preferì crearsi in Internet un piccolo blog, pubblicandovi giornalmente qualche pagina del libro, tanto per giocare e vedere l’effetto sull’eventuale lettore.

 

E così, poco a poco, quelle pagine di memorie, scritte benissimo, colme di immagini e di rimembranze comuni a tante persone, attrassero un certo numero di amici, che quasi quotidianamente le postavano commenti e la invitavano a continuare.

 

Per la verità Sergio non amava molto Internet, l’usava per lo più per qualche ricerca medica o notizie di attualità. Tuttavia quel mattino trovò, per caso, in evidenza tra le notizie di Sora quella di un blogger che lodava una scrittrice locale, che stava raccontando a puntate la sua vita.

 

Per pura curiosità, avendo anche qualche minuto di pausa, si collegò in rete e trovò il blog pubblicizzato. Cominciò a leggere e gli bastarono poche pagine per capire che si trattava di Mariella. Ma, diamine, l’aveva ritrovata ! Il cuore cominciò a fare un tal rumore in petto che, da bravo medico, inspirò profondamente per ritrovare la calma.

 

Mentre sfogliava elettronicamente quelle pagine, sentiva di comprendere meglio la sua Mariella, le sue ansie, le sue paure, i suoi timori di apparire sempre un po’ fuori posto. Era come un giocattolo che, improvvisamente, si mette in moto e ti fa capire tutti i movimenti strani di cui è capace.

 

Quando terminò la consultazione, si sentì più fiducioso. Doveva e poteva riconquistarla. Sentiva che era a portata di mano, anzi di dita. E subito le postò un commento/messaggio, che avrebbe potuto interessarla:

 

“Ciao, sono il dottore di Cassino, che ti ha curata quando ti sei lussata la spalla. Vorrei scambiare solo altre poche parole con te, se vuoi. Ti aspetterò domenica 27 settembre all’ingresso della chiesa di San Giovanni, a Cassino, alle 17:00. Ho fiducia che verrai. ”

 

In verità un messaggio pubblico come quello poteva attrarre anche degli scocciatori o dei semplici curiosi e Sergio sperò che in pochi lo leggessero.

 

La domenica successiva Sergio non era di turno. Trascorse pigramente la mattinata tra Tv, spesa al market e giornalone sportivo. Si impedì di pensare all’appuntamento, fingendo con se stesso che non fosse importante, anzi così importante. La sua vita di scapolo gli piaceva, è vero, però spesso sentiva il bisogno di confidarsi con qualcuno che non fosse il suo Dick, lo splendido golden che ormai coabitava con lui da sei anni.

 

Alle cinque si mosse da casa. Il tempo era bello, ma fresco, senza più le onde di caldo che avevano caratterizzato anche quell’estate appena fuggita verso altri emisferi. Si stava bene, in strada: poca gente, poche auto. Qualche raro passante. Immaginò da dove potesse provenire Mariella, da quale lato della piccola cittadina, dotata di sole due strade veramente importanti.

 

Dopo mezz’ora il cuore cominciò davvero a tambureggiare nel petto. Un filo di ansia, fin lì trattenuta, si cominciò ad insinuare proprio sotto pelle, come una scia fredda che avvolge fin dentro l’anima.

 

Stava quasi per scoraggiarsi quando la scorse. Camminava pensosa, senza guardare la vicina meta. I capelli avevano riflessi d’oro per via del sole che iniziava lentamente a calare dietro la Rocca Ianula. Le mani stringevano forte una piccola borsa. Un senso di autodifesa, pensò.

 

Ma era venuta, solo questo contava. Era venuta! e il futuro sarebbe stato insieme perché erano destinati l’uno all’altra, anche con tutto questo ritardo, che non poteva non far sentire l’urgenza di riguadagnare tutto l’amore che s’era perso nei “se” e nei “ma”, o nei “non sono più bella”. L’amore contava altri giorni, girava altre pagine, nelle quali l’età era solo una componente in più perché dava maggiore consapevolezza della fugacità della vita e dell’importanza di avere qualcuno accanto.