“Addio” secondo poesi-racconto di Adele Libero
Ma comme scenne lenta chesta pioggia !
arrassumiglia a lacrime ‘e criature,
s’arrepara ‘na gatta fore ‘a loggia,
cercannose ‘nu posto cchiù sicure.
Tentare di salire a piedi, sotto la pioggia forte e martellante, per un vicolo di Napoli è impresa davvero tutta ardua. L’Ing G. se ne stava rapidamente rendendo conto a sue spese: scivolava, l’ombrello ondeggiava a destra e sinistra per le folate di vento, rendendolo spesso vano e così si inzuppava il vestito di flanella blu, leggera. Era partito la mattina, da Milano, su ordine del suo capo, un affermato editore, per andare a visitare una scrittrice napoletana, che abitava nei Quartieri Spagnoli.
‘E panne mie ormai so’ tutte ‘nfuse,
‘o viento ‘e sbatte, parene bannere,
s’appennono p’o vico, comme spose,
si torna ‘o sole stanno assaje cchiù allere.
Già, a complicare le cose, ogni tanto qualche panno steso troppo in basso volava via e gli si appiccicava al viso, accecandolo per un momento e rendendo così le cose ancora più difficili. Ma che diamine, anche con la pioggia venivano stesi i panni ? Poi fra sé quasi sorrise, si sapeva che a Napoli acqua e sole giocano a rimpiattino e mentre ti sei preparato e bardato per il temporale ti accorgi, appena fuori di casa, che è di nuovo caldo, un sole brillante ed un cielo azzurrissimo ti fanno “marameo” e solo una residua nuvoletta bianca, quasi timidamente, ti ricorda il maltempo di poco prima.
Come Dio volle giunse al civico cinque di Vico Croce a Cariati, uno stretto budello che si concludeva con una scala ripida, in cima alla quale troneggiava un vecchio Crocefisso.
Stranezze di questa città, che ad ogni angolo insospettato nasconde piccoli tesori. Anche quel Crocefisso, probabilmente, era opera di un qualche bravo artista del settecento.
Riscossosi da queste riflessioni, l’Ing G suonò al citofono della scrittrice Palma. Una voce distratta, dopo poco, rispose e lo fece salire. Salire ? In verità cinque piani, senza ascensore e con i gradini alti e sbilenchi misero a seria prova i polmoni dell’Ing. G. che, trafelato, bussò al campanello recante uno sbiaditissimo nome “Palma A.”.
“Prego, si accomodi”, l’invitò Antonella Palma, la scrittrice che aveva fatto centro presso l’Editore con qualche racconto inviato via mail. Aveva doti anche di poetessa, la ragazza, infatti aveva già pubblicato una silloge.
Privo di fiato per una qualsiasi domanda, l’Ing G. si accomodò su un divano ricoperto da un foulard rosso e oro, guardato un po’ sospettosamente dal gatto di casa, che si accomodò subito, a sua volta, accanto a lui, quasi a mettere bene in chiaro chi fosse il vero padrone di casa.
Antonella lo guardò, sorridendo, ben conscia dell’effetto-scale. Gli preparò silenziosamente un caffè (chi oserebbe rifiutarlo, a Napoli?) ed attese che si riprendesse.
Lui la osservava, intanto, ammirando il corpicino snello, i capelli lunghi e arruffati, le gambe ben tornite che si indovinavano dall’aderente fuson.
Cominciarono a chiacchierare e, finiti i convenevoli, raggiunsero un accordo per la pubblicazione di venti racconti, che lei avrebbe inviato entro trenta giorni !
Convennero che era inutile salutarsi. L’Ing. G aveva preso una stanza per la notte. Perché non andare insieme a prendere una pizza?
Un’ora dopo erano in pizzeria, a guardarsi con un po’ di tenerezza, raccontandosi, vivendo le reciproche esperienze. Gli raccontò che era stata lasciata da poco da quello che pensava essere l’unico-amore-della-vita. Un uomo più grande di lei, con poca voglia di lavorare, che aveva campato di rendita e poi, all’improvviso, aveva deciso di andarsene.
Per lei era stato una vera tempesta del cuore! Aveva espresso il suo dolore nei versi, che ancora ricordava a memoria:
Ma dinto ‘o core, o ssai, è n’ata cosa,
ajere me diciste “statte bbona,
a strada mia è n’ata, è misteriosa,
e tu si bella, ma troppo guagliona”.
Con calma, ma in modo accorato, gli recitò anche la chiusa della poesia “Addio”:
Mo m’hanno ditto ca tu sì’ partuto,
n’coppo ‘a na nave ca va assaje luntano,
senza me dà cchiù manco nu saluto
e ‘o core mio se sta spezzanno…chiano !
L’Ing. G, che ormai lei chiamava per nome di battesimo, Bernardo, la guardò intensamente, con un gran magone nel cuore.
Quando erano andati in pizzeria, aveva pensato di poter proseguire la serata, in modo scontato, andando a letto con lei. Ma l’indomani sarebbe ripartito per Milano. Perché ferire ulteriormente quel bel visetto triste? Perché farle ripetere esperienze dolorose?
Dopo cena si salutarono. Si sarebbero comunque sentiti, per telefono e via mail, per dar vita ai racconti di lei che, se erano come le sue poesie, sospettava fossero bellissimi. Forse sarebbe sorto un qualcosa di più profondo, un legame da coltivare magari con un soggiorno a Milano di lei o con una visita non professionale di lui.
In fondo a Napoli piove spesso, ma poi il sole sa tornare !!
Addio
Ma comme scenne lenta chesta pioggia !
arrassumiglia a lacrime ‘e criature,
s’arrepara ‘na gatta fore ‘a loggia,
cercannose ‘nu posto cchiù sicure.
‘E panne mie ormai so’ tutte ‘nfuse,
‘o viento ‘e sbatte, parene bannere,
s’appennono p’o vico, comme spose,
si torna ‘o sole stanno assaje cchiù allere.
Ma dinto ‘o core, o ssai, è n’ata cosa,
ajere me diciste “statte bbona,
a strada mia è n’ata, è misteriosa,
e tu si bella, ma troppo guagliona”.
Mo m’hanno ditto ca tu sì’ partuto,
n’coppo ‘a na nave ca va assaje luntano,
senza me dà cchiù manco nu saluto
e ‘o core mio se sta spezzanno…chiano !
(Adele Libero)

un racconto dolcissimo intersecato da versi altrettanto soavi….tutto una carezza….brava
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