accadde…oggi: nel 1824 nasce Enrica Gotti Filopanti

da http://badigit.comune.bologna.it/mostre/filopanti/bacheca9.htm
https://ilcalendariodelledonne.wordpress.com/le-donne-nate-a-bologna-women-born-in-bologna/
Enrica Teresa Gotti nacque a Bologna il 16 aprile 1824, terza figlia di Clemente (1798-1860) e di Carlotta Riva. Il padre fu dapprima vice cancelliere del Governatorato di Budrio, poi funzionario del tribunale di Bologna.
Enrica conobbe Filopanti quando era ancora bambina nel 1833: quell’estate infatti il giovane scienziato era stato invitato da Clemente Gotti a trascorrere le vacanze nella loro casa nella campagna di Budrio, in frazione Rabuina. In cambio dell’ospitalità ricevuta, Filopanti avrebbe fatto da precettore ai due figli maschi del Gotti, fratelli maggiori di Enrica.
Enrica si sposò con Filopanti il 29 giugno 1848 nella chiesa parrocchiale di San Sigismondo e andarono a vivere in casa del padre di lei, in via Belmeloro. Quando Filopanti fu eletto come rappresentante di Bologna nell’Assemblea Costituente romana, Enrica scese con lui a Roma e lì rimasero fino all’estrema difesa del sogno repubblicano: mentre il marito partecipava ai lavori dell’Assemblea, Enrica si dava attivamente da fare nell’organizzazione dei soccorsi ai patrioti feriti nei combattimenti con i francesi. Alla caduta della Repubblica sembra che uscirono da Roma per strade diverse. In una lettera all’amico Giordani del 30 agosto 1849 Filopanti infatti scriveva: «Arrivato a Livorno, ebbi la consolazione di sapere che la mia Enrica era giunta in buona salute in seno alla sua famiglia». Il periodo tra il giorno del matrimonio e quello della fuga da Roma, fu l’unico che Enrica e Filopanti passarono insieme, come marito e moglie, in tutta la loro vita, come ricorderà Filopanti stesso alla moglie in una lettera del 1857: «L’anno che abbiamo vissuto insieme». Al momento di lasciare Roma, Enrica, con ogni probabilità, era incinta, ma non sappiamo se la bambina, alla quale fu dato nome Elena, sia nata morta o se sia sopravvissuta qualche giorno dopo la nascita. Comunque, all’anagrafe del Comune di Bologna è registrata la sua morte al 19 febbraio 1850. Filopanti a lungo non seppe di questa cattiva notizia, tanto che ancora il 2 maggio 1851 in una lettera inviata alla moglie dagli Stati Uniti scriveva: «Scrivi a lungo della figlioletta, della quale, cosa dura, ho ancora da apprendere il nome». Lei e Filopanti si rivedranno solo dieci anni più tardi, al ritorno di quest’ultimo in Italia dall’esilio: quando lui infatti rientrò in Europa dagli Stati Uniti, stabilendosi a Londra, lei non lo raggiunse mai, mantenendo solo rapporti epistolari. Enrica si sfogava a lungo col comune amico Antonio Giordani della sua triste situazione: «Purtroppo, le ultime lettere di Filopanti, benché più lunghe, più amorevoli, non han fatto altro che peggiorare il male recatomi col suo lungo primiero silenzio. […] Ella non sa tutta l’amara trafila di dispiaceri che mi ha fatto provare Filopanti sino dalla mia infanzia» (5 settembre 1851).
I rapporti tra Enrica e Filopanti durante i dieci anni di esilio furono sporadici e molto altalenanti, un po’ a causa dell’intervento della censura pontificia, che intercettò alcune lettere, un po’ per volontà degli stessi interlocutori: lei infatti non lo raggiunse mai, né negli Stati Uniti, né a Londra, anche perché lui non la invitò mai esplicitamente.
Nelle lettere che si scambiarono si può avvertire sempre una grande tensione e solo il lontano ricordo della passione che li aveva animati un tempo. Le cose non migliorarono nemmeno dopo che Filopanti rientrò definitivamente dall’esilio, tanto che fu lei, nel 1862, a partire per Londra dove restò per buona parte degli anni Sessanta: aveva imparato l’inglese in Italia e, non potendo il marito mantenere entrambi, lei decise di cercare fortuna al di là della Manica. Nel 1865 Filopanti, sfruttando un viaggio di lavoro in Alsazia, si allungò fino a Londra per tentare una rappacificazione. Fu sconsigliato dall’amico Giordani, che gli scrisse: «L’annuncio che mi avete dato della vostra partenza per Londra mi ha afflitto profondamente perché mi preveggo le conseguenze» (23 maggio 1865).
Anche dopo il rientro definitivo in Italia, Enrica non tornò mai a vivere con il marito che, per esempio, così scriveva nel suo taccuino il 24 gennaio 1881: «Forte scossa di terremoto a Bologna, mentre stavo coll’Enrica venuta a per caso a vedermi dalla sua abitazione fuori di Porta Azeglio».
A Bologna Enrica fu assunta dal Comune come insegnante di inglese presso la Scuola Superiore Femminile. Dopo la morte del marito, e dopo aver abbandonato il lavoro, visse gli ultimi anni con due povere pensioni, una regia e una comunale.
Morì a Bologna il 21 aprile 1908. Il funerale fu celebrato il giorno 23 in Santa Maria Maggiore, cui seguì la sepoltura in Certosa.
Enrica e la famiglia Rossetti
Gabriele Pasquale Giuseppe Rossetti (1783-1854) fu un poeta, critico letterario e patriota italiano originario di Vasto. Per aver partecipato ai moti liberali del 1820 fu costretto all’esilio, prima a Malta e quindi, nel 1824, in Inghilterra dove trascorse il resto della vita. Fu docente di lingua e letteratura italiana al King’s College di Londra dal 1831 al 1847 e si sposò con Frances Mary Lavinia Polidori (1801-1886), figlia di Gaetano Polidori (1764-1853), altro esule italiano, politico, scrittore ed editore. Ebbero quattro figli tutti attivi nel campo dell’arte e della letteratura: Maria Francesca, Dante Gabriel, William Michael e Christina Georgina.
Maria Francesca (1827-1876) fu un’apprezzata critica letteraria, e si dedicò allo studio di Dante, pubblicando nel 1871, The Shadow of Dante: Being an essay towards studying himself, his world, and his pilgrimage. In seguito si fece suora anglicana.
Dante Gabriel (1828-1882), il più celebre dei quattro, si dedicò dapprima alla poesia, ma poi si affermò come pittore. È ricordato per essere stato tra i fondatori del movimento pittorico dei “preraffaelliti”.
William Michael (1829-1919), poeta e critico letterario, abbandonò poi le discipline artistiche per dedicarsi al sostentamento economico della famiglia lavorando come funzionario della Agenzia delle Entrate.
Christina Georgina (1830-1894) divenne un’apprezzata poetessa: la sua prima raccolta, Goblin Market and Other Poems (1862) ottenne un buon riscontro di critica. Fu di lei che divenne amica Enrica Gotti Filopanti.
In alcune lettere tra la fine del 1865 e l’inizio del 1866 scritte all’amica Amelia Barnard Heimann, Christina le raccomandava Enrica Filopanti, qualora lei stessa o qualcuno di sua conoscenza stesse cercando una maestra di italiano.
A Londra Enrica, oltre a frequentare casa Rossetti, conobbe numerosi altri esuli e partecipò attivamente alla promozione dell’indipendenza dell’Italia.
Fu in rapporti anche con Giuseppe Mazzini, che più volte parlava di lei nelle lettere inviate a Emilie Ashurst, moglie del patriota italiano Carlo Venturi e attivista per i diritti civili nonché sostenitrice della causa italiana e che in passato aveva conosciuto anche Filopanti.

«Un’altra persona che ho conosciuto attraverso Scott è stata la signora Enrica Filopanti, una donna italiana, graziosa e degna di stima, che si è mantenuta per qualche anno in Inghilterra per mezzo dell’insegnamento. Era sposata con un rivoluzionario italiano, alquanto irrazionale, di nome Barile (sic). Costui scelse di chiamarsi Filopanti, e di mettersi al servizio della causa dell’umanità nel suo complesso, ma senza includere la moglie, che fu quindi lasciata ad arrangiarsi da sola. Una breve poesia di Christina, intitolato Enrica, 1865, riguarda questa donna, che è ancora viva in Italia».
Testo tratto da William Michael Rossetti, Some Reminiscences, New York, Charles Scribner’s Sons, 1906, v. I, p. 135.
1864: Garibaldi a Londra
L’11 aprile 1864 Garibaldi giunse a Londra, accolto da una folla entusiasta di oltre mezzo milione di persone. Tra queste vi era anche Enrica Filopanti, che lo avvicinò mentre, tra due ali di folla, l’Eroe dei due mondi provò a raggiungere il luogo del ricevimento organizzato in suo onore.
Da «The Daily News» del 12 aprile 1864: «Uno dei segretari del Comitato dei Lavoratori si fece avanti e lesse un saluto che fu fortemente applaudito. […] Prima che il generale potesse replicare, una donna italiana, la signora Filopanti, si precipitò con entusiasmo sul palco e rivolse nei confronti del Generale un discorso, del quale solamente una parte fu udita per l’equivoco che si trattava di un’interruzione della cerimonia, come in effetti era, ma fu piacevole, anche perché si venne a sapere che la donna era in relazione con uno dei più vecchi e stimati amici di Garibaldi: “Benvenuto” – lei disse – “benvenuto Garibaldi. Questo popolo buono e generoso è qui per onorarti per il tuo coraggio e la tua cavalleria, per le tue ambizioni generose e degne di ogni cosa. Un’ammirazione grande come scoppi di gloria irrompe spontaneamente dal cuore della maggior parte delle persone, com’è la più potente nazione al mondo. Con questa espressione dei loro sentimenti e con questa manifestazione della loro simpatia e della loro ammirazione, essi dimostrano di essere amici della virtù, dell’umanità e della libertà. Io sono sopraffatta dalla gioia di essere testimone di questo momento glorioso, di questa scena di affetto. E tanto più per il fatto che sono concittadina dell’eroe che tu hai così cordialmente salutato con entusiasmo, e io oso alzare la mia voce in mezzo a questa assemblea di inglesi per ringraziarli a tuo nome e a nome dell’Italia per l’onore che stanno conferendo su di noi. Garibaldi, possa il tuo patriottismo sacro e disinteressato, essere gratificato dal trionfo finale della libertà italiana contro il dispotismo”. (Forti applausi)
“Possa il tuo nobile esempio far sorridere tutti i cuori e contribuire a impiantare fra le nazioni quell’amore e quella verità nel nome santificato della libertà, che un giorno unirà l’umanità in un’unica famiglia felice”. (Applausi)
Durante il discorso, all’inizio molto interrotto, ma alla fine accolto con entusiasmo, Garibaldi si piegò con cortesia verso la donna, continuando a fare con la mano dei gradevoli gesti di rifiuto quando si faceva riferimento ai suoi meriti».

Matilda Sharpe, Joseph Bonomi the Younger (1868) Olio su tela. Londra, National Portrait Gallery.
Enrica e la famiglia Bonomi
Oltre che dei Rossetti, in Inghilterra Enrica divenne intima amica anche della famiglia del celebre scultore ed egittologo di origini italiane Joseph Bonomi (1796- 1878). Il padre, che era un celebre architetto, aveva costruito una grande casa per tutta la famiglia, detta The Camels, nei pressi di Wimbledon. Dopo che la moglie, Jessie Martin (1825-1859), era morta ancora giovane, la sorella di lei, Isabella Mary Martin andò a vivere con Bonomi per aiutarlo ad allevare i quattro figli piccoli: Isabella (1853-1916), Cecilia (1855-1944), Joseph Ignatius (1857-1930) e Marion (1858-90).
Enrica Filopanti fu assunta dal Bonomi come insegnante di italiano proprio per le tre figlie femmine. Presso il Department of Manuscripts and University Archives della Cambridge University Library, restano molte lettere inviate nel corso degli anni da Enrica a Joseph Bonomi e alla cognata.
In una lettera scritta a Joseph Bonomi il 26 settembre 1863 gli annunciava che avrebbe passato un periodo di vacanza ad Ashurst Wood, Cast Griustead, nel Sussex: «La mia cara e buona amica, la signora Epps, mi ha gentilmente invitato a stare per un poco nella loro casa di campagna. Sono sicura che la gradevole compagnia di cui io godrò, così come le bellezze di questo posto così bello e le piacevoli camminate all’aria aperta faranno bene sia alla mia salute, sia al mio spirito […] Ma le difficoltà sono grandi e io ho quasi la paura che sarò obbligata a prendere la decisione di accantonare tutte le speranze. Il mio tentativo si rivelerà un fallimento, ma almeno non avrò il rammarico di non aver avuto casa in Inghilterra».
A un certo punto Enrica temette di dover rientrare in Italia, come si legge in una lettera scritta a Miss Martin da Londra il 4 maggio 1868: «Ho la speranza che presto starò meglio, se solo non dovessi lasciare Londra per andare a cercare maggiore fortuna nella mia nazione».
Nel 1872, per la prima volta da quando era partita, dieci anni prima, Enrica scese in Italia per qualche mese, per passare le vacanze. Si fermò prima a Bologna e poi andò dal fratello Ludovico che si era trasferito a Castelleone di Suasa, in provincia di Ancona, paese del quale diventerà anche sindaco nel 1899. Così scriveva da Bologna a Joseph Bonomi il 26 settembre 1872: «Comincio a cavarmi la voglia dei miei cibi italiani, compresa ancora la famosa mortadella, o Bologna sausage, come la chiamano gl’inglesi. Mangio ancora della buona uva detta Moscatello. L’aspetto di Bologna è materialmente migliorato, pure resta ancora a desiderare un miglioramento morale, che sarebbe più importante».
Due mesi più tardi Enrica si trovava ancora in Italia, a casa del fratello a Castelleone di Suasa, e proprio da qui, il 29 novembre 1872, scrisse una lettera indirizzata alle sue tre alunne di casa Bonomi: «Non so ancora con precisione quando avrò il bene di riabbracciarvi, ma sarà fra non molto».
Anche nel 1873 Enrica tornò in Italia per le consuete vacanze in famiglia, a casa del fratello, ma forse questa volta il ritorno in Italia non prevedeva il rientro in Inghilterra. Così infatti concludeva una lettera scritta a Bonomi da Castelleone di Suasa il 19 dicembre 1873: «Creda che non mi scordo dei Cammelli: nome che mi suscita mille care rimembranze. Creda che il mio cuore non cessa d’esserle grato». In questa stessa lettera si rammaricava di non aver incontrato lo stesso Joseph Bonomi che era passato da Bologna, dove aveva fatto la conoscenza ed era stato ospite del marito, Quirico Filopanti: «Filopanti mi scrisse che il bel ritratto ch’io gli aveva fatto di lei non era punto esagerato. Gli piacque pur molto lo spiritoso Peppino [il figlio di Bonomi, n.d.r.]». E qui aggiunge una nota polemica nei confronti del marito: «Questi dovette trovare il vecchio pianoforte molto scordato. È l’unico mobile di casa mia che Filopanti ha conservato. Ha fatto bene a rispettare almeno questa cara reliquia dei bei tempi andati».
Anche dopo essere tornata definitivamente in Italia, Enrica continuò a mantenere frequenti e cordiali contatti epistolari con i suoi vecchi ospiti inglesi.
In una lettera dell’11 febbraio 1876 indirizzata a Miss Martin, scritta da casa del fratello nelle Marche, accenna a una nomina arrivatale dalla Giunta comunale di Bologna, nomina che però lei ha rifiutato, consigliata in tal senso anche dal marito, perché lo scarso stipendio ricevuto non le avrebbe consentito di vivere decorosamente: «La mia rinuncia però non fu accettata, a credo che il Consiglio stia per nominarmi di nuovo, e allora non avrò più forse ragione per ricusare». Infatti, dopo aver rinunciato più volte all’incarico, alla fine Enrica accettò. Il 31 dicembre 1876 Enrica scrisse a Bonomi per annunciargli che dalle Marche si sarebbe dovuta spostare a Bologna per occupare il suo posto di insegnante di inglese presso la Scuola Superiore Femminile.
Il 7 gennaio 1877 Enrica scrisse da Bologna a Joseph Bonomi per chiedergli di aiutare un nipote del marito, tale Giuseppe Barilli, che da lì a breve si sarebbe recato in Inghilterra in viaggio di lavoro: «Gli occorrerebbe una guida intelligente che possedesse bene l’italiano o almeno il francese, giacché egli non conosce che imperfettamente l’inglese».
Il 5 luglio 1877 Enrica scrisse a Miss Martin per aggiornarla sul suo nuovo lavoro di insegnate a Bologna. Disse di essere molto felice e di aver ricevuto i complimenti della direttrice della scuola. Accennò anche al fatto che per le vacanze si sarebbe recata nuovamente da suo fratello e aggiunse: «Dove passerò le vacanze del prossimo anno? Spero proprio di poter venire a Londra con mio marito per venire a prendere i miei libri e le lettere. Il mio più grande piacere sarebbe quello di rivedere The Camels e i suoi gentili abitanti».
Questa è l’ultima lettera che ci rimane scambiata tra Enrica e i Bonomi, in quanto di lì a qualche mese Joseph sarebbe morto.
Enrica insegnante di inglese
Dalla metà degli anni Settanta alla fine dell’Ottocento, Enrica Gotti Filopanti insegnò la lingua inglese presso la Scuola Superiore Femminile di Bologna, inaugurata nel 1873 con sede in via de’ Foscherari 15.
Le Scuole Superiori Femminili erano nate in varie città d’Italia subito dopo l’Unità, allo scopo di fornire di un’adeguata istruzione le ragazze provenienti da famiglie benestanti. Non offrivano quindi una formazione professionale, ma solo una buona preparazione culturale in alternativa alle scuole private controllate dalla Chiesa, di cui si temeva il carattere antipatriottico.



















