Capriccio siciliano, di Gabriella Vergari, recensione di Daniela Domenici

“…quando impari a conoscere e ad ammirare la tua Terra e quella Terra è, in particolare, la Sicilia ti destini a un morbo che non ti farà più riprendere e al desiderio di abbracciarla nei suoi mille volti, sapori, colori, odori e sfaccettature così che il tuo sguardo possa sempre meglio rappresentarli nella loro piena essenza e malia, al di là di vieti e consolidati stereotipi…”: e Gabriella vergari, docente e scrittrice catanese, con questo suo “Capriccio siciliano” riesce a fare ciò che dichiara in queste sue frasi tratte dalla “nota dell’autrice”, abbracciare cioè la sua (e anche mia) Terra di Sicilia; sono ventisette racconti brevi alcuni dei quali sono nati tra il 1992 e il 1995 quando Vergari ha collaborato con “Vivere”, l’allegato mensile del quotidiano La Sicilia.

Il racconto “Don Luigi”, il più articolato della raccolta, posto a conclusione di tutti, è stato ispirato a un’autentica esperienza di vita dell’autrice e a un personaggio alquanto insolito; con questo racconto Vergari ha vinto il premio Guareschi nel 1993 che come lei stessa dichiara “le ha aperto il portone” dell’occasione di scrivere per il suddetto “Vivere”.

Questo “capriccio” di Vergari è, come si legge in seconda di copertina, “un componimento a proprio modo musicale, di forma libera e varia, al limite dell’improvvisazione” ma è, soprattutto, una commovente dichiarazione d’amore per la Sicilia che l’autrice fa alternando racconti con descrizioni di luoghi siciliani spesso poco conosciuti come le statue-mostri a Villa Butera a Bagheria e il lago di Naftia a Mineo, il fiume azzurro Ciane e la Casa dello Scirocco a Lentini, la rocca di Sperlinga e i Faraglioni di Aci Trezza, il museo della Moda a Mirto e il cimitero di Savoca, con descrizioni di feste come il 2 novembre e i regali lasciati ai bambini dai parenti morti.

In due racconti Vergari ci mostra anche la sua abilità poetica e ci regala delle composizioni in versi in lingua sicula: in “Il dramma sacro della memoria” e nella bellissima “Tammuriata”; in altri due si diverte, con grande ironia, a scherzare con alcune frasi lette sui muri in “Asino chi legge” e con la fisiognomica di visi e nasi siciliani in “Alla faccia dei siciliani”, denso di modi di dire in lingua siciliana antica.

Concludo con alcune frasi estrapolate dalla prefazione di Vincenzo Spampinato, formidabile musicista catanese che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere tanti anni fa “questa Terra che andrebbe scritta con la T maiuscola…questa Terra che andrebbe incoraggiata, amata, tolta dal nero dei giornali e rimessa nell’azzurro del mappamondo…bisogna leggerlo, viverlo questo Capriccio Siciliano, esserne suonatori e ascoltatori insieme altrimenti non sarà possibile entrare nel mood giusto