donne in Sardegna creatività ed espressione di sè, di Laura Candiani

Donne in Sardegna. Creatività ed espressione di sé

Chronica Mundi è una rivista scientifica a vocazione internazionale nata con l’idea di creare una piattaforma dove studiose e studiosi di storia, ma anche semplici appassionati/e possano trovare spunti di riflessione e dibattito, così recita la prefazione al primo numero, uscito nel 2011. Al vertice del ricco comitato editoriale, che vede illustri membri provenienti dal mondo accademico italiano e da Usa, Messico, Spagna, Gran Bretagna, Portogallo, si trova la direttrice Sara Delmedico, professoressa presso l’Università di Bologna, studiosa attenta alla storia delle donne nell’Ottocento e nei primi del Novecento, con particolare riguardo alla storia del diritto e alla letteratura. La rivista, giunta ora al numero 16/17 del 2022/23, di fatto un vero e proprio volume, è dedicata questa volta a una tematica per noi toponomaste particolarmente accattivante e per chi scrive uno stimolo forte alla lettura e all’approfondimento: Donne in Sardegna. Creatività ed espressione di sé, a cura di Sara Delmedico e di Elena Sottilotta, docente ricercatrice presso il Murray Edwards College dell’Università di Cambridge, anch’essa interessata agli studi di genere e alle figure femminili relegate ai margini della tradizione letteraria e fiabesca. Entrambe firmano l’introduzione in cui spiegano i filoni della loro ricerca e sintetizzano i lavori assai vari e ampi che compongono il numero e che spaziano dalla letteratura alla musica, dal mito alla grande Storia. Dato il respiro internazionale della rivista e le sue finalità, i testi presentano un abstract finale in inglese e sono arricchiti da note e bibliografie dettagliate, un vero aiuto per chiunque voglia approfondire per proprio conto e avere un contatto diretto con le fonti.

Se la Sardegna è un intero continente per la sua straordinaria varietà di ambienti e paesaggi, per usi e costumi, per lingue e popolazioni, è pure un immenso laboratorio in cui da tempi immemorabili si sono sperimentati modi di vivere, statuti, ordinamenti, purtroppo di solito cancellati da chi ne introduceva da fuori, forzatamente, di nuovi. Qui hanno vissuto donne eccezionali come Eleonora d’Arborea e Sardinia de Lacon, qui nacque e si formò Grazia Deledda, qui lavorò un’imprenditrice fuori dal comune come Francesca Sanna Sulis (Vv n.83), qui ha creato con le sue mani di fata Maria Lai (Vv n.228), fra boschi e rocce modellate dal vento agivano nell’ombra le accabadore; tradizione e modernità si uniscono mirabilmente grazie a penne di autrici contemporanee, a musiche e voci altrettanto significative, a una molteplicità di intenti che diviene il filo rosso che lega i personaggi raccontati e dunque i saggi presenti.

Notevole spazio, come è facile dedurre, è riservato in questo numero alla narrativa femminile, a cui si collegano poesia e canto. Non si tratta di opere “minori” o di autrici isolane, e in quanto tali isolate.

Ma di letteratura a tutto tondo, di cui non di rado ci siamo occupate su Vitamine vaganti, nei limiti degli spazi e delle finalità di una rivista on-line: più volte abbiamo fatto il punto sull’opera magistrale di Maria Giacobbe, riferendoci in primo luogo al suo Diario di una maestrina. Abbiamo recensito il romanzo di Milena Agus Un tempo gentile (Vv n.132) e in due occasioni sono state oggetto dei nostri scritti le donne, le eminas ribelli di Salvatore Niffoi, narratore insigne che ha uno sguardo attento e sensibile verso l’universo femminile (Vv n.136 n.243); non sono mancati articoli dedicati al ricordo di Michela Murgia e di Maria Carta, ma basta sfogliare l’indice della nostra pubblicazione per notare con quanto impegno e quanta passione ci si occupi della Sardegna, anche per altri aspetti legati alle bellezze artistiche, ai paesaggi, alla natura, alla locale odonomastica.

Riprendendo la riflessione sui saggi da analizzare, tutti di alto livello per ampiezza, ricchezza di documentazione, intento divulgativo, volevo iniziare con un personaggio storico poco noto: Sardinia de Lacon, di cui ci parla nel dettaglio Paolo Ferrante partendo dalla bella chiesa di San Pietro in Zuri, presso Ghilarza, in stile tardoromanico, ricostruita in posizione elevata per sottrarla alle acque che invasero la Valle del Tirso. Le pietre e la decorazione scultorea diventano una specie di libro in cui si raccontano le vicende dei Lacon, della realizzazione dell’edificio, della committenza. Eccezionale il ruolo riservato a Sardinia, in quanto donna, che affianca San Pietro, in una sorta di “ritratto” simbolico, di raffigurazione idealizzata. L’epigrafe latina, datata 1291, conferma sulla facciata il ruolo della “operaia e badessa“, ovvero colei che si è occupata nel concreto della gestione economica del cantiere. Naturalmente il saggio formula ipotesi e cita numerosi documenti per definire il personaggio e la sua identità, come pure si sofferma sull’arte del magister, Anselmo da Como.

Originale e curioso il quadro che viene delineato da Gianmarco Mancosu che si è occupato dei cinegiornali, in specie quelli che erano chiamati Settimana Incom e venivano proiettati nelle sale prima del film, di cui protagoniste sono le donne sarde, dal 1948 al 1962, ovvero durante la “rinascita” isolana e dell’Italia intera. Donne, pur spesso in abiti tradizionali, che divengono il simbolo del passaggio verso la modernità, come quelle che quasi accarezzano un enorme trattore alla fiera di Cagliari del 1949. Rimanendo fissi stereotipi e immagini tipiche, dal nuraghe alle launeddas, dai prodotti enogastronomici alle feste più note, fino all’immancabile ballo tondo, si viene a dare un’idea di Sardegna in via di cambiamento dove nascono centrali, dighe, strade, industrie, insediamenti Nato, ma l’immagine generale dell’isola è approssimativa e superficiale, quasi folkloristica. La donna non è da meno, perfino quando si tratta di raccontare il ritorno in pompa magna delle spoglie di Grazia Deledda a Nuoro. «Questi prodotti culturali ― conclude Mancosu ― hanno contribuito a plasmare e rafforzare l’immagine di una Sardegna sempre in bilico tra tradizione e modernità, tra arretratezza e crescita economica, tra mistero e attrazione turistica, in un equilibrio instabile che, a ben vedere, continua fino ai giorni nostri».

Il saggio Music and Language as Female Spaces of Creativity and Self-Expression in Sardinia: Maria Carta, Dolores Biosa and Franzisca Manca affronta il caso di tre musiciste rappresentative della loro terra, che non si sono limitate a interpretare canti tradizionali, ma sono pure artiste in senso lato, performer, impegnate politicamente. Si distinguono nell’attività di fusione fra canto e poesia, studiata da esperti come l’etnomusicologo Diego Carpitella, normalmente riservata alle voci maschili, anche nel secondo dopoguerra. E su ognuna si apre una ampia scheda di approfondimento che entra nei dettagli delle rispettive carriere. Impossibile in questa sede ripercorrere i loro processi creativi, i dischi, le collaborazioni, le ricerche sul territorio; si indaga fra l’altro sul legame fra Maria e il cantu a chiterra, fra Dolores e il coro di Aggius “Galletto di Gallura”, fra Franzisca e le tante attività dell’associazione culturale Elighes Uttiosos (è stata fra l’altro la prima e unica sindaca del suo paese, Santu Lussurgiu, e “maestra” della studiosa che ha redatto il testo: Kristina Jacobsen, insieme a Diego Pani e Marco Lutzu).

Prima di entrare nell’ambito della narrativa, operando inevitabili drastiche sintesi che speriamo tuttavia lascino il campo alla curiosità e alla voglia di saperne di più, suscita interesse una figura di poeta praticamente sconosciuta anche nella sua terra: Maria Elena Sini (1893-1989), di Benetutti, trattata nel saggio di Gloria Turtas. Ma cosa fece di tanto memorabile da meritare il nostro ricordo? Nel 1920, il periodico Cordelia finalmente rende onore all’autrice che, giovanissima, aveva scritto, ma non firmato, i Gosos pro sa Paghe, ovvero Le lodi per la pace, alla vigilia dell’intervento italiano nella Grande guerra. I gosos sono un genere parareligioso e devozionale riservato di solito agli uomini, oppure si tratta di versi anonimi, in lingua sarda, consistenti in un misto fra lode, preghiera, invocazione ai santi o alla Vergine, di derivazione spagnola, e destinati talvolta al canto. Comunque anche nel campo della poesia (sia quella “a tavolino” che quella improvvisata), come nella narrativa, il ruolo delle donne è marginale; sono poche e poco citate nelle antologie, sulle riviste, nei saggi. A questo destino non sfuggì Maria Elena, che pure aveva trovato parole semplici ma sincere nell’implorare la Madonna a favore della pace, nel ricordare le pene di mamme e mogli, nel pensare alle sofferenze dei soldati in trincea.

Un’altra poeta su cui si fa il punto è Antonella Anedda AngioyTessere parole si intitola il testo di Giuliana Adamo che ricorda come l’autrice sia pure storica dell’arte, saggista, traduttrice e «una delle voci più importanti della poesia contemporanea in Italia e all’estero» il cui «linguaggio tende alla cancellazione dell’io, lavorando in punta di scalpello, rastremando le parole, togliendo il superfluo, essenzializzando il necessario, non volendo mai essere perentoria e definitiva, in una lingua importante per quel che dice e per quel che tace, e per come lo dice e come lo tace».

«Non esistono nomi, autrici, autori,
volano soltanto le parole, si mischiano
alla pelle che cade sui divani, […]
Questo resta, la polvere e i suoi atomi sparsi,
cateti e ipotenusa per il teorema che chiamiamo poesia».
(Anedda, Historiae)

A proposito di narrativa femminile, come dicevamo, spetta all’ampia visione di Gigliola Sulis tracciare il “filo delle janas“, le piccole fate tessitrici delle leggende, offrendo un quadro esauriente della produzione e delle autrici più significative. Ciò serve pure a creare legami fra scrittura in prosa, poesia e arte e a riflettere sul ruolo delle isolane, da Grazia Deledda fino alle contemporanee, aperte al cambiamento, testimoni di una Sardegna in evoluzione. Interessante accedere agli elenchi di scrittrici qui proposti e tratti da cataloghi e antologie perché poche fra loro hanno varcato il mare e sono note nel continente: per una Bianca Pitzorno assai amata e conosciuta, specie per le sue bellissime opere per l’infanzia e la gioventù, ci sono cento Filomena Cherchi o Maria Pes, spesso ignote anche nell’isola. Qualcosa si è mosso di recente: la studiosa fa il caso di un allegato al Corriere della Sera (luglio 2021) in cui le “nipotine di Grazia Deledda” non solo sono ricordate, ma se ne citano le novità librarie, degni frutti di una “Sardegna plurale”. Due romanzi hanno, in un certo senso, fatto da apripista, entrambi usciti nel 2006: Mal di pietre di Milena Agus e Il mondo deve sapere di Michela Murgia, seguìto dal successo di Accabadora. Opere che escono dai cliché, dalla “sardità”, dal mondo agro-pastorale, dalla terra del banditismo, per cogliere invece aspetti del presente, delle località costiere, dei rapporti con il turismo, delle realtà urbane e delle problematiche al femminile, avvertite non solo in Sardegna.

Da citare sono pure due volumi diversi per stile e genere, ma ugualmente illuminanti: di Murgia il suo Viaggio in Sardegna che abbatte stereotipi e pregiudizi (un po’ come il delizioso In Sardegna non c’è il mare di Marcello Fois) e indica percorsi alternativi da seguire nella conoscenza più profonda del territorio, e Isolatria. Viaggio nell’arcipelago della Maddalena della citata Antonella Anedda che vanta fra gli antenati il patriota Giovanni Maria Angioy e che si sofferma su una realtà ancora più piccola e minoritaria: quella delle isolette a nord di Palau. Ma il saggio è ancora molto altro: una trattazione dettagliata dell’opera di Grazia Deledda («Grazia Deledda non è di moda in Italia ma è madre (o nonna) del crescente numero di talenti sardi. Come ogni madre viene ora accolta ora rinnegata», scrive Anedda) e lo specifico riferimento, da inquadrare nel secondo dopoguerra, alla produzione di quattro scrittrici significative a cui riserbare la giusta attenzione: Maria GiacobbeJoyce LussuMariangela Satta e Nadia Gallico Spano.

Rimanendo nell’ambito della prosa, suscita notevole interesse la scoperta di una autrice praticamente sconosciuta, ma che ha compiuto un’impresa di assoluto rilievo: stiamo parlando della nuorese Francesca Cambosu (trattata da Stefano Fogarizzu), nata nel 1898 e morta nel 1991, che scrisse nel lontano 1924 Sa bida est amoreil primo romanzo in lingua sarda, pubblicato solo tardivamente, nel 1982 a Siena, presso Cantagalli. Due anni dopo, a Sassari, da Stamperia Artistica fu edita un’altra sua opera in limba, quasi una continuazione della precedente: Su traballu est balore, segnalata pure da Michele Broccia in un bel saggio sulla letteratura isolana. Si tratta più che di romanzi, di veri e propri trattati di antropologia in cui Cambosu, «con una forte base religiosa», descrive la vita quotidiana a Nuoro e dintorni, in un recente passato, quello dei nonni e delle nonne («Jajos e Jajas nostras») che lei conosce bene per esperienza diretta e per la professione di insegnante. Aspetti di unicità sono poi il fatto che il suo sia comunque il primo romanzo di una scrittrice sarda a prendere vita in tutti gli anni Ottanta e che si stampi fuori dalla Sardegna, visto che era legato a un concorso bandito da Cantagalli. Una curiosità che forse sarà sfuggita a lettori e lettrici: questa narratrice è omonima (e parente) della madre di Grazia Deledda e imparentata anche con un importante romanziere e giornalista come Salvatore Cambosu, autore fra l’altro di Miele amaro (1954), tuttavia il suo nome è rimasto nel limbo per quasi sessant’anni.

Non possiamo concludere senza accennare alla bella intervista a Michela Murgia, intitolata Le scritture rimangono, curata da Delmedico e Sottilotta, realizzata nel 2021 durante il convegno Women in Sardinia: Creativity and Self-Expression. Intervista ampia e articolata che verte sia sull’attività della scrittrice e sul suo rapporto con la lingua sarda, sulla sua opera di divulgazione ― anche in teatro ― della conterranea Deledda, sulla sua scoperta della figura mitica di Morgana (strega o fata), sia sui temi a lei cari nell’ambito sociale e nella valorizzazione dell’universo femminile. Estrapolando da queste pagine, possiamo fare nostri i suggerimenti di lettura legati alla predilezione di Murgia per alcuni specifici romanzi di Deledda: lei cita come preferiti Cosima, e poi Canne al vento, ma anche Cenere; ricorda pure un’opera non arrivata al grande pubblico: Il nostro padrone che rivela una inaspettata vena ecologista.

Ci scuserete se abbiamo tralasciato sia il saggio sull’opera di Salvatore Niffoi (di Laura Nieddu) e sulle sue donne coraggiose e ribelli, barbaricine impavide e temibili, sia quello sul romanzo corale di Milena Agus (di Ramona Onnis) per la scarsità di spazio a nostra disposizione e per avere di entrambi già trattato diffusamente su questa rivista; ma chi vorrà saperne di più e trovare ulteriori stimoli per affrontarne la lettura, si potrà rivolgere con grande soddisfazione alle pagine del presente numero di Chronica Mundi, una vera miniera di informazioni e di preziosi consigli per conoscere alcuni aspetti della cultura sarda declinata al femminile.