Caty Torta, pittrice, pilota e spirito libero, di Loretta Junck

Caty Torta, pittrice, pilota e spirito libero

È stata prima di tutto una donna e un’artista libera. Ha dipinto tutta la vita e si è adoperata perché le sue opere fossero esposte in grandi collezioni stabili e musei, ma non si è mai legata a mercanti d’arte o gallerie e non ha mai accettato di considerare i suoi quadri una merce. Non ha voluto mettere a rischio la propria libertà venendo a patti con il mercato e lo ha ancora ribadito nell’intervista concessa nel 2013, un anno prima della sua morte; il video è su YouTube. Certo la sua è stata un’opzione resa possibile da una florida condizione economica, ma quante persone benestanti come lei hanno fatto una scelta diversa?

Caterina (Caty) Torta nasce a Torino in una famiglia altoborghese nel 1920 e in lei la passione per la pittura inizia precocemente. Incomincia a disegnare a cinque anni e ne ha dodici quando senza alcuna formazione dipinge il primo vero quadro, I buoi, una rappresentazione dal vero di una scena quotidiana. Frequenta quindi lo studio di Tullio Alemanni, accademico ottocentista molto attivo a quel tempo fra Torino e Ivrea, e dopo aver conseguito il diploma di scuola superiore studia all’Accademia Albertina, diventando allieva di Felice Casorati.
Esplode nel frattempo l’altra grande passione, quella dei motori, dell’automobile e della velocità. A diciotto anni le regalano una Lancia Aprilia con la quale per due volte Caty corre la Mille Miglia – la gara di endurance resa mitica da Tazio Nuvolari, che la vinse nel 1930 al volante di un’Alfa Romeo e che Enzo Ferrari definì la corsa più bella del mondo – la Milano Sanremo e altre gare automobilistiche. La famiglia non sembra spaventata da queste passioni “maschili” della ragazza e, anzi, è suo padre a farle da navigatore, al suo fianco nelle corse.
Non si oppone nemmeno quando Caty – siamo nella metà degli anni ’50 – sceglie di andare a specializzarsi a Parigi e vi rimane per due anni. E poiché nell’ambiente perbenista della Torino di quei tempi era impensabile che una ragazza se ne andasse tutta sola in giro per l’Europa, per tacitare le malelingue la famiglia si inventa uno zio parigino in grado di controllarla.

A Parigi frequenta l’Académie de la Grande Chaumière, a Montparnasse, la stessa dove studiarono Mirò e Modigliani. Nel 1956 viene invitata a partecipare al Festival dell’Arte al Museo dell’Aia e nel 1958 viene insignita a Parigi del Diplome d’Honneur de la Confédération de l’Art libre. Nello stesso anno il Museo Civico di Arte Moderna (oggi Gam) di Torino acquista un suo quadro. Lei però, disinteressata all’apparire (e in questo probabilmente l’educazione famigliare “sabauda” ha un peso significativo) non pigia sull’acceleratore nel momento di massimo successo, come le suggerisce di fare anche la storica dell’arte Anna Maria Brizio, che la incoraggia a divulgare di più le sue opere. Per lei conta il percorso artistico, non l’esibizione personale.
Torna a Torino, sposa un medico, Cesare Denoyè, un uomo colto che è anche violinista e compositore, e mette al mondo un figlio, ma nel 1966 il marito muore precocemente. L’Accademia Albertina le propone di insegnarvi Disegno; è una cattedra prestigiosa, ma il piccolo Giulio Cesare ha solo cinque anni e lei per occuparsi di suo figlio sceglie di rinunciare all’insegnamento accademico e non se ne pentirà mai.

La pittura di Caty Torta rispecchia fedelmente la sua personalità e l’evoluzione dei suoi interessi, che comprendevano la passione per la musica, per la velocità e tutto ciò che concerneva la modernità: la tecnologia, la ricerca scientifica, la chimica, la fisica, la fissione dell’atomo, l’ecologia. Dal figurativo è passata all’astratto, che per lei è stato un traguardo nel segno della sintesi ed è imprescindibile dal disegno: come ha ribadito nell’intervista rilasciata alla fine della sua lunga vita, non si può dipingere senza saper disegnare. Al colore, poi, ha affidato il compito di tradurre le emozioni. Splendide, in proposito, le parole del suo maestro Felice Casorati, che apprezzava molto la pittura di questa sua allieva talentuosa: «Vorrei proprio trovare parole adatte che squillassero gaie e ridanciane come i suoi rossi di bragia, che fossero burlesche come i suoi verdi, cattive e ambigue come i suoi gialli, che fossero lamenti, preghiere come i suoi azzurri, che annunciassero catastrofi come i suoi neri di velluto». Meglio non si potrebbe dire.

Nel 2020 il figlio Cesare ha voluto ricordare la figura della madre nel centenario della sua nascita, ma la mostra ha dovuto essere rimandata di qualche mese a causa dell’epidemia di Covid e si è aperta nel giugno del 2021, per rimanervi fino a gennaio dell’anno seguente, al Museo dell’Automobile, un luogo che sicuramente a Caty sarebbe piaciuto come cornice per i suoi quadri. Qui 16 opere e alcuni bozzetti scelti dalla ricca collezione di Cesare Denoyè percorrevano le tappe della ricerca artistica della pittrice, dal figurativo degli inizi all’astrattismo della maturità, mentre a ricordare l’altra grande passione di Caty, quella per i motori, erano esposte tre automobili: una Lancia Aprilia, una Golf Gti e la Porche 911 Carrera modello 996, la sua ultima auto che guidò fino a 83 anni, quando si convinse a passare il volante al figlio. Riconobbe infatti che i suoi riflessi non erano più «quelli di una volta», quando partiva rombando, competitiva, in gara con i giovanotti che nella bella signora affiancata ai semafori non sospettavano le capacità della pilota (ma qualcuno l’ha definita “pilotessa”!) di auto da corsa.
Il figlio l’ha descritta come «una mamma un po’ diversa dalle altre», così spericolata nella guida che in auto con lei aveva sempre l’impressione di essere in giostra. L’ha ricordata come una donna decisa ed energica, che non aveva paura del confronto ma non era aggressiva, una madre che l’ha lasciato sempre libero di seguire i propri interessi, senza interferire. Una donna forte e libera, capace di andare dritta per la sua strada dimostrando la sua superiorità con i fatti, accettando la competizione ma non il conflitto. Questa l’immagine lusinghiera che ci resta di lei, e ci piacerebbe se la sua Città natale, Torino, le dedicasse un luogo cittadino, riconoscendo il contributo in campo artistico che seppe offrire questa antesignana dell’indipendenza femminile.