una siciliana atipica, una donna libera di Ragusa, di Ester Rizzo

Maria Occhipinti: «una siciliana atipica capace, che sfugge ad ogni etichetta. La divulgazione del suo pensiero va di pari passo con la diffusione della sua scrittura, sempre grazie a donne che l’hanno incrociata nel loro percorso, rimanendone affascinate», così scrivono Gisella Modica e Serena Todesco nell’introduzione di Maria Occhipinti: i luoghi, le voci, la memoria.
Il volume è stato redatto con i contributi di Adriana Chemello, Maria Rosa Cutrufelli, Nadia Terranova, Elvira Federici, Laura Barone, Maria Grazia Calabrese e Marilena Licitra Occhipinti che, oltre ad evidenziare peculiari aspetti della sua personalità, ne mettono in risalto lo spirito di condivisione, l’etica della giustizia e della compassione, tematiche più che mai attuali per ridefinire spazi e ambiti politici, sociali e femministi. Le autrici ne raccolgono la voce che reclamava di stare al mondo con consapevolezza.
Maria Occhipinti fu scrittrice, poeta, attivista, politica, pensatrice ma resta una figura di donna ancora poco conosciuta e troppo poco valorizzata. Il suo ricordo è principalmente legato a un suo atto di ferma e ribelle disobbedienza: all’età di ventitré anni e incinta di cinque mesi, il 4 gennaio del 1945, a Ragusa, si sdraiò a terra per impedire il passaggio dei camion militari che rastrellavano tutti gli uomini abili per il richiamo alle armi.
Da lì partì la protesta del “Non si parte”. Lei stessa racconta: «[…] all’incrocio dello stradone, mi trovai dinanzi al camion, seguita dalle altre donne. Ci avvicinammo agli sbirri che erano armati, cercando di persuaderli: lasciate i nostri figli per carità! Lasciateli. Qualcuna tentava di disarmarli o s’inginocchiava per commuoverli […] ma i poliziotti erano impassibili, il camion riprendeva la sua marcia lenta e allora mi stesi supina davanti alle ruote del camion […] lo stradone in pochi minuti fu pieno di gente eccitata e pronta a tutto […] ma l’ira dei soldati fu tremenda, spararono sulla folle inerme».
Quella visione evoca una forza non solo fisica ma anche simbolica: un corpo di donna che genera vita e si oppone a mezzi meccanici che si accingevano a seminare morte. Maria, prelevata a forza, fu mandata al confino all’isola di Ustica dove partorì la figlia Maria Lenina. In seguito, venne trasferita al carcere delle Benedettine di Palermo e anche lì protestava per le scarse condizioni igieniche in cui detenute e prole erano costrette a sopravvivere: pagliericci che puzzavano di urina, insetti nel cibo, mancanza di acqua calda per lavare i figli. Quelle proteste le costarono condanne con ulteriori giorni di carcere ma lei continuava a reclamare diritti. Venne finalmente liberata dopo l’amnistia del Governo Togliatti.
Maria Occhipinti, nata a Ragusa il 29 luglio del 1921 in un quartiere popolare, ebbe un’infanzia e un’adolescenza priva di cure amorevoli, di soldi, di cultura. Dentro di lei però ardevano forti passioni: per la giustizia, per la pace, per la lettura, per il bello. Nel 1938 si sposò con un fabbro e nel 1941 rimase incinta, ma la sua prima bambina morì poche ore dopo la nascita. Nel 1944 si iscrisse alla Camera del Lavoro contro il volere del padre, del marito e dei parenti, iniziando a organizzare le donne del quartiere per chiedere pane, sussidi e calmieramento dei prezzi. Ben presto diventò un saldo punto di riferimento, raccogliendo i problemi di tutte le altre donne e dei più disagiati e facendosene portavoce.
Dopo la detenzione, con il ritorno a Ragusa, si rese amaramente conto che i suoi concittadini la tenevano a distanza. Amici, amiche, conoscenti la schivavano e anche i familiari la ripudiarono lasciandola completamente sola. I suoi gesti da eroina durante la rivolta divennero atti esecrabili una volta ritornata la pace. Ricordando quel periodo scrisse: «La loro freddezza e il loro silenzio mi pesavano sul cuore come un macigno».
Laura Barone a cui era legata da un rapporto di amicizia e che ebbe con lei una fitta corrispondenza epistolare, cercò di risvegliare l’interesse dei ragusani per questa loro concittadina ma in gran parte, le risposero che «era una donna chiacchierata e che non era il caso di occuparsene».
Quando Maria decise di andare via da Ragusa attraversò il mondo svolgendo svariati lavori nei luoghi in cui risiedeva. Fu cameriera a Napoli e in seguito a Ravenna, operaia a New York, portantina a Casablanca, infermiera a Losanna e a Parigi. Alle Hawai lavorò per sei mesi in un ospedale psichiatrico per poi trasferirsi a Los Angeles. Nel suo peregrinare non attraversò semplicemente i territori ma ne colse lo spirito, il pensiero spesso diverso degli e delle abitanti, le loro relazioni, gli atteggiamenti. Era un “andare incontro all’Altro”. La sua non era una fuga ma, come scrive Gisella Modica, «In ogni luogo dove approda, in modo transitorio, pianta il suo carrubo. Albero secolare, sede di poteri magico-soprannaturali, di truvature (tesori nascosti) e di ritrovo delle streghe, e lì ricrea il suo mondo dove il cuore poteva avere libero sfogo».
E ancora «[…] i paesaggi entrano in dialogo con le sue vicende di vita […]» come scrive Nadia Terranova facendo anche un parallelismo con la scrittrice andalusa Maria Zambrano. In questo cammino l’accompagnò la figlia che però compiuti 18 anni decise di restare a Montreal, rifiutandosi di seguirla nel suo tumultuoso percorso, stanca di vivere in alloggi provvisori, di cambiare scuole e amici così frequentemente. Maria Lenina decise anche di cambiare nome e diventò Marilena.
La produzione letteraria di Maria Occhipinti iniziò nel 1957 con il romanzo autobiografico Una donna di Ragusa, pubblicato nella prima edizione dall’editore fiorentino Luciano Landi e l’introduzione firmata da Carlo Levi. Alcuni estratti di questo libro vennero tradotti e pubblicati sulla prestigiosa rivista Le Temps modernes di Jean Paule Sartre. Il romanzo fu in seguito ripubblicato da Feltrinelli e tradotto in lingua svedese e francese.
Rientrata in Italia da Los Angeles, nel 1973, scrisse Una donna libera (pubblicato postumo da Sellerio nel 2004) e nel 1993 Il carrubbo e altri racconti. Nei suoi libri troviamo una scrittura libera e integerrima, così come era lei. I suoi scritti non mirano ad accattivare chi legge anzi lo risucchiano in un vortice che non illude e non rassicura. Lei stessa si definì “una libera pensatrice, fuori da ogni setta politica”. La sua scrittura serve a «costruire ponti verso mondi altri, altrettanto marginali, e richiede l’attraversamento di tanti nostri confini mentali», come sottolinea Serena Todesco.
Il 20 agosto del 1996 Maria chiuse la sua esistenza terrena a Roma lasciandoci un’eredità che può apparire pesante, complessa ma che in realtà contiene la richiesta di guardare in profondità e con una prospettiva diversa questioni etiche e politiche che riguardano principalmente le donne ma non solo. Il suo sguardo si ferma «su tutte le ingiustizie di cui la vita la renderà testimone», come evidenzia Elvira Federici. La sua giustizia consiste anche nel «far sapere e dire la verità dei fatti», ed era proprio questo suo atteggiamento critico e consapevole che la rendeva spesso invisa in molti ambienti in cui lei non trovava collocazione precisa. Ad esempio, quando chiese alle femministe di scrivere una lettera per supportare le lotte dei contadini ragusani, si sentì rispondere che quello era un tema estraneo ai loro programmi. E lei non accettò e non comprese quella risposta.
Fu anche «un’antesignana di quello che oggi definiamo eco-femminismo, capace di stupirci e d’illuminarci la strada in questi tempi bui», come scrive Maria Grazia Calabrese. Il suo impegno contro le guerre fu totale. Ricordiamo che lanciò una campagna contro il servizio militare femminile, consegnando nelle mani della Presidente della Camera Nilde Jotti le numerose firme raccolte perché quella legge fagocitava le donne in una spirale di violenza e sopraffazione, con la scusa della parità di genere. La ritroviamo impegnata a Comiso insieme al popolo pacifista contro la costruzione della base missilistica della Nato. Lei stessa scrisse «Cos’era la Patria? E gli eroi e i martiri della storia che avevo letti nel mio libro di terza classe, cos’erano? […] Non vedevo che un mondo di stracci incolori che venivano spazzati nell’aria a colpi di cannone. Anch’io ero uno straccio. Ma come può avvenire tutto questo? Mi chiedo. Chi ne è la causa?».
Così la descrive la figlia Maria Lenina Licitra Occhipinti: «Mia madre era coraggiosa, intraprendente, sempre coerente con i suoi ideali di onestà: A New York aveva partecipato a diverse manifestazioni contro la guerra in Vietnam, sempre in prima linea per contrastare le ingiustizie e il razzismo. Si prodigava per aiutare le persone più bisognose, anche a costo di privarsi. Viveva molto semplicemente, si accontentava dello stretto necessario era contro il consumismo e la società capitalista che metteva al primo posto i profitti e non gli esseri umani».
Maria Rosa Cutrufelli ci ricorda come il suo ultimo intervento a un convegno «ci conduce ancora una volta, fuori dal nostro piccolo recinto, fuori dai nostri limiti geografici. Sono parole in difesa della Somalia e contro tutti i macellai dell’umanità. Disse: sono vecchia e malata; eppure, da tempo ho capito che certi mali non si curano con certe medicine. La produzione di morte va distrutta alle radici, prima che sia troppo tardi».
Questa sua voce che ha attraversato i luoghi, grazie a questo libro ci impone varie riflessioni e ci sprona a non dimenticare una donna che veramente della disobbedienza fece splendida virtù. Negli ultimi anni varie iniziative sono state organizzate per ricordarla come quella della Sil (Società italiana letterate), organizzata nel 2021 presso la Casa internazionale delle donne di Roma.
A Ragusa le è stata intitolata una rotonda. Ma è ancora troppo poco.
E oggi, in questi tristi tempi di guerre, quello che scrisse in Una donna libera dovrebbe forse essere ripetuto con più forza: «La nostra passività ha permesso agli uomini di calpestare i nostri valori e d’ impadronirsi in nome della patria del frutto delle nostre viscere: mandando al macello i figli come bestie per fare gli interessi dei guerrafondai». «Maria ha segnato con la sua vita un punto di non ritorno, producendo scompiglio con le sue idee intrise di anarchismo, socialismo libertario e carità evangelica Ma da pioniera ha indicato la via della ricerca di una autentica libertà alle altre donne: una libertà che non ha mai smesso di Perseguire». Necrologio di Adriana Chemello pubblicato sul Manifesto 1/9/1996.