poesia matematica, di Millôr Fernandes, traduzione di Manuela Colombo

Proprio nel mezzo
Del testo matematico
Un Quoziente s’innamorò
Un giorno
Follemente
Di un’Incognita.
La guardò col suo sguardo innumerevole
E la vide, dall’Apice alla Base,
Una Figura senza Pari;
Occhi romboidali, bocca a trapezio,
Corpo ottagonale, seni sferici.
Fece della propria
Una vita
Parallela alla sua
Finché s’incontrarono
All’Infinito.
“Chi sei tu?” indagò lui
Con ansia radicale.
“Sono la somma del quadrato dei cateti.
Ma tu mi puoi chiamare Ipotenusa.”
E nel parlare scoprirono d’essere
– Ciò che, in aritmetica, corrisponde
Ad anime gemelle –
Primi fra loro.
E così si amarono
Al quadrato della velocità della luce
Alla sesta potenza
Tracciando
Al capriccio del momento
E della passione
Rette, curve, cerchi e linee sinusoidali.
Scandalizzarono gli ortodossi delle formule euclidee
E gli esegeti dell’Universo Finito.
Ruppero convenzioni newtoniane e pitagoriche.
E, infine, decisero di sposarsi
Costituire un lare (un focolare).
Più che un lare (un focolare),
Una perpendicolare.
Invitarono come testimoni
Il Poliedro e la Bisettrice.
E fecero piani, equazioni e diagrammi per il futuro
Sognando una felicità
Integrale
E differenziale.
E si sposarono ed ebbero una secante e tre coni
Molto carini
E furono felici
Fino al giorno
In cui tutto, infine,
diviene monotonia.
Fu allora che spuntò
Il Massimo Comun Divisore
Frequentatore di Circoli Concentrici.
Viziosi.
A lei, fece dono
Di una Grandezza Assoluta,
E la ridusse a un Denominatore Comune.
Lui, il Quoziente, percepì
Che con lei non formava più un Tutt’Uno,
Una Unità. Era un Triangolo,
Cosiddetto amoroso.
Di questo problema lei era la frazione
Più comune.
Ma fu allora che Einstein scoprì la Relatività
E tutto ciò che era spurio venne ad essere
Moralità.
Come, del resto, in qualunque
Società.