il realismo ironico e caricaturale di Nicole Eisenman, di Livia Capasso

Nicole Eisenman è nata in Francia, a Verdun, nel 1965, dove suo padre era psichiatra militare. È di origine ebraico-tedesca; anche la sua bisnonna, Esther Hamerman, era pittrice. Nel 1970, la famiglia si trasferì dalla Francia a Scarsdale, nello stato di New York; Nicole ha studiato alla Rhode Island School of Design a Providence, e si è laureata in pittura nel 1987. Attualmente vive e lavora nel quartiere newyorkese di Brooklin. Ha due figli con un’ex compagna, Victoria Robinson. È sia pittrice che scultrice, oltre che attivista queer-femminista. In un’intervista del 2016 al New York Times ha dichiarato a proposito della sua identità di genere: «Sono gender fluid, ma uso il pronome lei. Credo nella radicalità di estendere la definizione di cosa sia “lei”». Eisenman infatti parla di sé al femminile.
Nel corso della sua attività ha sperimentato ogni possibile modalità figurativa, realizzando incisioni, dipinti, installazioni multimediali, disegni, e sculture, in uno stile che paradossalmente fonde il disegno fumettistico con l’arte rinascimentale: in questo modo racconta il presente, riuscendo a dare evidenza plastica alle figure, grazie ai contorni netti, ai colori accesi e ai tratti caricaturali, tipici dei fumetti, ma anche di sistemarle in una disposizione che ricorda i grandi maestri europei, da Bruegel il Vecchio ad Hans Holbein. Rinascimento, Barocco, Realismo sociale, Espressionismo tedesco, sono le sue fonti ispiratrici, ma, come osserva Massimiliano Gioni, direttore artistico del New Museum di New York, «non si inginocchia passivamente di fronte alla storia dell’arte; la resuscita e la mimetizza nel nostro presente». Da ogni epoca della storia dell’arte ricava sempre qualcosa, questa è la sua capacità più importante, insieme alla critica alle convenzioni sociali, alla provocazione, che mette in atto soprattutto quando affronta temi che la toccano personalmente come la fluidità e la sessualità. Anche i temi politici sono affrontati in chiave satirica e caricaturale, con un’ironia tagliente e dissacrante. La sua rappresentazione del reale appare a volte quasi bizzarra, estrosa, ma sempre carica di verità, e restituisce protagonismo all’essere umano, che era stato dimenticato con l’avanzare dell’arte astratta. L’artista in questo modo rivendica il diritto di essere sé stessa, il diritto di ciascuna donna alla libertà e al piacere e coinvolge il pubblico invitandolo a far sentire la propria voce.
Captured Pirates on the Island of Lesbos (1992) dà concretezza a una fantasia erotica, tra piaceri e violenza, un’orgia di amori lesbici di donne che catturano ed evirano pirati.

Il successo comincia ad arrivare nel 1995, alla Biennale del Whitney Museum of American Art, di New York: uno dei contributi di Eisenman fu Self-Portrait with Exploded Whitney, un imponente murale che prende di mira il mondo dell’arte, raffigurando al contempo l’isolamento della posizione di Eisenman al suo interno. Lungo nove metri, raffigura l’edificio di Marcel Breuer, che fino al 2014 è stato sede del museo, come un cumulo di macerie, al centro del quale l’artista stessa lavora, imperturbabile, nonostante il caos che la circonda.

Il tema della collettività, delle lotte per i diritti civili, della solidarietà, è un altro elemento molto importante nella poetica di Eisenman, la folla è sempre la protagonista dei suoi lavori all’interno della quale il singolo però non è un soggetto anonimo.
Beasley Street (2007) prende ispirazione dall’omonima ballata del poeta inglese John Cooper Clarke, dedicata alla lotta di classe, e rappresenta una piazza affollata dove l’interazione umana è dubbia, i personaggi sono silenziosi e indifferenti, come l’uomo vestito in abito nero che sale la rampa di scale e guarda distaccato un mendicante alle sue spalle.

In Coping (2008) nella folla di individui dai volti spettrali, immersi in un mare di fango, i soggetti reagiscono all’inondazione ognuno a modo proprio, ma è comune l’intento di sopravvivere e non farsi travolgere dalla forza della natura.

Dello stesso anno è The Session, dove Eisenman raffigura quello che descrive come il suo “peggior incubo”: una seduta di terapia con il padre psicoanalista. L’artista appare scalza e impaurita, mentre fissa un vaso dalla forma fallica; il padre controlla l’ora, apparentemente annoiato, a dimostrazione del loro rapporto teso per il rifiuto del padre di accettare l’identità queer della figlia.

In The Triumph of Poverty i poveri sono in fila dietro a un uomo d’affari che ha il sedere al posto dello stomaco, in una singolare inversione allegorica tra avanti e dietro.

Intrisi di uno spirito attivista e comunitario sono i lavori della serie Beer Gardens (2009-17): qui i locali all’aperto di Brooklyn diventano i nuovi caffè impressionisti, animati da hipster, millenial e persone non binarie. Anche qui, nella folla, gli individui non sono anonimi, ma ognuno si distingue dall’altro. In Another Green World, del 2015, tutti sono soli e tutti sono insieme, nella società contemporanea, la più interconnessa, ma anche la più deprimente che la storia abbia conosciuto.



Opere come Weeks on the Train (2015), Morning Studio (2016) e Dark Light (2017) raffigurano anche nei dettagli la vita moderna, iPhone, jeans, cappucci, laptop, cassette di plastica usate come mobili, e collocano l’arte di Eisenman nella tradizione del realismo e della pittura di genere. In Morning Studio due donne sono teneramente abbracciate su un divano e sullo sfondo la maxiproiezione del desktop di un Mac. In Dark Light quattro uomini sono nel cassone di un pick-up, tre dei quali addormentati mentre l’ultimo è in piedi e illumina una torcia che emana ombra anziché luce. Questa figura, con il volto accigliato, indossa una maglietta mimetica e un cappellino rosso da camionista. È la denuncia dello stato etnico bianco, che contrasta con gli spazi invitanti dei suoi Beer Garden di Brooklyn, dove abitanti di villaggi colorati si mescolano per strada.


Eisenman racconta gli ultimi trent’anni di storia individuale e collettiva, dalle lotte per i diritti civili negli anni Novanta all’invasione della tecnologia che ci ha portato ad avere tutti delle estensioni personali elettroniche fino all’ossessione della pandemia negli anni Venti.
Allegoria della deriva dell’America, soprattutto dopo l’insediamento di Trump, è Heading Down River on the USS J-Bone of an Ass (2017): tre uomini siedono placidamente su un’imbarcazione costruita con una gigantesca mascella, il cui albero maestro sostiene una vela con un buco, mentre la barca scivola inesorabilmente verso una cascata; il primo suona un flauto, il secondo è un marinaio che sta afferrando la cima, il terzo è un uomo d’affari in giacca e cravatta. Dietro di loro, un uomo su un’altra imbarcazione è in piedi sul ponte e suona una grancassa.

Poi ci sono i suoi cosiddetti Shooter Paintings, in cui enormi volti astratti puntano una pistola contro l’osservatore, tanto che guardare i disegni equivale a fissare la canna di una pistola. La sua riflessione sulla vita contemporanea è che il mondo è ancora pieno di uomini guidati da potere, ingordigia, avarizia.

Dopo essersi affermata come pittrice, Nicole Eisenman ha ampliato la sua pratica artistica alla scultura, dove rappresenta il potere come forze mostruose e distorte. Ha iniziato a lavorare su Sketch for a Fountain nel 2012, la sua prima opera d’arte pubblica in un parco a Münster, in Germania. Cinque figure asessuate, due in bronzo, le altre tre realizzate in gesso grezzo, grandi, forti, più grandi del naturale, sono disposte attorno a una piccola piscina, in atteggiamenti di svago. Una è in piedi con le mani sui fianchi, immersa nella piscina fino alle caviglie. Quest’opera è stata vandalizzata, e una di queste figure fu decapitata; un paio di mesi dopo la decapitazione, Fountain fu dipinta con vernice spray con una svastica e un pene cruciforme e i testicoli, i volti e gli inguini delle figure coperti con un blu brillante.

L’artista non ritiene che l’opera sia stata presa di mira perché l’autrice è queer ed ebrea, piuttosto perché ha ricevuto così tanta attenzione da parte della stampa. Anzi, è stata sollevata dal fatto che quella notte sia stata attaccata una scultura di gruppo, non un gruppo di persone.
Il Generale, esposto all’Arsenale di Venezia in occasione della Biennale 2019, incarna la deformità del potere.

Tra il 2003 e il 2009, Eisenman ha insegnato al Bard College di Annandale-on-Hudson. È la co-fondatrice dell’iniziativa curatoriale queer/femminista Ridykeulous. Le sue opere sono state recentemente esposte a Baden-Baden, Germania (2019), ad Austin, Texas (2020), ad Oslo (2021), alla Fondation Vincent Van Gogh di Arles, Francia (2022) e al Kunstmuseum Den Haag, a L’Aia (2022); alla mostra del 2022 Women Painting Women al Modern Art Museum di Fort Worth (USA), a Monaco di Baviera (2023), mostra che è poi passata alla Whitechapel Gallery di Londra (2023) e all’MCA di Chicago (2024).
Eisenman è stata definita da Ann Philbin, direttrice dell’Hammer Museum di Los Angeles, “la voce queer-girl feroce e sgradevole”. «Nicole ha questa straordinaria capacità di andare al nocciolo degli argomenti più difficili con diabolica finezza e umorismo bruciante».
È un’arte politica la sua, che racconta il presente per ispirare il cambiamento, perché nelle situazioni più desolate c’è sempre un dettaglio che si salva, una speranza di riscatto, il recupero e la risalita dopo il naufragio, la possibilità di affrontare e superare le difficoltà, trasformando la desolazione in un’opportunità di crescita e cambiamento. E come lei stessa ha riconnesso passato e presente, classico e pop, omaggio e trasgressione, la solitudine dell’individuo si riconnette al gruppo. Un uomo al computer sul treno, una coppia di amanti sul sofà, cellulari dappertutto: Nicole Eisenman è l’artista del nostro presente.
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