Jemila Isa, tra luoghi sacri e femminile nero, di Livia Capasso

Jemila Isa. Tra luoghi sacri e femminile nero

Nata a Londra da genitori di origine nigeriana, Jemila Isa (classe 1989) è una voce emergente dell’arte contemporanea, nota per la sua personale visione fondata su fede, memoria, identità e spiritualità femminile, e per il suo linguaggio estetico che privilegia la semplicità e l’immediatezza formale. Con un percorso appena iniziato, ricco di esposizioni collettive e personali in Londra, Bruxelles, Cape Town, Isa sta conquistando l’attenzione della critica e dei collezionisti, e il suo progetto artistico è destinato ad approfondirsi nel tempo.

Autodidatta, Isa ha iniziato a dipingere con impegno solo nel 2023, dopo aver frequentato un corso intensivo di arte presso il Morley College di Londra.
Cresciuta in una famiglia con doppia fede, con una madre cristiana praticante e un padre di fede islamica, pur mantenendo rispetto e ammirazione per entrambe le religioni, ha assunto un atteggiamento critico nei confronti di entrambe, sviluppando delle riflessioni sul complesso ruolo della fede nella vita delle donne dell’Africa occidentale e nella diaspora, e su come queste siano sottovalutate nell’ambiente della chiesa. I suoi dipinti mettono in luce il senso di comunità e gioia che la chiesa può portare, ma allo stesso tempo ne riconoscono anche gli aspetti più ambigui.

L’artista Jemila Isa nel suo studio, 2025

Da un’intervista rilasciata da Jemila Isa nel maggio 2025 a Dalia Al-Dujaili:
«Io e i miei fratelli andavamo in chiesa ogni domenica, facevo anche parte del coro della chiesa. Quando ho compiuto sedici anni e ho iniziato a ritagliarmi una maggiore indipendenza, ho smesso di andarci regolarmente, e ormai sono passati più di dieci anni dall’ultima volta che ho frequentato la chiesa. Sono sempre stata un po’ scettica riguardo alle motivazioni e agli insegnamenti delle chiese in cui sono cresciuta, ma non posso negare che hanno avuto una parte così significativa nella mia educazione che è quasi inevitabile che si facessero strada nel mio lavoro in una forma o nell’altra […] Sono cresciuta in chiesa e ne ho sperimentato sia le restrizioni sia il profondo senso di comunità, appartenenza e identità che può offrire. Per molti versi, la mia pratica onora e al tempo stesso mette in discussione il ruolo della chiesa nel plasmare le vite […] Gran parte del mio lavoro esplora l’impatto della religione sulle donne, in particolare all’interno delle comunità africane, sia nel continente che nella diaspora. Spesso rappresento figure con occhi spalancati e stupiti o espressioni assenti e distaccate che riflettono le pressioni invisibili di rigidi sistemi di credenze e istituzioni, in particolare della chiesa, e parlano delle lotte interiori delle donne a cui vengono negate capacità di azione, voce o scelta».

Non avendo mai visitato la Nigeria, Isa trae spunto visivo per i suoi dipinti da fotografie dell’Africa occidentale, dalla fotografia d’epoca, ma soprattutto dalle immagini d’archivio di sua madre. Molte delle pose che mette nei suoi personaggi appaiono infatti goffe e rigide, perché sono tratte da vecchie fotografie che risalgono alla giovinezza della madre.

Isa è nata e cresciuta a Londra, eppure il suo lavoro è profondamente influenzato dalle origini della sua famiglia dall’Africa occidentale. Questa doppia influenza ha plasmato la sua comprensione della femminilità nera.
«L’idea della doppia identità è qualcosa su cui rifletto spesso, non solo nel mio lavoro, ma anche nella mia vita personale. Mi chiedo spesso quanto sarei diversa se fossi nata e cresciuta in Nigeria invece che nel Regno Unito. Solo da adulta ho iniziato a capire quanto fosse disorientante e destabilizzante plasmare la mia identità in un ambiente a me estraneo e in una società che, il più delle volte, nutre connotazioni negative nei confronti di persone come me».

Nel lavoro di Jemila Isa c’è il peso silenzioso dell’eredità, della memoria e la presenza sempre vigile della chiesa, rappresentata da una bianca cappella.

The white chapel, 2025

L’edificio della chiesa funziona come una forma di sorveglianza, in particolare sulle donne, rafforza comportamenti e aspettative, assicurando che le donne rimangano entro limiti prestabiliti. Le figure femminili, rappresentate frontalmente, con abiti tradizionali e colorati e chiese bianche sullo sfondo, evocano un senso di venerazione automatica, sospese tra soggezione alla tradizione e desiderio di liberazione, tra devozione e bisogno di autonomia.

L’estetica dominante è minimalista e naïf: colori piatti e figure stilizzate che richiamano l’arte folk, e quella delle prime avanguardie nere del XX secolo. I suoi lavori hanno una semplicità apparente, in realtà sono ricchi di tensione e profondità emotiva.
In The Bride e Ladies in Mourning i volti delle donne sono intensi e silenziosi, i loro sguardi fissi, quasi disincantati, rimandano alla pressione invisibile di tradizioni eccessivamente rigide.

The Bride (sin) – Ladies in Mourning (dex), 2024

Una studentessa e un pastore cristiano sono in piedi uno accanto all’altro in The priest & the school girl, e si scambiano occhiate ambigue. Lui è alto e la sovrasta. Lei è più piccola, con un viso malinconico e ingenuo. Le proporzioni insolite conferiscono alla scena un aspetto inquietante.

The priest & the school girl, 2024
Father, 2024

Un gruppo di donne nigeriane siedono in Congregazion, indossando abiti di colori diversi ma con la stessa espressione assente, all’interno di un santuario spoglio, definito solo da finestre ad arco, due croci bianche e un portale aperto che si apre su un paesaggio. I volti inespressivi delle donne suggeriscono adesione passiva, assenza di introspezione religiosa. Isa dice: «Molte donne dell’Africa occidentale all’interno della chiesa non mettono in discussione la fede, non approfondiscono quanto viene detto loro, seguono ciecamente la fede, senza alcuna introspezione, senza porsi domande».
L’opera porta i segni inconfondibili del primitivismo narrativo: superfici piatte, figure frontali e una tavolozza sobria ma espressiva. Il meglio dell’arte popolare.

Congregazion, 2025
School girls, 2024

«Alle donne non è permesso predicare — afferma Isa — se si frequenta la maggior parte delle chiese dell’Africa occidentale o delle chiese pentecostali, la congregazione è composta prevalentemente da donne. Eppure, per molti versi, non sono valorizzate quanto gli uomini all’interno della fede».

Nel 2002, una grande chiesa a Kilburn fu chiusa dopo che un’indagine della polizia rivelò che il pastore Douglas Greenwood era stato accusato di aver aggredito sessualmente diverse giovani donne della chiesa e di essersi appropriato indebitamente di fondi. Isa era solo una bambina all’epoca, ma ricorda che anche dopo che quella notizia fu resa pubblica, le donne continuavano a sostenere il pastore affinché rimanesse nel suo ruolo e la maggior parte delle critiche andava alle ragazze che erano state aggredite. «Le donne sono così maschiliste e c’è molta misoginia da parte delle donne stesse».

The eyes of the Lord are everywhere, 2025
Two by two, 2025

In The eyes of the Lord are everywhere (Gli occhi del Signore sono ovunque) e in Two by two (Due per due) a colpirci è il senso di comunità. Dice Isa: «C’è qualcosa di molto materno, la maggior parte delle donne della congregazione è composta da donne che hanno l’età di mia madre».

Quando la pittura non l’ha più soddisfatta, perché sentiva che c’era ancora molto da esprimere, qualcosa che i dipinti da soli non riuscivano a catturare completamente, allora Isa si è avvicinata alla scultura, che le ha permesso di ampliare il discorso. Così nascono le street preachers, le predicatrici di strada. Sono donne africane che con Bibbia e megafono proclamano messaggi salvifici nei quartieri urbani di Londra. Isa le riproduce come sculture piene di dignità, portatrici di un’autorità invisibile, che ha plasmato le vite di generazioni di donne.

Jesus loves you (sin) – Repent! (dex), legno, filo metallico, 2025

Agli angoli delle strade lanciano versetti della Bibbia ai passanti a caso, e la scultura è, secondo Isa, il mezzo più adatto per rappresentarle, poiché proprio come una scultura, sono diventate elementi fissi agli angoli delle strade trafficate delle città.

I dipinti e le sculture di Isa non esigono adesione o rifiuto, ma suggeriscono alle donne di sentirsi libere di mettere in discussione la propria fede, di riflettere su come si relazionano con essa, se le rafforza o le opprime. Possono leggere l’opera di Jemila come una celebrazione del cristianesimo, oppure riconoscere i sottili e inquietanti segnali che vi si nascondono.

Held by invisible hands segna la sua prima mostra personale, nel 2025 a Cape Town, ed è aperta fino al 2026 Her Spirit a Londra alla galleria Bolanle Contemporary, che espone le opere di Jemila Isa insieme a quelle di Eilen Itzel Mena (classe 1994), artista afro-dominicana americana. Anche Mena esplora il mondo della diaspora africana e dell’America Latina, riflettendo su temi come ascendenza e storia coloniale, e sull’idea di fede come condizione vissuta, plasmata dalla geografia, dalla storia e dalle aspettative di genere.