una stella alpina per Enza, recensione di Ester Rizzo

La stella alpina è il fiore raro delle Alpi che è diventato simbolo di coraggio e di determinazione poiché fiorisce in luoghi impervi sulle cime delle montagne. Ed è questo fiore che ritroviamo nel titolo dell’ultima pubblicazione di Enrico Cortese Una stella alpina per Enza. Storia di una partigiana siciliana in Piemonte (ed. arabAFenice).
Quando si rievocano i ruoli delle partigiane, sovente immaginiamo che si escludano donne nate o vissute in Sicilia. La ricerca ha invece dimostrato che tante erano siciliane. Basti pensare alle marsalesi Franca Alonge, Bice Cerè e Grazia Meningi, alla palermitana Maria Montuoro, alla catanese Graziella Giuffrida e tante altre di cui sono in corso ricerche approfondite, come Giuseppina Ballistreri nata a Riesi in provincia di Caltanissetta.
La paziente, attenta e puntuale ricerca di Cortese ci permette oggi di poter conoscere la storia di un’altra siciliana: Vincenza (Enza) Noto. Emigrata da Mussomeli, in provincia di Caltanissetta, a Torino negli anni Trenta, Enza lasciò la sua terra per sfuggire alla miseria, in quanto il mestiere di calzolaio del marito, Francesco Lomanto, non permetteva più di vivere dignitosamente. Si mangiava sempre meno pane e sempre più minestre di erbe selvatiche raccolte nei campi. Enza saltava i pasti pur di dar da mangiare a figli e figlie. Dopo mesi di discussioni, ragionamenti e ripensamenti, i coniugi decisero di emigrare insieme a loro: la più grande, Provvidenza, aveva sedici anni, il più piccolo, Arturo, quattro. Erano riusciti con tanta fatica e tante privazioni a racimolare i soldi per quel viaggio verso “il Continente”, aiutati anche dai piccoli risparmi dei genitori e dal ricavo della vendita della loro casa. Tra ansie e paure presero il treno che li condusse nella città sabauda in due giorni.
Trovarono alloggio in una cosiddetta casa di ringhiera e iniziarono a cercare un lavoro.
Enza, che era una ricamatrice e che aveva imparato a cucire presso un convento di suore di Mussomeli, trovò subito occupazione in una sartoria e così pure uno dei figli assunto in una fabbrica metallurgica con il compito di sollevare e caricare rottami di ferro sui carri. Francesco, invece, dovette accontentarsi di lavori saltuari in alcuni calzaturifici.
Dopo un paio di anni Enza riescì a diventare operaia in una fabbrica tessile. Nel frattempo in Italia, a causa delle ingenti spese militari della Campagna d’Etiopia portata avanti dal regime fascista, i prezzi dei beni di prima necessità erano lievitati tantissimo, mentre i salari rimanevano uguali. La vita era dura non solo per la famiglia di Enza ma anche per tante altre.
Nelle fabbriche la classe operaia non tollerava più lo sfruttamento e alla fine del 1939 cominciò a serpeggiare un sentimento di sfiducia e di disagio. Nel giugno del 1940 scoppiò la Guerra e con essa il terrore delle bombe e l’apprensione quotidiana per la famiglia al suonare delle sirene. Grazie anche alle amicizie e alle frequentazioni nate a Torino, Enza si convinceva sempre più dell’inutilità di quella maledetta guerra e in lei si rafforzò ancora di più il sentimento antifascista. Nel 1943, quando iniziarono a diffondersi gli scioperi nelle industrie del Nord Italia, entrò a far parte di una cellula clandestina del Partito socialista italiano. Era sempre in guardia poiché la Gestapo e la polizia repubblichina andavano “a caccia di antifascisti”, ma la sua “nuova consapevolezza” e la notizia dello sbarco degli Alleati in Sicilia la faceva ben sperare. Insieme al marito decise di entrare a far parte del movimento antifascista clandestino e iniziò a girare con la sua borsa di lavoro contenente stoffa, filo e aghi, ma anche messaggi per i compagni o cibo per chi era stato costretto a nascondersi.
A Torino la situazione si faceva sempre più grave, con le Brigate Nere che minacciavano e picchiavano per strada le persone, ma lei, nonostante la paura, iniziò a trasportare nella sua borsa da lavoro anche volantini e manifesti. Nel settembre del 1943 in molti salirono sulle montagne circostanti per unirsi alle Brigate partigiane. Enza, come sarta, poteva dare il suo apporto rammendando i vestiti e le coperte per i partigiani e il 31 maggio del 1944 partì per il Canavese, una zona che aveva subito pesanti rastrellamenti da parte dei tedeschi e delle brigate fasciste. Dal giorno dopo il suo arrivo entrò a far parte della III Brigata Berone e iniziò a rammendare e cucire vestiti, maglioni e coperte per i partigiani. Rivoltava, rattoppava, tagliava e cuciva: così per tutta l’estate. A ottobre, purtroppo, arrivò la neve e in uno spostamento per sfuggire ai nemici Enza, con la brigata partigiana e la sua amica Vittorina, si vide costretta a salire sempre più in vetta per salvarsi. In uno di questi tragitti a un tratto non sentì più le forze necessarie, cadde a terra stremata e la neve la ricoprì, diventando il suo bianco sudario a Pian dei Colli: era il 22 ottobre 1944.
Oggi una lapide affissa sul municipio di Frassinetto la ricorda insieme agli e alle altre partigiane.
La storia di Enza era rimasta una storia sconosciuta nella grande Storia e il recupero di Enrico Cortese ce l’ha consegnata per onorarne la memoria e tramandarla alle future generazioni.
Così scrive l’autore nelle Conclusioni: «Il suo sacrificio finora sconosciuto, come del resto quello di tantissime donne che fecero parte della Resistenza, ci obbliga a riflettere sul ruolo delle donne nella Seconda guerra mondiale […] eppure, furono in tante ad aver combattuto e pagato spesso un prezzo alto per le loro idee, per la democrazia, per la libertà del nostro Paese».