Rita Brunetti, una fisica sotto il regime, di Maria Grazia Vitale

Rita Brunetti, una fisica sotto il regime

Rita Brunetti visse nei primi decenni del secolo scorso e fu una figura di rilievo nella fisica italiana. Non erano anni facili per la ricerca scientifica nel nostro Paese. La povertà di risorse dovuta all’arretratezza economica, una legislazione carente che non contemplava la figura del ricercatore o della ricercatrice, riservando l’attività di ricerca ai docenti universitari, e più in generale la condizione di isolamento culturale facevano sì che, soprattutto nel campo della fisica, il lavoro prodotto, anche se spesso di notevole livello, avesse scarsa risonanza a livello internazionale. In tale quadro si inserisce questa figura di fisica, esperta di spettroscopia, sperimentatrice appassionata e grande divulgatrice: fu lei una delle prime a diffondere in Italia le nuove teorie quantistiche della materia. Nonostante il divario di genere, la sua fu una carriera di tutto rispetto, che la portò al vertice degli Istituti di fisica di Ferrara prima, poi di Cagliari e infine di Pavia. Le sue capacità organizzative diedero certamente un nuovo impulso a quelle sedi in stato di quasi abbandono.

Rita Brunetti era nata a Milano il 23 luglio 1890 da Gaetano ed Edvige Longhi. Conseguì la maturità classica presso il Liceo “G.C. Beccaria” di Milano nel 1908 col massimo dei voti. Inizialmente la sua aspirazione sarebbe stata quella di studiare medicina, ma la partecipazione al concorso di ammissione alla prestigiosa Scuola Normale superiore di Pisa, dove fu la prima donna a ottenere l’accesso per la classe di matematica pura, la portò a cambiare scelta. Ben presto indirizzò i suoi studi verso la fisica, laureandosi nel 1913 con una tesi sullo spettro della scarica oscillatoria nei vari gas. A Pisa ebbe come maestri Antonio Garbasso, che fu suo mentore, Augusto Raffaele Occhialini, Angelo Battelli, Antonino Lo Surdo. La tesi di laurea le fruttò l’assegnazione del Premio Lavagna, grazie al quale ebbe la possibilità di proseguire la propria ricerca ancora per un anno di perfezionamento, al termine del quale si trasferì a Firenze. Qui lavorò inizialmente presso il Gabinetto di fisica dell’Istituto di studi superiori diretto da Garbasso e poi nell’Osservatorio astronomico di Arcetri dove, nel frattempo, quest’ultimo aveva spostato la propria attività. Ad Arcetri collaborò con Antonino Lo Surdo, anche lui assistente di Garbasso. Nel 1914, contemporaneamente a Johannes Stark, ma indipendentemente da lui, Lo Surdo aveva scoperto il fenomeno della scissione delle righe spettrali in campo elettrico, tuttora noto come effetto Stark – Lo Surdo.
Garbasso non era solo una personalità di primo piano in campo accademico, ma anche un influente uomo politico. Dapprima nazionalista, aderì poi al fascismo e fu sindaco e successivamente podestà di Firenze, oltre che Senatore del Regno. Nel 1923 si oppose con forza alla riforma del sistema scolastico voluta da Gentile, a causa della mortificazione che quella legge operava sulle materie scientifiche, considerate di secondo piano dal punto di vista culturale. Alla morte, avvenuta nel ’33, si fece seppellire in camicia nera nel Santuario francescano della Verna. Anche Rita Brunetti aderì al fascismo e ne restò convinta sostenitrice per tutta la vita.

Durante la Prima guerra mondiale, in seguito alla partenza per il fronte della maggior parte dei suoi colleghi maschi, compreso Garbasso, Brunetti fu l’unica docente a restare in servizio nell’Istituto, del quale dovette assumere la direzione, accollandosi tutte le lezioni universitarie, senza mai interrompere le ricerche nel campo della spettroscopia. Studiando l’effetto Stark-Lo Surdo scoprì nuove righe nello spettro dell’elio, un risultato importante che verrà ricordato da Fermi nel 1927, e fu una delle prime scienziate in Italia a interessarsi della spettroscopia X, pubblicando un lavoro per il quale ottenne il Premio Sella dell’Accademia dei Lincei nel 1917. Nel 1922 conseguì la libera docenza in Fisica sperimentale. Gli anni fra il 1924 e il 1926 furono dedicati alla ricerca di un nuovo elemento chimico, quello di numero atomico 61, in virtù della quale Brunetti acquisì una grande competenza sulle caratteristiche delle terre rare, cioè quegli elementi il cui numero atomico è compreso fra 57 e 71, dotati di proprietà ottiche e magnetiche che rivestono notevole interesse pratico. Del 1926 sono anche i suoi primi studi sulle applicazioni in ambito medico-biologico della fisica nucleare raccolti in una serie di lavori pubblicati col titolo Sull’azione biologica delle radiazioni dure.

Da sinistra seduti Enrico Fermi, Nello Carrara, Franco Rasetti. Dietro di loro, Rita Brunetti. Firenze 1925

Nel 1926 fu la prima donna nell’Italia postunitaria a vincere un concorso a cattedra di fisica, ottenendo la docenza di Fisica sperimentale all’Università di Ferrara, dove restò solo due anni, che però le furono sufficienti per avviare un totale rinnovamento di quell’Istituto, che aveva trovato in uno stato di vero e proprio declino, al punto da essere costretta ad appoggiarsi ai laboratori di Bologna, ospite di Quirino Majorana. Qui ebbe la possibilità di proseguire le sue ricerche e fu anche incaricata dell’insegnamento di Fisica superiore. Sotto la sua direzione nel contempo partì la ristrutturazione dell’Istituto di fisica ferrarese e dell’annesso Osservatorio meteorologico. A Bologna ebbe come allievo Bruno Rossi, che diventerà l’indiscusso caposcuola delle ricerche sui raggi cosmici in Italia. Nella sua autobiografia la ricorderà con queste parole: «… ma per un vero corso di fisica avevo dovuto attendere l’arrivo a Bologna della professoressa Rita Brunetti. Veniva da Firenze; malgrado la differenza di età e di posizione accademica, avevamo fatto amicizia. Ho verso di lei un debito di riconoscenza, sia per quello che mi ha insegnato, sia per la presentazione che mi portò a Firenze».
Durante il breve periodo bolognese fu nominata nel 1927 socia corrispondente della locale Accademia delle scienze. Nel 1928 ottenne il trasferimento da Ferrara a Cagliari dove proseguì le sue ricerche e cominciò a studiare il fenomeno del policroismo cristallino. In Sardegna avvenne l’incontro con Zaira Ollano, una giovanissima fisica, appena ventiquattrenne, che diventò la sua assistente e con la quale nacque un sodalizio umano e professionale che si interromperà solo con la morte di Rita.

Nella prolusione accademica del 1930/31 Brunetti dimostrava di essere pienamente consapevole della questione di genere: «Potrò io farmi perdonare di essere salita su questa cattedra, in così solenne cerimonia come è l’inaugurazione di un nuovo anno accademico, nel nome della modesta schiera di donne che, sparse nei laboratori di tutto il mondo, collaborano silenziose e fedeli alla raccolta di materiale scientifico?» e proseguiva ricordando alcune figure di scienziate contemporanee: Herta Ayrton (1854-1923), Gerta Lask (1893-1928), Eva von Bahr Bergius (1874-1962), Herta Sponer (1895-1968), Lise Meitner (1878-1968), Marie Skłodowska Curie (1867-1934).

Intanto proseguivano i suoi studi sulle proprietà ottiche degli ioni di terre rare in soluzione, che furono importanti perché aprirono la strada a una possibile verifica sperimentale della legge di Pierre Curie, secondo la quale la suscettività di un corpo paramagnetico può variare al variare della temperatura e rappresentarono una novità, almeno per il panorama italiano. Suscitarono interesse anche a livello internazionale, come dimostra l’attenzione che a essi posero personalità della fisica come Edmund Clifton Stoner e soprattutto il francese Jean Marie Becquerel, col quale Brunetti fu protagonista di una garbata polemica sulla priorità di alcuni risultati riguardanti i fenomeni legati al magnetismo nella materia, che erano stati effettivamente ottenuti in maniera indipendente da lei e da Stoner e che furono poi attribuiti esclusivamente a quest’ultimo. Tale circostanza è certamente la conseguenza della sostanziale condizione di isolamento della comunità dei fisici italiani da quella internazionale, almeno nei primi decenni del secolo XX, testimoniata anche dall’abitudine di pubblicare quasi esclusivamente su riviste italiane.

A partire dagli anni Trenta il regime fascista condizionerà sempre di più la scienza italiana, emarginando e obbligando alla fuga, per motivi sia politici sia razziali, le sue menti più brillanti, e contribuirà al prolungamento della marginalità italiana nel resto del mondo, almeno sino al termine del secondo conflitto mondiale. In questo quadro assume particolare valore l’attività di alta divulgazione scientifica da parte di Brunetti, che diede un grande contributo alla diffusione nel nostro Paese delle innovazioni introdotte dalla meccanica quantistica, attraverso la pubblicazione dei volumi L’atomo e le sue radiazioni, nel 1932Onde e corpuscoli, nel 1936. In quell’anno Rita Brunetti lasciò Cagliari e si trasferì, col ruolo di direttrice, all’Istituto di fisica “Alessandro Volta” di Pavia, seguita da Zaira Ollano, che continuò a essere sua assistente, e con lei andò ad abitare in una casa in via Domenico Chiesa al n. 5.

Nel 1934 era stata nominata membro del Comitato di fisica del Consiglio nazionale delle ricerche. Questo fece sì che le sue ricerche sulla radioattività ottenessero una particolare attenzione da quella istituzione, che si concretizzò con un finanziamento di circa 50.000 lire. Un altro importante riconoscimento arrivò nel 1938, quando divenne socia corrispondente dell’Istituto lombardo di scienze, lettere e arti. Negli stessi anni cominciarono una serie di contatti con alcuni dei più importanti fisici europei, nel tentativo di superare l’isolamento e l’arretratezza della fisica italiana dell’epoca: il primo viaggio fu a Parigi, presso l’Institut du Radium. Durante questo viaggio incontrò Louis de Broglie. In seguito visitò il Cavendish Laboratory di Cambridge, e poi andò in Germania, all’Institut für Medizinische Forchung di Heidelberg e all’Institut für Physikalische Grundlagen der Medizin dove si convinse della necessità di una stretta interazione fra la medicina, la biologia e la fisica, alle quali dedicò gli ultimi anni di vita, oltre agli studi sui raggi cosmici: Brunetti si specializzò sulle tecniche d’avanguardia delle emulsioni, atte a rilevare le tracce delle particelle veloci, come il mesone.

La vicenda umana e scientifica di Rita Brunetti si interruppe con la morte, che giunse prematuramente nel 1942, a soli 52 anni, forse per motivi professionali, in seguito all’esposizione alle radiazioni. Dopo la scomparsa della sua maestra e amica, Zaira Ollano sarà autrice di un appassionato necrologio sul Nuovo Cimento, in cui descrive la collaborazione iniziata a Cagliari e continuata ininterrottamente in quasi tutti i lavori successivi. La definisce «una preziosa e affettuosa guida nel difficile campo della ricerca»; «chi le è stato accanto nel lavoro la ricorderà per molto tempo con affetto e ammirazione», afferma. Nello stesso scritto troviamo tuttavia queste parole: «Del fascismo, di cui aveva capito lo spirito e in cui aveva piena fiducia, volle da morta indossare la divisa».

Rita Brunetti è stata un’appassionata donna di scienza ed è descritta come una persona gentile e un’ottima insegnante, anche da colleghi come Bruno Rossi, che avevano dovuto subire le conseguenze delle vergognose leggi razziali. Eppure quella fiducia nei confronti del regime in lei non venne mai meno, come in molte persone del mondo della cultura che assistettero a quegli eventi senza muovere un dito. Come può essere stato possibile, e soprattutto come avere la certezza che non succeda di nuovo? Sono questioni tuttora aperte, sulle quali ognuno di noi dovrebbe riflettere molto attentamente.