com’è profondo il mare, editoriale di Giusi Sammartino
Carissime lettrici e carissimi lettori,
terribile, come la fame. Bello come il soccorso. Arriveranno in tanti e tante. Cominciando con le prime partenze dalla Spagna e a seguire da Genova, terra marinara per eccellenza, provincia di nascita di Cristoforo Colombo, da Cogoleto, governatore di oceani. Poi altri paesi e altre persone. Con partenze dall’Italia, dalla Tunisia e dalla Grecia.
Ormai ci siamo. La missione navale nota come Global Sumud Flotilla sta salpando verso il mare di Gaza. Si opporranno al “silenzio” della società civile immobile per mesi. Si schiereranno in mare, contro “l’inerzia” e l’assenza di posizioni determinate, muti o quasi, un immobilismo che si è palesato fino ad oggi, lungo i venti mesi di una battaglia unilaterale, nei luoghi dell’eterna guerra in Medio Oriente. Arriveranno, in difesa di un popolo martoriato. Per dare aiuto, per contrastare la fame, evidenziare gli abusi. Aiutare l’infanzia che in questo dramma ha subito ancora di più, colpita a morte da un peccato non ancora commesso. Sumud, un vocabolo arabo che è intraducibile con un’unica espressione, ma che racconta di resistenza, resilienza, forza, perseveranza.
Saranno decine le barche provenienti da quarantaquattro paesi di tutto il mondo. Tanti gli attivisti e le attiviste pronti/e a salire a bordo. Tra loro c’è anche lei, Greta Thunberg, espulsa e condannata, a giugno scorso, da Israele a non avvicinarsi per 100 anni al suo territorio! La “ragazzina” svedese dalle trecce lunghe dei tempi di scuola, quando “inventò” i suoi venerdì di sciopero per aiutare Gea, il pianeta Terra, a non soccombere sotto l’avidità dei suoi e delle sue ingordi/e dimoranti ai quali e alle quali il pianeta ha solo “prestato” il suo terreno e le sue acque.
A giugno era partita la Freedom Flotilla con otto attivisti/e a bordo tra i quali, appunto, anche Greta Thunberg e la parlamentare europea Rima Hassan. Tutti/e erano stati arrestati/e dalle autorità israeliane per aver rifiutato la deportazione volontaria.
Oggi se si pensa che è stato commesso un abuso, se si tenterà di fermarli/e, se succederà come è accaduto a giugno, se si tenterà di respingerli e respingerle impedendo l’incontro, davvero si commetterà un abuso. Tanto meno saranno legali gli arresti o gli allontanamenti forzati. Almeno da quanto dice in un’intervista a un quotidiano nazionale il professor Triestino Mariniello, ordinario di Diritto internazionale all’Università di Liverpool, in passato assistente dei giudici della Corte penale internazionale e oggi parte del team legale delle vittime di Gaza e dei loro familiari nella causa che ha portato all’emanazione dei mandati di arresto contro Netanyahu e Gallant da parte della stessa Corte penale internazionale: «Il blitz contro la Freedom Flotilla e il fermo di tutto l’equipaggio potrebbero complicare la posizione di Israele di fronte alla Corte internazionale di giustizia. Bloccare una nave carica di aiuti rafforza le accuse che Israele usi la fame forzata per imporre alla popolazione di Gaza condizioni di vita impossibili, che sono uno degli elementi per contestare l’accusa di genocidio». Mariniello aggiunge: «Giuridicamente, non c’è branca del diritto internazionale che non sia stata violata. Stop e sequestro della nave, come la detenzione arbitraria dell’equipaggio sono del tutto illecite… Secondo il diritto internazionale, un’imbarcazione battente regolarmente bandiera non può essere fermata e sequestrata se non in caso di precise eccezioni. La prima, una minaccia alla sicurezza del Paese, ma si trattava di una nave umanitaria che navigava in acque internazionali. Anche il diritto del mare lo vieta. Israele potrebbe affermare che si apprestava a forzare il blocco navale, che è però internazionalmente riconosciuto come illegale». Poi il professore precisa una sua opinione a proposito dell’esistenza della Palestina: «La Palestina ha un proprio territorio ampiamente stabilito dal diritto internazionale: la Cisgiordania compresa Gerusalemme est e la Striscia di Gaza, dunque anche acque territoriali. Anche il Consiglio di sicurezza Onu, con l’avallo degli Usa, lo ha riconosciuto, dichiarando illegali gli insediamenti e Israele potenza occupante… E veniamo alle violazioni del diritto penale internazionale, che in alcuni casi si configurano come crimini di guerra perché si è trattato di un attacco, sferrato contro un’organizzazione umanitaria che trasportava aiuti, che ha comportato la violazione della dignità degli attivisti e la detenzione arbitraria dell’equipaggio stesso. In più, impedire l’accesso di beni di prima necessità è una condotta di fame forzata, su cui la Cpi sta già lavorando… Gli estremi ci sono per una denuncia alla Corte penale internazionale. Ma ora si dovrebbero muovere anche gli Stati. Anzi la Gran Bretagna potrebbe essere obbligata. Da Stato di bandiera della Madleen ha l’obbligo di adottare tutte le misure possibili, tra cui pressioni diplomatiche, per proteggere i diritti umani delle persone ancora detenute. Allo scopo si potrebbe proporre un ricorso urgente alla Corte europea dei diritti dell’uomo».
Intanto a Gaza si continua a morire e si tenta di avviare l’evacuazione forzata. Pierbattista Pizzaballa, il cardinale patriarca di Gerusalemme proclama la sua “resistenza” insieme agli altri cristiani e cristiane della Palestina. Il prelato ha confermato che resterà lì, insieme a tutti e tutte le e i credenti. Ma intanto un altro bombardamento su un ospedale ha fatto registrare un massacro in diretta. Venti persone, e tra loro cinque giornalisti, tra cui una donna, che muoiono praticamente con la telecamera in mano, sono saltati e uccisi per una bomba. L’ennesima sulla Striscia, l’ennesima su un ospedale di Gaza. «Il massacro della stampa in mondovisione — è scritto —. Il sangue cola sulla scritta press, ancora una volta. Giornalisti, soccorritori, e medici palestinesi ammazzati con la tecnica militare più subdola, quella del double tap, il doppio proiettile: il primo per far accorrere la gente, il secondo per farne strage. I filmati registrati da chi era lì, sulle scale esterne dell’ospedale Nasser di Khan Younis, compongono la chiara e incontrovertibile scenografia dell’ennesimo crimine di guerra commesso a Gaza… Sono morti in venti, almeno: tra questi 5 erano giornalisti, fotoreporter e cameramen che lavoravano per le testate internazionali Reuters, Al Jazeera, Independent Arabic e Associated Press, 8 erano operatori della Civil defence, la Protezione civile palestinese, 3 erano addetti della security dell’ospedale, 2 erano giovani dottori, un ragazzo e una ragazza».
Rimaniamo in mare e nel mare nostrum, nel mediterraneo. Il comandante di una nave ong, Beppe Caccia “disobbediente”, a capo della Mediterranea, ha cambiato la rotta dettata dal ministero per salvare la vita a dieci migranti, tutti bisognosi/e di cure mediche. Così il capitano non si è diretto a Genova, dove gli era stato indicato di andare, ma ha scelto Trapani, luogo più vicino al punto dove era avvenuto il soccorso. «Come comandante della nave Mediterranea, e come capo missione a bordo — scrive Caccia —, abbiamo comunicato alle autorità italiane di Roma la decisione, di cui ci assumiamo piena responsabilità, di cambiare il corso della rotta della nave verso Trapani per assicurare lo sbarco dei dieci naufraghi, che necessitano di cure mediche e psicologiche che devono essere fornite a terra. In questo modo disobbediamo a un ordine ingiusto e inumano del Ministero degli Interni, ma obbediamo fino in fondo al diritto marittimo, alla Costituzione italiana e alle leggi dell’umanità. È ora di finirla — conclude — con giochetti politici sulla pelle di persone che tanto hanno sofferto e che non possono essere costrette a soffrire ancora». E sempre Beppe Caccia continua: «L’assegnazione di un porto a una nave che trasporta naufraghi — perché tali sono innanzitutto le persone salvate in mare — dovrebbe rispondere unicamente a criteri umanitari: la situazione a bordo e le condizioni delle persone soccorse. Assegnare il porto di Genova significava costringere quelle persone già molto provate per le conseguenze del viaggio e del naufragio a ulteriori giorni di navigazione. Un ordine inumano, un vero e proprio abuso di potere che piega la legge a fini vessatori». Poi ricordando il poeta “salito” al Castello di Praga dopo la dolorosa invasione sulla capitale boema dei carri armati sovietici (era il 6 agosto del 1968!) e la “defenestrazione” del presidente della Primavera praghese Alexander Dubcek, continua: «Václav Havel diceva che la legalità è il potere dei senza potere. Quando invece la legge viene piegata e strumentalizzata per colpire i più deboli anziché per difenderli, lo Stato di diritto si rovescia in arbitrio».
Nel 1966 il cantautore triestino Sergio Endrigo scrive (traducendo dal francese) e canta Girotondo intorno al mondo che incita alla pace e parla di ragazze e ragazzi che formeranno “ponti” di comunicazione e di collaborazione tra esseri umani. Un canto/bandiera di pace per me che ho amato e amo ancora tanto le canzoni di Endrigo. «Un brano, Girotondo intorno al mondo apparso nel singolo Girotondo intorno al mondo/Questo amore per sempre, datato 1966. La canzone, nel corso del tempo, acquista un’immensa popolarità diventando un vero e proprio simbolo di pace e umanità. Il brano si ispira a una nota poesia di Paul Fort, poeta e drammaturgo francese: La ronde autour du monde. I versi sono incisi dallo stesso poeta su vinile a partire dal 1913 e, già da quel periodo, il messaggio che il testo vuol veicolare è limpido; un appello alla fratellanza fra gli uomini, partendo dalla gioventù… La storia di come questo brano commovente incontra la malinconica e potente voce di Sergio Endrigo è molto particolare. In un’intervista, parlando dell’incisione di Girotondo intorno al mondo, racconta di un romanzo di Louis Aragon, scrittore e poeta francese tra i fondatori del movimento surrealista. Leggendo Les Cloches de Bâle (Le campane di Basilea) — Endrigo ricorda anche nel suo blog di aver letto questo romanzo mentre era nel periodo di leva obbligatoria e aveva chiesto alla madre libri di studio del francese che lo stava affascinando — il giovane cantautore apprende di come, prima dell’inizio della Prima Guerra Mondiale, ragazzi e ragazze cantassero la poesia di Paul Fort per scongiurare l’imminenza della guerra ormai alle porte. In seguito a questa lettura decide di tradurre la poesia di Fort per farne una canzone.
Allora leggiamola e cantiamola insieme, che sia auspicio di Pace!
Se tutte le ragazze
Le ragazze del mondo
Si dessero la mano
Si dessero la mano
Allora ci sarebbe un girotondo
Intorno al mondo
Intorno al mondo
E se tutti i ragazzi
I ragazzi del mondo
Volessero una volta
Diventare marinai
Allora si farebbe un grande ponte
Con tante barche
Intorno al mare
E se tutta la gente
Si desse la mano
Se il mondo, veramente
Si desse una mano
Allora si farebbe un girotondo
Intorno al mondo
Intorno al mondo
E se tutta la gente
Si desse la mano
Se il mondo, veramente
Si desse una mano
Allora si farebbe un girotondo
Intorno al mondo
Intorno al mondo.
(Sergio Endrigo, 1966)
La Natura ci salverà. Perché è bellezza. La natura che obbedisce e genera sé stessa. Che è lontana dalla guerra di conquista e imposizione. Paolo Gambi, classe 1978, ravennate, prima che poeta anche giornalista, docente universitario e ricercatore tra poesia e tecnica ci offre la soluzione: facciamo governare gli alberi. Li ho sempre pensati come rappresentazione di saggezza, di altruismo (e tante ricerche scientifiche lo hanno provato), immaginando, soprattutto nei boschi e quelli secolari, avvicinati dagli uomini e dalle donne che hanno creato la Storia del mondo.
«L’idea che gli alberi — scrive Gambi — dovrebbero governare è una metafora che enfatizza il loro ruolo vitale nell’ambiente e nella vita di tutti i giorni. Gli alberi, con i loro processi di respirazione e fotosintesi, contribuiscono a combattere il riscaldamento globale assorbendo anidride carbonica e migliorando la qualità dell’aria. Essi forniscono habitat per diverse specie, regolano il ciclo dell’acqua e stabilizzano il clima. Inoltre, gli alberi offrono benefici psicologici, riducendo lo stress e migliorando il benessere generale».
Dovrebbero governare gli alberi
Dovrebbero governare gli alberi
querce sovrane incoronate di cielo
la Costituzione e la terra più profonda
memoria eterno ritorno
unica legge a gravità non muove guerra
il Pino per le foglie larghe
dell’acero nessuna battaglia
del grande pioppo contro l’edera
che l’attanaglia
guardo un ciliegio fiorire
acqua e sole
come la carne squarciata di un bambino
gli occhi di mamma
marciscono i parlamenti e i diritti
lo spread è il social network
il muro di confine che vorrei abbattere
ha un lato di pelle l’altro di corteccia.
Per Gaza, finché non finirà
«Questa poesia è stata scritta il 12 ottobre 2024, sotto i bombardamenti, da Bissane Abdel Rahim. Trasmesso su Facebook nella serie di videoclip dal titolo Questa è Gaza, testi letterari e declamato in arabo da Fadwa Abed».
Oggi è ieri
Ieri è la continuazione di un vecchio dolore
Non voglio fare lo scrittore
Non ho sogni per il domani
Solo la mia fede
mi sostiene È il 12 ottobre 2023
È l’una del pomeriggio
Com’è la giornata, è diventata così terrificante
o Dio abbiamo temuto la notte oscura
Ma ora non c’è più il giorno, non c’è più la notte
o Dio nemmeno il tempo ci hanno tolto.
Buona lettura a tutte e a tutti