Rosa Scafa, la prima donna italiana in Polizia

donne in polizia da repubblica.

2010: sono stati celelbrati i 50 anni della presenza della donna nelle forze di polizia.

Una scelta, ha sottolineato Maroni, “coraggiosa per i tempi, ma che si è rilevata esatta”.

Ai giorni d’oggi vedere una donna poliziotta è una cosa che fa parte della quotidianità ma, negli anni ’60, anni del movimento femminista e della lotta per la parità dei sessi, anni in cui l’euforia del boom economico si stava stemperando nelle accese tinte della rivolta e del terrorismo una donna che entrava nella Polizia di Stato era una novità perché, mai prima di allora, il gentil sesso aveva potuto ricoprire un ruolo, che fino a quel momento, era esclusivo dell’uomo.

Oltre il coraggio di intraprendere una professione difficile e pericolosa anche quello di una scelta di questo tipo in una società patriarcale e piena di pregiudizi.

Sono passati cinquant’anni e, per l’occasione, è stata coniata una Medaglia.

A ritrarla Rosa Scafa, 86 anni, frequentatrice del primo corso per assistenti della polizia femminile.

33 anni di servizio, dal 1952 al 1985, nella Polizia civile di Trieste e, dal 1981, nella Polizia di Stato.

“In Polizia sono entrata per avere un’occupazione che a quei tempi scarseggiava anche per gli uomini, poi a questo lavoro mi sono appassionata tanto da dedicargli tutto il mio impegno.”

I ricordi sono tanti ancora vividi anche se lontani nel tempo.

“Lavoravo alla Buoncostume e il mio compito era, oltre all’assistenza ai minori, quello di controllare le prostitute: venivano fermate e portate in ospedale per gli accertamenti sanitari e se risultavano malate dovevano rimanere per le cure. Non potendo guadagnare e stare vicino ai figli cercavano in ogni modo di sfuggire ai controlli. Una di loro mi avrebbe sfregiato con una lametta che nascondeva sotto il maglione se, come mi confessò poi, non fosse stata dissuasa dalla gentilezza e dall’umanità con cui si sentì trattata”.

“Un giorno portarono tutte noi, le trenta donne del corso, a visitare il carcere del Coroneo di Trieste dove le detenute erano numerose. Al ritorno ci chiesero di scrivere un tema sulla visita e io mi soffermai sui motivi che potevano aver portato quelle donne dietro le sbarre. Ho pensato che immedesimandomi nei loro errori sarei poi stata in grado di aiutarle nel migliore dei modi. Il mio fu il tema più apprezzato per aver trattato l’argomento sotto l’aspetto psicologico e sociale”.

A darle il piacere più grande “Sono le persone che dopo tanti anni incontrandomi ancora oggi si ricordano di me e mi ringraziano.”

Anche se da quando è andata in pensione sono passati 25 anni.

“Quando è arrivato il momento di andare in pensione, nel 1985, ho chiesto di rimanere, tanta era la voglia e il piacere di essere al servizio degli altri. Anche quando, nel 1960, mi hanno chiesto di scegliere tra il servizio civile e la polizia femminile, non ho avuto dubbi e ho scelto di fare la poliziotta “.

Alle poliziotte di oggi consiglia di considerare il lavoro prima con il cuore e poi con la mente e a trattare le persone che si hanno di fronte con rispetto, come se fossero dei familiari.

Unico rimpianto: non poter più tornare in servizio a svolgere quel lavoro “bellissimo e gratificante”.