Niente di grave di Justine Levy – Frassinelli 2005, recensione di Daniela Domenici
Questa volta non un libro recentissimo ma sempre di un’autrice contemporanea e non italiana bensì francese doc, Justine Levy, figlia del celebre filosofo Bernard Henry Levy (noto anche solo con le iniziali BHL) che con questa sua opera “Niente di grave”, splendidamente tradotta da Antonella Viale (andrebbero citati più spesso i miei “colleghi” traduttori, fanno la differenza…) ci racconta una parte dolorosa della sua giovane vita, quella dopo che l’amatissimo marito l’abbandona per amore dell’attuale “premiere dame” di Francia, Carla Bruni.
Justine utilizza una scrittura che “è tesa, sincopata, segue i sentimenti: la disperazione dell’abbandono mai compiacente, l’ironia mai gratificante” (dalla quarta di copertina); e Le Monde così riassume il libro perfettamente: “un bel romanzo dallo stile asciutto, dal procedere lucido e duro…non fa concessioni e mette in luce la disattenzione delle persone, l’indifferenza generalizzata, il culto dell’apparenza di un ceto sociale cosiddetto privilegiato…”: ma è anche molto di più quest’opera che mi ha avvinta sin dall’inizio e mi ha piacevolmente “costretto” ad arrivare alla fine delle sue 183 pagine.
Justine non fa sconti a nessuno, cambia soltanto i nomi della protagonista (che è lei), ribattezzata Louise, dell’ex marito e della donna che glielo rapisce e che poi lo abbandonerà nonostante la nascita di un figlio e che lei descrive con i più svariati epiteti. Straordinariamente narrata l’allucinante e dolorosa discesa “agli inferi” di Louise – Justine nell’abisso delle anfetamine, da lei chiamate semplicemente anfe, e la lenta ma graduale rinascita grazie all’amore di un altro uomo che, con pazienza e dolcezza, la “ricostruisce”; e commovente anche il bellissimo legame d’affetto che Justine ha con il celebre padre e con la nonna amatissima dal cui funerale inizia il libro.
Concludo con le parole di L’Express: “un monologo regolato sui toni giusti: la confessione urgente e serena di una donna rinata e di una scrittrice promettente: merci, Justine, per questa tua confessione sincera.

Certo i traduttori sono intermediari preziosi e indispensabili, fanno la differenza se sono bravi…a volte purtroppo vale l’antico motto …io posso giudicare solo per il francese e devo dire che in certe poesie, ad esempio di Prevert, si vedono bene nel testo a fronte traduzioni da far rabbrividire, classici esempi di come non basti sapere due lingue ma si debba amarle, afferrare le sfumature, avere l’inclinazione alla scelta dei vocaboli più pertinenti nel senso ma anche nel suono e nell’uso che ogni lingua conferisce loro…
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Uno dei peggiori traumi che si possono vivere è proprio l’abbandono di chi amiamo, un trauma per il quale spesso ci colpevolizziamo troppo, senza capire che l’amore può andare e venire, come il vento. Sarà interessante veerificare come l’ha vissuto la protagonista.
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