Perché non ci lasciano giocare con la terra al Teatro Studio Uno di Roma, recensione di Maria Teresa Ciammaruconi

goliarda sapienza

Da L’Arte della Gioia di Goliarda Sapienza e La porta è aperta vita di Goliarda Sapienza di Giovanna Providenti

Libero adattamento di Silvia Manciati

Regia Alessia Barbieri Pomposelli

suono di Gaetano Converso

scene e costumi di Paola Scafareo

disegno luci di Alessio Mastrantonio

interpreti: Viola Sartoretto, Silvia Marciati, Davide Maria Marucci, Arianna Paravani

produzione: Arcadia delle 18 lune

Uno strano caso quello di Goliarda Sapienza. Nata nel 1924 a Catania, trascorre la sua maturità nella Roma di Visconti, di Fellini, compagna per molti anni di Citto Maselli, attrice di teatro e di cinema, una delle intellettuali più interessanti e appartate della Roma degli anni ‘60. Ma dietro l’immagine di donna libera, provocatrice, artista eternamente irrisolta vive una scrittrice dalla tempra indipendente e solitaria. Solo da alcuni anni ci si occupa di lei. Tappa fondamentale per la riscoperta di Goliarda Sapienza è stata nel 2010 la biografia di Giovanna Providenti La porta è aperta pubblicata ad opera del piccolo editore catanese Villaggio Maori, a conferma di un interesse che continua ad essere – come dire – carbonaro. Certo, dopo l’edizione Einaudi dell’Arte della Gioia del 2008 (successiva alla prima pubblicata da Stampa Alternativa nel 1998) l’attenzione per la scrittrice siciliana ha conosciuto un’impennata in gran parte esaurita nella babele di un’editoria usa e getta che sforna opere seguendo il ritmo forsennato dei tempi.

Ma abbandoniamo le vicende editoriali (che pure rivelano retroscena interessanti) ed entriamo in un piccolo teatro sulla Casilina, il Teatro Studio. Dal 28 febbraio al 9 marzo una piccola compagnia di giovani che opera all’interno dell’associazione Arcadia delle 18 lune ha prodotto e messo in scena uno spettacolo di grande godibilità e coraggio (nato dalla fusione delle vicende di Modesta, protagonista del romanzo, con quelle reali della vita di Goliarda Sapienza, così come le apprendiamo dalla biografia di Giovanna Providenti) dove Goliarda, la scrittrice, convive per poco più di un’ora nello stesso spazio scenico di Modesta, l’eroina del suo romanzo. Ma attenzione, non si vuole con ciò sottolineare un’autobiografia che non c’è (come ebbe a puntualizzare la stessa Goliarda), quanto l’invivibile contiguità, l’attrazione e l’attrito che hanno legato e mai fuso due modi diversi di essere donna.

Goliarda (Viola Sartoretto), drappeggiata nel rosso teatrale, dondola sull’altalena senza poggiare mai i piedi a terra, osserva con affettuoso distacco i suoi personaggi, ne alimenta la sete di vita lei, condannata all’oscillazione e alla distanza da un divenire tanto agognato quanto inaccessibile. Attorno a lei, proprio in mezzo alla terra, rotola duramente e gioiosamente la vita di Modesta (Silvia Manciati che ha anche curato l’adattamento) che, superata la paura che tutti ci obnubila e dato un calcio al buon senso comune, forgia tra le sue mani quella spada sanguinaria che è la sua gioia. Una gioia che la permette di penetrare nel cuore del mondo dove le pulsioni primitive hanno il loro governo e dove affonda radice la possibilità del riscatto, della libertà. L’interprete ostenta una maschera da eterna bambina che dà corpo al candore necessario per affrontare una rivoluzione senza frontiere, e anche all’esuberanza che le permette di superare l’incertezza. Appare appena coperta da stracci o mantello dalla trama larga, un intreccio amplificato di corde, quasi a riecheggiare l’immagine di un’eroina micenea, una rete azzurra che attraversa il tempo, ma mai copre le gambe desiderose di correre. È la stessa rete che si stende sul fondo del palcoscenico a definire uno spazio che separa senza isolare.

Un altro personaggio femminile (Arianna Paravani) interpreta progressivamente i vari personaggi femminili che incontrano Modesta nel corso della sua lunga e variegata vita, una vita che certo non le ha fatto sconti, ma che pure le ha offerto qualche occasione. Per coglierla, però, è necessario rinunciare alla morale condivisa, anche alla coerenza pur di costruire quella gioia ferina necessaria al raggiungimento della conoscenza, del sapere, della consapevolezza politica. Quasi un novello Faust questa Modesta, pronta a vendersi l’anima, si ride della morale in nome di un’etica tellurica e fangosa che non conosce rinuncia. Una condotta quella di Modesta assai discutibile. Nel romanzo è pronta a liberarsi dalle persone scomode che intralciano la sua voglia di vivere. Nello spettacolo la sua spregiudicatezza feroce resta sfumata, forse incomprensibile per chi non conosce il romanzo, ma ne resta tutto il valore eversivo. Ed è proprio questa l’idea che dà forza allo spettacolo: avere compreso che quella violenza è da intendersi in termini simbolici e non realistici. Nessuno condanna Medea come infanticida, ma viene piuttosto celebrata come colei che rinuncia ad una progenie che nasce dal tradimento.

Così come Modesta non è un’assassina, ma una donna che per crescere rinuncia ad ogni convenzione.

Intanto Goliarda, avvolta nella sua rossa prigione, continua a guardare sorridente, dall’alto della sua altalena lo scorrere della vita che forse avrebbe voluto avere. L’ha saputa scrivere bene quell’arte della gioia che non ha mai saputo vivere; l’ha sublimata in una scrittura che ancora stentiamo a decifrare.

Difficile la gioia, molto più del dolore.

Alcune tra le molte figure maschili presenti nel romanzo sono interpretate da un unico attore (Davide Maria Marucci) che le attraversa con una versatilità brechtianamente controllata, interpretando anche il ruolo di Enzo Biagi che intervista Goliarda sulla sua esperienza in carcere (visibile su youtube). Un Biagi che sintetizza la sufficienza ottusamente ironica che caratterizza gli uomini incapaci di cogliere il potenziale rivoluzionario di una donna che con discrezione, ma con tenacia cerca una strada tutta da inventare. E bisogna dire che non è facile il ruolo di Davide Maria Marcucci che deve trovare lo spazio per il primo amore di Modesta, per suo figlio e altri uomini che faticosamente si sono avvicinati alla sua intimità trovandosi a rivaleggiare anche con altre donne legate a lei da ambiguità sentimentali. Lo spettacolo affronta il tema della sessualità della protagonista con leggerezza, ma con decisione, mettendo in evidenza quell’indefinibilità dei confini che serpeggiano ambigui tra uomini e donne.

Forse in questa trasposizione drammaturgica è rimasto in ombra un altro tema che segna profondamente la vicenda di Goliarda/Modesta: la conquista della conoscenza come strumento portante della consapevolezza politica.

Certamente si è voluto evitare il rischio di scivolare nel didascalico o nell’astrazione ideologica.

Lo spettacolo funziona; sia perché rispetta i contenuti dei testi di riferimento, ma soprattutto per la presa in carico di quei contenuti che vengono riproposti attraverso un vissuto drammaturgico fresco, sorgivo, attualizzato da nuove energie.

Goliarda ne sarebbe stata contenta.