“Alessia”, racconto di Adele Libero
S’era svegliato quel mattino col solito amaro in bocca, frutto del wisky ingurgitato la sera precedente, per dormire e tenersi caldo. Tobia, un senza dimora che ciondolava spesso dalle parti della Discoteca “Hip Hop” di Belluno, cominciò ad aggirarsi nel viale, recandosi proprio presso il grande edificio, ora addormentato. Spesso raccoglieva mozziconi di sigarette “interessanti”, ancora in grado di trasmettere qualche buona emozione, o bottigliette semivuote, che i ragazzi avevano buttato allegramente prima di allontanarsi a tutta velocità con le loro auto.
Ma, giunto alla parete nord, vide un corpicino di ragazza steso in terra, inerte e poco coperto, nonostante il freddo della notte. Si avvicinò con ansia. Giovane era giovane, con bellissimi lunghi capelli biondi e un volto diafano, dai lineamenti delicati. Le mise una mano davanti alla bocca e sentì un respiro lievissimo.
Tobia non aveva telefono cellulare. Frugò nella borsetta che lei stringeva con dita bianche ed affusolate e trovò un telefonino. Chiamò i soccorsi.
Alessia si svegliò in ambulanza, con una mascherina d’ossigeno sul volto ed una persona che cercava di svegliarla. Sbatté gli occhi così da far capire che si era cosciente. Lui sorrise e le tolse la mascherina.
Bentornata! Tutto ok? Lo sai che se non era per un barbone che ci ha avvisati potevi morire di freddo? Ora andiamo in ospedale, ti controlliamo un po’. Ok?
La corsa terminò presto e Alessia fu portata a pronto soccorso. Ovviamente la sera prima, in discoteca, trascinata per la prima volta da amiche di scuola, aveva bevuto e preso una pasticca, una sola. Ma era la prima volta ed il suo giovane organismo non l’aveva tollerata. Ma come fosse arrivata, poi, fuori dalla discoteca, in un prato, sola, questo era un mistero. Che diamine, le amiche avrebbero pure potuto riportarla a casa! Salvo che non fossero anche loro in condizioni pari alle sue.
In effetti al pronto soccorso quella notte c’era stato un bel movimento. Ragazzi di due discoteche si erano sentiti quasi tutti male. Qualche pasticca particolarmente tossica era stata venduta da spacciatori senza scrupoli ed ora i corridoi dell’ospedale erano pieni di lettighe!
Per fortuna a lei era andata bene. Cercò la borsetta per telefonare a casa. La trovò, ma il cellulare non c’era. Chiamò col telefono dell’ospedale ed, infine, dopo un’ora era con i suoi. Tra pianti e promesse di non farlo mai più si ritrovò nel suo letto, a dormire e riflettere.
Il giorno dopo, a scuola, non si parlò che di quella partita di pasticche. Anche altre compagne l’avevano assunte ed ancora stavano male. Alessia disse che doveva ricomprarsi il cellulare, rubato, forse, da quel barbone che l’aveva salvata. Ma Giada, la sua compagna di banco, la informò che aveva provato a telefonare e che il numero era attivo. Così anche lei provò a chiamare il proprio numero e dopo pochi squilli le rispose la voce di un uomo. Si presentarono e Alessia apprese che poteva andare a riprendere il suo telefonino quel pomeriggio, davanti alla famigerata discoteca.
Particolarmente felice di non dover ricomprare il costoso apparecchio, si recò dopo poche ore all’appuntamento, accompagnata dalla madre. Tobia le sorrise, quasi non riconoscendola per come adesso era bella! Quando l’aveva notata sul prato era stata una visione terribile per lui anche perché l’anno precedente aveva trovato uno studente, abbandonato sullo stesso prato, che purtroppo non ce l’aveva fatta. Era commosso, Tobia, ed anche Alessia che forse solo in quel momento comprese davvero il rischio corso.
Una sola pasticca ed era stata male come non mai, aveva conosciuto dolore, solitudine, disperazione. Si era addormentata in un prato sporco, al freddo. Aveva rischiato di essere violentata da qualche disperato di passaggio, di essere travolta da qualche auto. E tutto per imitare le amiche. Lei sapeva bene che le droghe sono tossiche, riducono le capacità intellettive e possono avere gravissimi danni su organi interni quali milza e fegato. Aveva letto in proposito, aveva avuto più volte tante lezioni dai suoi insegnanti. Ma la situazione aveva preso la mano: le luci, il fatto che tutti gli altri ragazzi cercano “lo sballo”, la musica forte.
Tobia comprese il suo stato d’animo e fece per salutarla, quando la mamma di Alessia cominciò a guardarlo in un modo attento, minuzioso, quasi ossessivo. Infine disse :”Ma tu sei Tobia Franchi, il mio compagno delle superiori? Si studiava insieme, tu mi passavi i compiti di matematica!”
Il povero barbone avrebbe voluto sprofondare. Si era lui il vecchio compagno di classe. E lei era Silvana, quella del primo banco, un po’ secchiona ma scarsina in matematica! Lacrime di imbarazzo e rimpianti cominciarono a rigare il suo volto.
Silvana lo abbracciò, nonostante il suo stato di sporcizia e trascuratezza. Se lo riguardò ancora e gli disse che quella sera doveva stare a casa loro, che adesso aveva dei vecchi-nuovi amici che lo avrebbero aiutato a riprendersi un po’ di dignità.
Questi sono i casi della vita, anche se possono sembrare strani. I fili spezzati a volte si riannodano in modo inatteso, il donare porta all’avere, il tempo svanisce in un abbraccio e la vita riparte.

commovente e allo stesso tempo dolcissima storia!!!! grazie Adele
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