26 ottobre, giornata internazionale della consapevolezza intersessuale, report di Egon Botteghi

ripropongo questo report di Egon Botteghi su un incontro con Michela Balocchi e Alessandro Comeni
Sabato 27 ottobre (2012) si è tenuto a Genova, il primo dei quattro incontri previsti per il Trans November, evento organizzato dall’associazione Genovagaya, in collaborazione con altre realtà LGBTQI, che culminerà il 20 Novembre con il Tdor (veglia celebrativa di tutte le vittime di quest’anno della transfobia). L’associazione “Le ninfe-Genovagaya”, nata a Genova nel 2003 e rifondata nel 2009, promuove la tutela dei diritti civili e la visibilità delle persone gay, lesbiche e transessuali (e, a questo punto, direi io, intersessuali!).
L’incontro di cui sopra, dal titolo Femmina, maschio e non solo, era tenuto dalla fiorentina Michela Balocchi, PhD in sociologia e sociologia politica, e dall’attivista intersex, fiorentino anche lui, Alessandro Comeni. Avendo enorme stima per queste due persone per la loro preparazione ed il loro impegno, mi sono precipitato ad ascoltarli, insieme ad altre quaranta persone, che, a detta dell’organizzazione, sono un buon risultato per la città.
Come sempre, quando si parla di intersessualità, si è aperto per il pubblico in sala un mondo sconosciuto, che suscita indignazione, meraviglia, curiosità per come queste persone vengono trattate fin dalla nascita, e che fa sorgere moltissimi interrogativi, data la delicatezza del tema, favorendo, anche in questa occasione, un serrato dibattito e tante domande. La prima a prendere la parola è stata la sociologa Michela Balocchi, che, con l’aiuto di slides molto chiare, ha illustrato definizioni e protocolli medici, illustrando la cornice sociologica e storica in cui questi sono sorti.
Con intersessualità viene indicata una molteplicità di situazioni in cui si trova chi alla nascita possiede cromosomi sessuali, apparato genitale e/o caratteri secondari che variano rispetto a ciò che viene considerato tradizionalmente come maschile e femminile. Dal 2006 il termine “intersessualità” è stato sostituito con DSD, “Disordine dello Sviluppo Sessuale”, ma la “nostra” relatrice preferisce mantenere la vecchia dicitura, in quanto non rimanda necessariamente ad un’idea di condizione patologica e medicalizzata. Inoltre, con il termine intersessualità, vuole “porre l’accento sugli aspetti di costruzione culturale, sociale e storica della stessa e sulla dimensione delle relazioni politiche e di potere che interessano i corpi, la sessualità, le identità di genere e gli orientamenti sessuali”.
Le forme di intersessualità individuate sono molteplici, e non sono affatto rare come si pensa, tanto che sono molto più numerosi gli intersessuali che i transessuali:
- Mosaicismo cromosomico ( no xx, no xy), 1 su 1.666 nati
- Klinefelter (xxy) 1su 1.000 nati
- sindrome da insensibilità agli androgeni (conosciuta anche come sindrome di Morris) 1 su 13.000 nati
- parziale sindrome da insensibilità agli androgeni 1 su 130.000 nati
- Ovotestis (vero ermafrodita) 1 su 83.000
Quindi si ha una molteplice varietà di situazioni atipiche, ma non patologiche, che dimostrano come la natura umana possa esistere anche in una forma diversa da quel rigido dimorfismo tra maschio e femmina sulla quale invece la cultura occidentale è costruita.
Quindi, con le parole di Michela Balocchi: “partendo dalla realtà delle persone intersessuali possiamo pensare all’essere umano come ad un continuum ai cui poli estremi si trovano la femmina e il maschio biologici ‘standard’,e lungo di esso un insieme (tra l’altro tutt’altro che numerico irrilevante) di persone con varietà cromosomiche e/o fenotipiche che non rientrano in quei due opposti. Persone, queste ultime, che in epoche diverse o in altre società vedevano riconosciuta, e talora altamente apprezzata, la loro presenza”.
Come invece la presenza di queste persone è accolta nella nostra società moderna, si evince dai protocolli medici, nati negli anni ’60, a cui questi bambin* vengono sottoposti fine dalla nascita. Le linee guida del trattamento medico degli intersessuali sono figlie del dottor John Money, statunitense, talmente famoso nelle operazioni di riassegnazione sessuale da far girare il detto “Money makes the sex”.
Questo medico, che spingeva per la femminilizzazione dei bambin* intersex, partiva dal postulato che i neonati sono psicosessualmente neutri e che tutto dipende dall’educazione al genere che si effettuerà in famiglia e nella società e dalla convinzione che un bambino non avrebbe mai trovato un equilibrio ed una salute psichica senza dei genitali esteticamente nella norma. Il suo protocollo prevedeva operazioni entro il ventiquattresimo mese ed occultamento della diagnosi al paziente e stretta educazione al genere assegnato.
Il risultato di queste procedure sono, secondo le associazioni intersex che si sono cominciate a costituire negli anni ’90, le tre “s”: “shame”, “secrecy”, “silence”, quindi segretezza e mistero per i trattamenti subiti, senso di vergogna e conseguente necessità di occultarsi, diminuzione o totale privazione di una vita sessuale, depressione, suicidio. Grazie anche al lavoro delle associazione per la rivendicazione dei diritti delle persone intersex, la prima delle quali è stata la statunitense ISNA, si sono rivisti in parte tali protocolli scientificamente infondati e figli piuttosto di una data temperie culturale.
Anche in Italia si stanno introducendo delle linee guida “che invitano, nei casi in cui non si manifesti un’urgenza medica o non vi siano elementi obiettivi per la decisione, a ritardare gli interventi chirurgici e a posticipare i trattamenti ormonali per consentire una partecipazione attiva del soggetto alla decisione, sia in riferimento alla propria percezione dell’identità sessuale, che in riferimento al bilanciamento dei rischi e benefici dell’intervento”.
Purtroppo nella pratica nel nostro paese si continuano a fare interventi sui bambin* anche in assenza di disturbi fisici. Come emerge dalle ricerche di Michela Balocchi “questo, come testimoniano anche i medici intervistati, è dovuto alla cornice socio-culturale di cui si parlava, anche alle pressioni che i medici ricevono da parte dei genitori,-a loro volta condizionati dal contesto sociale e culturale e solitamente impreparati ad affrontare un evento come la nascita di un figlio intersessuale, data l’omertà e la segretezza e la generale mancanza di informazioni sull’argomento in Italia.
Sul problema del rapporto con i genitori, una genetista intervistata afferma ‘È’ vero che ci potrebbe essere un counseling serrato con i genitori che imparano a trattare al femminile una figlia con un fallo ecc. ma è complesso […] il rapporto con i genitori è complesso, perché loro davvero hanno bisogno di sostegno e lì purtroppo non c’è una cosa strutturata, va improvvisata di volta in volta,…loro hanno proprio bisogno di un counseling per reggere un’identificazione di un femminile o di un maschile senza un genitale chiaro.
Questo di fatto che è così’”. Interessante è l’accenno a Kessler (1996) che “nella sua ricerca qualitativa sulla pratiche mediche per l’assegnazione di sesso nei bambini negli Stati Uniti, aveva rivelato il perdurare di una forte eredità patriarcale e fallocentrica, quella che concepisce la virilità sulla base estetica e del buon funzionamento del fallo, appunto, tant’è che, per contro, scarsa attenzione veniva data alla forma dei genitali femminili, tranne per il fatto che dovevano essere in grado di accogliere il pene”, prosegue Michela Balocchi.
L’approccio che ha contraddistinto la riflessione presentata all’incontro di Genova si rifà, detto a chiare lettere dalla relatrice, “al pensiero femminista post-moderno e decostruzionista e alle teorie queer che, insieme all’attivismo trans, sono risultati fondamentali per smascherare le strutture di pensiero e le pratiche sociali e le politiche di genere tradizionali e date per scontate” e ancora “Gli interventi di medicalizzazione dell’intersessualità rientrano in quella cornice teorica e in un sistema socio-culturale di riferimento in cui la ‘normalità’ viene fatta coincidere con la dualità femmina-maschio, cui deve corrispondere una donna o un uomo con un’identità di genere conforme al sesso biologico e con un orientamento sessuale di tipo eterosessuale”.
Dopo questa coinvolgente e chiarissima relazione, la dottoressa Balocchi ha mostrato un documentario statunitense del 2000, da lei sottotitolato, insieme ad Alice Troise, con la testimonianza di due persone intersex medicalizzate alla nascita, che ha commosso non poco il pubblico. L’intervento successivo è stato quello dell’attivista intersex Alessandro Comeni, che ha interagito con la sala, rispondendo, con l’umanità e la preparazione e la forza di una testimonianza diretta, alle infinite domande degli astanti, che sono terminate solo perché il tempo concesso per l’uso della sala dell’incontro era terminato. Quello che Alessandro ha voluto soprattutto ribadire è il diritto all’autodeterminazione, e non avere l’obbligo di incarnare una identità maschile o femminile né di fare una scelta. Vorrei terminare questo report con una citazione di dell’urologo e neurologo William Reiner dell’Oklahoma University Health Science Center “ Se vogliamo sapere chi o che cosa sia veramente un bambino, l’unico modo è domandarlo al diretto interessato” . Se a quattro anni mi avessero chiesto “vuoi essere un bambino od una bambina?”, io avrei saputo rispondere.