the nickel boys, di Colson Whitehead, recensione di Loredana De Vita

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Capita, talvolta, di avere tra le mani un romanzo e non riuscire a chiuderlo, non perché non sia piaciuto, ma, anzi, per il suo contrario, perché è piaciuto tantissimo, ma è difficile accettare di trovare bellezza in un romanzo così duro e diretto e vero. O, forse, anche per questo è più bello, poiché, se si accetta di restare nella storia non è perché si tratta di una favola incantata, ma perché manca l’incanto ed emerge il desiderio di fare in modo che quelle storie non esistano più e che non sia più così necessario narrarle. Ebbene “The Nickel Boys” ( Fleet, 2020) di Colson Whitehead è un romanzo così.

Non è il primo romanzo di Whitehead che ho letto e di certo non sarà l’ultimo. La sua scrittura è acuta, accurata, precisa, anche quando visionaria o immaginifica. Una scrittura che alimenta la vicinanza ai personaggi e che aiuta non solo a comprenderli, ma a diventare parte della loro vita.

“The Nickel Boys”(io l’ho letto in lingua originaria per sentire il suono netto delle espressioni dell’autore, ma esiste anche in italiano con il titolo “I ragazzi della Nickel”) è vincitore del Premio Pulitzer per il 2020, ma non è questo che lo rende speciale, quanto lo sconvolgimento dei criteri comuni di valutazione di un romanzo che diventa più reale del reale e che, anzi, di questo si fa testimone. La storia narrata, infatti, si ispira alla vera storia di Arthur G., un ragazzo chiuso nel riformatorio di Dozier School for Boys in Mariana, Florida, dove subirà, come tutti gli altri, soprusi, vessazioni e violenze di ogni tipo. Quando nel 2011 la “scuola” fu chiusa per diverse denunce, furono ritrovati i resti di molti ragazzi uccisi per le violenze e le torture subite, ma come spariti dalla memoria.

L’autore immagina le vite di due ragazzi che si incrociano e si fondono fino a diventare indivisibili (non rivelerò in che senso poiché anticiperei il finale della narrazione), Elwood e Turner. Elwood è un ragazzo cresciuto secondo gli insegnamenti e le speranze di Martin Luther King, ama i libri e studiare e, dopo il liceo, grazie all’aiuto di un professore che lo prende a cuore, riesce ad accedere al College, ma proprio qui, dove sperava di costruire il suo futuro, sarà incriminato per un crimine non commesso, solo per aver accettato il passaggio in un’auto che non sapeva essere stata rubata. Turner, invece, è un ragazzo che si trova per la seconda volta nel riformatorio, la sua visione della vita è più realista per quanto più crudele in quanto priva di speranza a causa del colore della pelle. I due ragazzi diventeranno amici e mentre Turner mostrerà a Elwood come difendersi e reagire dinanzi alle violenze che continuamente subiscono, Elwood mostrerà a Turner una prospettiva di vita in cui la speranza possa essere possibile. Nel tentativo di fuggire, uno dei due ragazzi morirà, il sopravvissuto decide che non parlerà mai della loro storia e di quello che hanno subito e sopportato. Quando, però, i primi resti di corpi dei ragazzi vengono ritrovati, decide di testimoniare la verità ed è qui, proprio in quel finale apparentemente spezzato, che la realtà imprigionerà il lettore caricandolo di quel peso della responsabilità che non può essere abbandonato.

“The Nickel Boys” ( Fleet, 2020) di Colson Whitehead è un romanzo avvincente e doloroso, coinvolgente e carico di significati. Lo suggerisco.