don Chisciotte della Mancia, di Miguel Cervantes, recensione di Loredana De Vita

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I due volumi che compongono la storia di “Don Chisciotte della Mancia” (Einaudi, 1956) di Miguel de Cervantes che includono un saggio di Erich Auerbach e sono accompagnati dalle illustrazioni di Gustave Doré, sono di una bellezza raffinata e accurata.
Mi piacerebbe scrivere un’analisi letteraria su questo libro che ha mille voci e mille risorse sia dal punto di vista del significato che del significante, ma ci vorrebbero pagine e pagine, ricerche e controricerche, ma non è questa la sede e mi limito, quindi, a narrare solo della piacevole emozione che mi ha accompagnata nella lettura.
Due volumi che, se si aprono con il timore che sia troppo, si arriva a chiuderli con il desiderio di rileggerli ancora. Vicende semplici, immediate, le cui metafore con il quotidiano di ogni tempo non possono lasciare indifferenti e che invitano a una riflessione che va oltre la risata ironica o la malinconia suggestiva del protagonista, per invadere e mettere in discussione la nostra capacità di immaginare l’impossibile e di impiegarlo come risorsa per cercare risposte ai molteplici interrogativi che la vita ci pone.
Al termine di ogni narrazione (chi gradisse leggerlo poco alla volta, può anche proseguire per piccoli passi senza perdere il fascino della storia), si prova il bisogno di tirare un sospiro non di sollievo, ma di rimpianto perché qualcosa di sé stessi è rimasto coinvolto.
Non si tratta di leggende né di storielle, anzi, la capacità dell’autore di mostrare la propria competenza letteraria nei riferimenti continui a personaggi e opere della letteratura spagnola e non solo, eleva anche gli eventi più semplici ad altezze cui l’ingenuo Don Chisciotte e il suo ironico compagno Sancio Pancia, non avrebbero ambito arrivare.
Non si tratta di follia, né di ritrosia verso la realtà, no, quello che spinge Don Chisciotte nelle sue peregrinazioni e invenzioni è proprio l’atto creativo di una realtà differente in cui c’è sempre un prode cavaliere che, solo e deriso, non si arrende dinanzi alla follia degli ingiusti.
Sì, leggere e comprendere le avventure di Don Chisciotte, impone di cambiare il punto di osservazione: non è folle chi compie gesta inusuali, ma chi non ne segue il percorso e si abbandona alla virulenza della derisione.
La carrellata di personaggi rappresentata e sfidata da Don Chisciotte, è l’enigma della narrazione. Egli affronta i personaggi più abietti e più infelici e, in quegli attimi di ilarità e leggerezza che provoca nei loro cuori, è capace anche di illustrare una felicità mai provata.
Sì, Don Chisciotte è un vero eroe, un vero cavaliere, poiché l’obiettivo della cavalleria non è vincere, ma scuotere gli animi e mostrare agli uomini che esistono gesta esemplari che potrebbero cambiare la condizione di tutti.
Il finale, tristissimo, non è la sconfitta di Don Chisciotte, poiché la morte non lo separa dalla sua vita, ma è la morte di tutti coloro che pur vedendo non hanno imparato a sperare.

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