the hours, film 2002, recensione di Valeria Vite

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Tre donne in tre decenni differenti: Virginia Woolf negli anni Venti, Laura Brown, una casalinga, negli anni Cinquanta e l’editrice Clarissa ai nostri giorni. Tutte e tre, legate al romanzo di Mrs. Dalloway, prenderanno in considerazione il suicidio mentre le ore della loro esistenza scorrono inesorabili. The hours è un film del 2002 delicato e introspettivo sul malessere psicologico al femminile, in cui il regista Stephen Daldry ha dato prova di grande bravura. Il film è stato tratto dal romanzo omonimo di Michael Cunningham, vincitore del premio Pulitzer.

Il cast è formato da attrici di grande talento, esemplari nell’interpretazione del dolore e della solitudine. Una giovanissima Nicole Kidman è stata premiata con il Premio Oscar come miglior attrice per il ruolo di Virginia Woolf; una protesi ha trasformato il suo nasino alla francese in quello importante ma comunque affascinante della scrittrice. Una Julianne Moore che il trucco ha volutamente “sciupato” ad arte è stata soltanto candidata all’Oscar, ma la sua casalinga americana degli anni Cinquanta ha un forte impatto sullo spettatore. Meryl Streep ha ottenuto delle importanti candidature a dei riconoscimenti per il suo personaggio, un’editrice apparentemente forte e intraprendente, ma afflitta da una grande fragilità.

Virginia Woolf è l’unico personaggio storico del film ed è un’icona del femminismo, della letteratura al femminile, del flusso di coscienza, della letteratura del Novecento, del disturbo bipolare e del suicidio, perciò Nicole Kidman ha sicuramente dovuto confrontarsi con tutto ciò che questa figura rappresenta nell’immaginario collettivo, ma ha superato brillantemente la prova. Non è necessario conoscere la biografia di Virginia Woolf per apprezzare il personaggio, anzi probabilmente i più ignoranti possono godersi l’effetto sorpresa.

Il film ha una struttura circolare, infatti inizia e si conclude con la morte della scrittrice. Virginia si suicida non soltanto perché la medicina nei primi del Novecento non è in grado di curare il disturbo bipolare, una malattia che comunque non viene menzionata da nessuno dei personaggi, ma anche perché, come viene detto nel corso del film, colui che si toglie la vita è sempre il poeta, il visionario, mentre gli altri riescono a ritrovare la forza di vivere. Anche il poeta e scrittore Richard, ex amante di Clarissa e figlio di Laura Brown, si suiciderà proprio per questo motivo.

Le tre donne protagoniste sono legate al romanzo di Mrs. Dalloway: Virginia Woolf lo sta scrivendo, Laura Brown lo sta leggendo e Clarissa, che lo ha letto in passato, è l’incarnazione del personaggio principale del romanzo perché sta organizzando una festa, compra dei fiori, nasconde una certa sofferenza sotto un carattere forte ed è stata soprannominata Signora Dalloway dal suo ex amante. Non è essenziale aver letto il romanzo, perché il film ne sintetizza il contenuto e ne recita delle citazioni funzionali alla trama, tuttavia può essere utile conoscerne il contenuto per meglio apprezzare il messaggio del film; indubbiamente allo spettatore verrà voglia di leggere il libro al termine della visione.

Le tre donne sono lesbiche. Virginia Woolf bacia incestuosamente la sorella Vanessa, ma il regista non sembra dare una connotazione negativa a tale gesto, anzi sembra essere molto tollerante. Laura Brown è innamorata della migliore amica ma è costretta a vivere una vita da casalinga eterosessuale in una società claustrofobica come quella degli anni Cinquanta, un’ambiente da cui fuggirà abbandonando marito e figli. Clarissa invece ha tutto, può vivere apertamente e liberamente il proprio matrimonio omosessuale con una figlia e degli amici che la accettano ma, nonostante ciò, non sta bene, in quanto è inconsapevolmente ingabbiata nelle cure dell’amico Richard malato di AIDS e nelle apparenze della sua vita sociale. Come dobbiamo interpretare il lesbismo in questo film? Forse esso vuole significare che tutti noi abbiamo delle pulsioni che sono in contrasto con le convenzioni sociali e che, se soffocate, possono portarci al malessere e talvolta al suicidio. E’ bene tenere presente che le lesbiche di questo film non sono per nulla queer, anzi, sono di una femminilità estremamente tradizionale.

Un tema secondario è la famiglia: le tre donne si muovono all’interno del contesto famigliare, persino l’emancipata e lavoratrice Clarissa. Le tre famiglie in questione sono formate dai, figli e da una potente figura maschile, intima e positiva nel caso di Clarissa e Virgilia, più lontana e meno empatica per Laura. Forse questo film vuole dirci che confinare le donne all’interno della famiglia è negativo per la loro salute mentale e per quella delle persone che le circondano: il povero Richard soffrirà infatti terribilmente per la fuga della madre.

L’occhio della telecamera è nascosto, forse è un po’ più evidente nella ripresa dall’alto della camera d’albergo che si allaga, brillante metafora dello stato d’animo di Laura. Sono significativi i primi piani dei volti affranti delle attrici, ma il vero capolavoro di questo film sono i dialoghi profondi, che fanno emergere la psicologia complessa dei personaggi femminili e che evocano il flusso di coscienza di Virginia Woolf. Sono suggestivi le colonne sonore di Philip Glass e i costumi, soprattutto quelli d’epoca, di Ann Roth. E’ tuttavia singolare che uno scrittore e un regista di sesso maschile siano stati così abili nel comprendere e nel raccontare la psicologia femminile.

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