Maria Goia e l’attualità del presente, di Sveva Fattori

“Un’anima nuova entra nella vita pubblica; un’anima che, non recando il sentimento di antiche convinzioni, di antichi odi, la nostalgia delle violenze vittoriose e rapaci, è più viva, più fresca tutta dell’oggi e protesa tutta verso l’avvenire. Siete voi l’anima nuova, o compagne, o sorelle. Voi date energie alla civiltà presente, è giusto che vogliate salvarla. E quelli che la guerra dovrebbe travolgere, massacrare o macchiare del delitto di avere ucciso, sono vostri figli, vostri fratelli, uomini cari al vostro cuore; quelli che dovrebbero soffrire l’eredità di questa tragica ora, saranno uomini del vostro sangue ancora. O compagne, per il presente e per l’avvenire gridate, coi socialisti, la vostra esecrazione alla guerra!».
È il 1915, le bombe cadono, fragorose come tuoni; gli uomini dal fronte non fanno ritorno, alcuni di loro muoiono nell’ignoto; le donne, senza armi e divisa, si dice siano rimaste nelle città e nei paesi a sostituire i loro uomini perduti, guerrieri della Patria. Ma quale sostituzione? Le combattenti femminili non prendono il posto di nessuno, solo rivendicano il proprio e da lì, dal luogo della generazione, fisica e intellettuale, partoriscono il mondo che sarà.
«Gl’infatuati della guerra grideranno che la vostra protesta è ridicola e che alle donne si conviene il silenzio, il dolore chiuso, che la piazza è per gli uomini, i quali conoscono i problemi sociali, e possono portarvi, senza offendere sé stessi, le loro passioni. Non ascoltateli. Mai la donna dovrebbe essere assente dalla vita pubblica, lasciando che una parte sola dell’umanità sia arbitra dei destini anche dell’altra. Ma se vi fu un momento in cui l’assenza sia colpevole e il silenzio quasi un delitto, è questo, o madri, spose, sorelle, donne d’Italia. Il fascino orrido della guerra ha preso gli uomini, i quali si lasceranno travolgere in nome di idealità che dovrebbero tenere uniti gli uomini e invece li dividono. Cercate di trattenerli! Parli per la vostra bocca il rispetto sacro alla vita, l’orrore della distruzione della barbarie, che vuol rinnovellarsi».
È il 1915 e Maria Goia su La Romagna socialista esorta le donne a rinnegare la guerra che si combatte con le armi e con il sangue, quella degli uomini, per rivolgersi alla loro personale battaglia di rivendicazione e di riconoscimento. Impegnate nella propria lotta pacifista, queste donne sono l’embrione di quella che, più tardi, Virginia Woolf nominerà la ‘Società delle estranee’, alle logiche di conflitto e di potere, che rivendicano e scelgono un’esclusione precedentemente imposta.
In quell’anno Maria Goia ha trentasette anni e alle spalle un passato segnato da studio, lavoro e militanza politica. Il contesto familiare in cui cresce e l’ambiente politicizzato che la circonda determineranno la donna che sarà. La sua è una famiglia di umili condizioni: il padre Raimondo lavora come salinaio mentre la madre, Edvige Marzelli, è una lavandaia. Saranno i fratelli maggiori, militanti nel Partito Socialista Italiano della loro città natale, Cervia, a iniziarla alla politica. Nonostante le precarie condizioni economiche, i genitori, riconoscendo la naturale propensione della figlia per lo studio e la sua spiccata intelligenza, le permisero di studiare. Così, dopo la scuola dell’obbligo, nel 1891 Maria si iscrisse alla regia Scuola Normale femminile di Ravenna. Sette anni più tardi, non potendo più beneficiare del contributo economico del Comune di residenza, fu costretta ad abbandonare la scuola e a proseguire gli studi da autodidatta. Nel frattempo, la giovane matura il suo interesse per le questioni politiche, con particolare riguardo per la causa femminile e del bracciantato. Nel 1901 Goia si iscrive al Psi e, nello stesso anno, debutta sulla scena politica in occasione dell’inaugurazione della prima sede socialista in Romagna. In quella circostanza Maria prese la parola per invitare le donne alla partecipazione politica e civile, esortandole a lottare per la propria emancipazione economica, per il diritto al voto e alla parità salariale. Fin da subito le viene riconosciuta una grande abilità come oratrice e conferenziera: i suoi interventi contro il ruolo subalterno a cui le donne venivano relegate, tanto nello spazio pubblico quanto in quello privato, le fecero guadagnare la stima di socialisti corregionali come Andrea Costa e Argentina Altobelli ma, allo stesso tempo, destarono l’attenzione della polizia che la citò come persona da sorvegliare in numerose note prefettizie.
Nel 1905 Maria tiene una serie di conferenze per trattare il tema della funzione sociale della donna, nelle Marche e in Umbria, a Spoleto, Rieti, Jesi e Chiaravalle. L’anno successivo Goia sposa il farmacista socialista Luigi Riccardi e insieme si trasferiscono a Suzzara, nel mantovano. La vita matrimoniale non durerà a lungo: Luigi morirà otto mesi dopo la celebrazione del matrimonio. Nel 1907 Maria diventa segreteria della locale Camera del lavoro e, in collaborazione con il compagno di lotte Achille Luppi Menotti, costituisce la Cooperativa di produzione metallurgica, un sistema di cooperazione in cui i soci, perlopiù operai disoccupati, potevano acquistare, rivendere e distribuire generi alimentari, abbigliamento e altri beni a prezzi convenienti. Goia si impegna anche nella costituzione di leghe di lavoratrici che, ispirate dai medesimi principi socialisti, sostenevano la necessità per le donne di sottrarsi al dominio dei padroni diventando lavorativamente indipendenti.
Il suo interesse nei confronti della causa femminile non si limitò esclusivamente alle questioni economiche-lavorative: nel 1911 Maria fu designata alla Segreteria del Congresso Socialista di Modena al cui interno avviò un dibattito per il suffragio universale femminile. In occasione del XIII Congresso del Partito Socialista, le donne del partito, tra cui spiccano insieme a Goia Anna Kuliscioff e Angelica Balabanoff, deliberano anche la costituzione di un comitato organizzativo.
Nel gennaio del 1912 viene pubblicato per la prima volta La Difesa delle Lavoratrici, primo periodico nazionale delle donne socialiste, alla cui dirigenza verrà posta Anna Kuliscioff.
Accanto a Maria Goia, troviamo tra i membri della redazione socialiste del calibro di Margherita Sarfatti, Argentina Altobelli, Angelica Balabanoff e Maria Giudice.
La guerra, il ruolo della donna nella società e nella famiglia, il lavoro sono alcuni dei temi maggiormente trattati negli articoli e nei racconti/novelle che compaiono sul giornale le cui pubblicazioni termineranno definitivamente nel 1925. Fino al 1918 Maria collaborerà con diverse testate giornalistiche per le quali scriverà articoli incentrati prevalentemente sul conflitto bellico e la condizione femminile.
Fervente sostenitrice del cosiddetto “socialismo dal volto umano”, componente socialista riformista il cui leader veniva riconosciuto in Filippo Turati, Maria rifiutava qualsiasi forma di violenza e di guerra. Per la sua propaganda antinterventista e antimilitarista, «antipatriottica con incitamento alla ribellione», nel 1916, su disposizione del Comando Supremo dell’esercito, Maria fu costretta a lasciare Suzzara, dove insegnava nella Scuola d’Arti e Mestieri, da lei stessa fondata. Successivamente, attraverso l’emanazione di un foglio di via, le fu ordinato di trasferirsi a Firenze dove sarà sottoposta a vigilanza. Dopo il breve soggiorno nella città toscana, Goia potrà andare a vivere a Milano, continuando il suo lavoro prima presso la Lega delle Cooperative e poi presso la Camera del lavoro.
Al termine del primo conflitto mondiale, nel gennaio del 1919, grazie a una serie di garanzie assicurate alle autorità locali, le viene concesso di ritornare a Cervia. Nella sua città natale, Maria assume il ruolo di segretaria della prima Camera del lavoro locale e fonda una biblioteca polare circolante, nucleo iniziale di quella che diventerà poi la Biblioteca comunale di Cervia che in seguito le sarà dedicata.
Nel 1921 un gruppo di fascisti proveniente dalle zone circostanti di Ferrara, Bologna e Forlì, giunse a Ravenna e incendiò la sede della Camera del lavoro; Maria Goia riuscì a salvarsi fuggendo da un’uscita secondaria ma, da quel momento, le fu imposto di astenersi da ogni attività politica e sindacale. Prostrata dalla malattia, la sindacalista e politica morì il 15 ottobre del 1924.
Una targa sita in via XX settembre, al civico numero 183, ne tramanda la memoria dal novembre del 1988.
«La guerra non è soltanto distruzione di cose e di vite, irrisione feroce di tutto ciò che la scienza e il lavoro operarono nei secoli per rendere più tranquilla, più lieta la esistenza degli uomini, ma è indurimento dell’anima, riadattamento agli spettacoli di sangue e di rovina […]. Noi abbiamo creduto che gli odii di popoli, di razze fossero spariti; che i lavoratori […] si tendessero le mani attraverso le frontiere e si dicessero: “Più in alto delle patrie sta l’umanità”. È venuta la guerra e anche i lavoratori hanno sentito il paese più che l’umanità […] e si sono trovati ad essere ciò che furono i loro padri guerrieri: senza rispetto delle cose, senza pietà degli uomini sospinti dalla terribile necessità di essere più forti. Quanti anni di lavoro occorreranno perché l’uomo violento, crudele, barbaro risollevato dalla guerra, lasci nuovamente il posto all’uomo civile in cui ogni violenza suscita ribellione, ogni sofferenza un palpito di pietà, l’uomo che crede alle vittorie del lavoro, della scienza e spera che sia edificata; anche per la sua opera, la città futura dei liberi ed uguali? Quanti anni occorreranno a sopire gli odii ridestati di una nazione contro l’altra, di una civiltà contro l’altra civiltà? Quanto tarderemo a ritornare noi stessi?». (Maria Goia, Donne, siate con noi contro la guerra!, in La Romagna socialista, 20 febbraio 1915)
È il 2024, le bombe cadono e la gente muore; i totalitarismi dilagano, rifiutando i vecchi nomi dittatoriali ma non le loro logiche; ogni tentativo di pace sfuma per colpa di uomini che ardono dal desiderio di supremazia patriarcale: loro decidono la guerra e le persone la subiscono.
È il 2024 e la gente muore, ancora, sotto i razzi e le esplosioni.
Credevamo e speravamo che non fosse più necessario e invece oggi più che mai «o compagne, per il presente e per l’avvenire gridate la vostra esecrazione alla guerra!», «parli per la vostra bocca il rispetto sacro alla vita, l’orrore della distruzione della barbarie, che vuol rinnovellarsi».