parità di genere e medicina, le protagoniste, le italiane, parte prima, di Roberta Pinelli

Parità di genere e medicina. Le protagoniste. Le Italiane. Parte prima

Tina Anselmi (1927-2016).
A diciassette anni, nel settembre 1944, entra nella Resistenza con il nome di battaglia di “Gabriella” e nello stesso anno si iscrive alla Democrazia Cristiana. Finita la guerra, si laurea in Lettere e inizia a insegnare come maestra, continuando a partecipare alla vita pubblica come attivista sindacale nella scuola. Eletta deputata nel 1968, nella sua lunga vita parlamentare, terminata nel 1992, si occupa di lavoro, previdenza sociale, sanità, pari opportunità. A fine anni Cinquanta, non esita ad affiancare la senatrice Lina Merlin, socialista e promotrice della legge per l’abolizione delle case di tolleranza, nella difesa dei diritti delle donne prostitute.
Nel 1976 viene nominata Ministra del Lavoro e della Previdenza sociale (la prima donna a diventare Ministra in Italia) e nel 1977 firma insieme ad altri la legge del 9 dicembre 1977 n. 903, che apre alla parità salariale fra uomo e donna. Nel 1978, diventata Ministra della Salute, nonostante la sua personale opinione contraria, distinguendo fra le proprie convinzioni e il ruolo istituzionale, firma la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza. Nello stesso anno istituisce il Servizio Sanitario Nazionale, che ha fortemente voluto pubblico, improntato ai princìpi di universalità, uguaglianza ed equità fra i cittadini e le cittadine.

Su indicazione della Presidente della Camera Nilde Iotti, nel 1981 viene nominata Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla Loggia massonica P2 di Licio Gelli, che terminò i lavori nel 1985. Unica donna della Commissione (composta da venti senatori e venti deputati), Tina Anselmi fu la prima a utilizzare la metafora della doppia piramide per illustrare le gerarchie di quello che definiva il “sistema P2”. Questo incarico le costò insulti e delegittimazione, nonché un crescente isolamento politico negli anni successivi, anche da parte del suo stesso partito.
Fedele servitrice dello Stato, sostenitrice convinta dei valori della Costituzione, è stata più volte presa in considerazione per la carica di Presidente della Repubblica ma, come amava dire «L’esame nei confronti delle donne è più severo e non finisce mai».
Una sua biografia è stata pubblicata nel numero 210 di Vitamine vaganti.

Mojgan Azadegan (1963).
Emigrata in Italia dall’Iran all’inizio degli anni Ottanta, quando nel suo Paese le università erano chiuse a seguito della rivoluzione, si è laureata in Medicina e Chirurgia a Pisa e specializzata in Igiene e Medicina Preventiva a Torino.

Attualmente è responsabile del Centro regionale per la Salute e la Medicina di Genere della Regione Toscana, istituito nel 2014. In Toscana ha avviato da alcuni anni il progetto “Codice Rosa”, un percorso di accesso ai Pronto soccorso riservato a tutte le vittime di violenza: donne, bambini, persone discriminate. Ha istituito inoltre un progetto di cooperazione sanitaria internazionale per la formazione di medici/che per progetti umanitari.
Il suo impegno principale resta però sempre il Centro regionale per la Salute e la Medicina di Genere. Nel marzo 2020 ha dichiarato: «Occorre educare alla salute, cominciando con le differenze di genere fin dalle scuole. È importante inoltre formare in tale ambito anche i medici di famiglia, senza dimenticare di fare informazione e comunicazione a tutti i livelli nel modo più corretto possibile. Infine, conta molto lavorare in modo concreto sui dati, perché solo dall’analisi dei dati possono derivare azioni mirate e utili per la comunità».

Giovannella Baggio (1947).
Inizia la sua vita da scout giovanissima, percorrendo tutta la scala della gerarchia dell’associazione scoutistica femminile, fino a fondare nel 1974 l’Agesci (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani), di cui è responsabile in Veneto fino al 1980. Nel 1972 si laurea in Medicina e Chirurgia a Padova e si specializza in Endocrinologia e Medicina Interna. Diventa prima ricercatrice, poi docente associata a Pavia e a Padova in Geriatria e Gerontologia, infine ordinaria all’Università di Sassari.

Dal 1999 al 2007 è direttrice dell’Unità operativa complessa di Medicina Generale dell’Azienda Ospedaliera Università di Padova. Dal 2013 al 2017 viene chiamata per chiara fama come ordinaria per la cattedra di Medicina di Genere, sempre a Padova. Nel 2009 fonda e viene nominata prima presidente del Centro studi nazionale su Salute e Medicina di genere, carica che detiene ancora oggi. Dal 2012 è membro del comitato scientifico della International Society for Gender Medicine (Igm). Nel 2022 ha organizzato per la prima volta in Italia il Congresso Mondiale della International Gender Medicine Society. Dal marzo del 2022 è membro del Consiglio Superiore di Sanità del Ministero della Salute.

Autrice di più di 270 pubblicazioni su riviste internazionali e nazionali e coautrice di 6 monografie, è redattrice scientifica del Journal of Sex-and Gender-Specific Medicine.

Alessandra Carè (1956).
Si laurea in Biologia e si specializza in Genetica medica presso l’Università La Sapienza di Roma.
Inizia subito a lavorare come volontaria all’Istituto Superiore di Sanità (Iss), dedicandosi in particolare alla biologia molecolare, mentre si mantiene con supplenze di matematica e scienze nelle scuole medie.
Dopo un’esperienza al Wistar Institute di Philadelphia e un anno all’Istituto nazionale tumori di Milano, vince un concorso e torna all’Iss, nel dipartimento di Ematologia e Oncologia, dove per vent’anni dirige il reparto di oncologia molecolare.

Nel 2017 l’Iss le affida il compito di istituire il nuovo Centro di Medicina di Genere e nel 2018 ne diventa direttrice. Racconta: «Dirigere un Centro nazionale di Medicina di Genere oggi vuol dire confrontarsi quotidianamente con la multidisciplinarietà (prevenzione, ricerca, comunicazione, formazione)». E ancora: «L’incarico come direttrice del Centro di Medicina di Genere ha portato con sé grandi responsabilità, tra cui quella del coordinamento a livello nazionale, poiché l’Iss è sede di un Osservatorio dedicato a tale disciplina. Mettere in luce le differenze biologiche vuol dire, a mio parere, affrontare le malattie nel miglior modo possibile, andando verso una medicina veramente personalizzata e di conseguenza equa».
Dietro il suo impulso, il Centro di Medicina di Genere dell’Iss, che all’inizio poteva contare sul lavoro di pochissime persone, oggi ne impiega oltre sessanta ed è diventato un punto di riferimento in Italia.

Giuseppina Cattani (1859-1914).
Dopo aver frequentato le scuole inferiori a Imola, Giuseppina Cattani si iscrive al liceo Galvani di Bologna e poi alla Facoltà di Medicina, dove si laurea con lode nel 1884, la prima donna laureata in Medicina dell’Università di Bologna. Schedata dalla polizia per la frequentazione del “sovversivo” Giovanni Pascoli, ancora prima della laurea viene chiamata da un suo professore a lavorare nel laboratorio di Patologia Generale dell’università, con risultati che saranno presentati all’Accademia dei Lincei.
Femminista e internazionalista, nel 1890 contribuisce alla nascita a Bologna del Comitato di propaganda per il miglioramento delle condizioni della donnaper favorire l’emancipazione femminile dallo stato di soggezione morale, giuridico ed economico in cui ancora si trovano le donne e promuoverne l’educazione intellettuale e culturale.

Si sposta a Zurigo, dove consegue la specializzazione, poi nel 1887 ottiene la libera docenza in Patologia generale all’Università di Torino. Rientra quindi a Bologna, dove viene ammessa all’insegnamento universitario, seconda donna dopo Maria Montessori. Continua le sue ricerche e nel 1889 riesce ad isolare una coltura pura del bacillo del tetano, primo passo per la messa a punto di un siero antitetanico che sarà ampiamente utilizzato per i soldati della Prima guerra mondiale. Nello stesso anno, inaugura all’Università di Bologna un corso di Batteriologia, a poca distanza di tempo dall’analoga apertura di quelli di Berlino e Parigi. Nonostante i riconoscimenti ricevuti e l’ammissione, prima donna, alla Società medico-chirurgica di Bologna, il suo ruolo universitario non andrà mai oltre l’incarico di assistente. Dopo aver tentato inutilmente di entrare come docente nelle Università di Palermo, Parma e Pisa (le scadenti valutazioni attribuite alle sue prove di concorso sono la conferma di una discriminazione, a quei tempi “normale”, nei confronti del mondo femminile), nel 1897 lascia Bologna e accetta la direzione del gabinetto di Radiologia, Anatomia Patologica e Batteriologia dell’ospedale S.Maria della Scaletta di Imola. Qui esercita anche privatamente come ginecologa e si ammala gravemente, probabilmente per l’esposizione ai raggi X, di cui al tempo non si conoscevano gli effetti negativi.
Morì a cinquantacinque anni nel dicembre 1914.

Adelasia Cocco (1885-1983).
Nasce a Sassari in una famiglia intellettuale progressista (il padre era scrittore e amico di Grazia Deledda) e nel 1907 si iscrive, unica donna, alla Scuola di Medicina dell’Università di Pisa. Rientra a Sassari al seguito del fidanzato e poi marito Giovannico Floris, veterinario, e qui si laurea nel 1913, seconda donna dell’isola a diventare medica, dopo Paola Sata, laureata nel 1902.
Nel 1914 presenta la domanda per diventare medica condotta in Barbagia, ma il Prefetto di Nuoro, scandalizzato, rifiuta di firmare il decreto di nomina a una donna. Il Consiglio Comunale di Nuoro, però, verificato che nessuna legge impedisce alle donne di esercitare la professione medica, le affida l’incarico in un rione popolare della città.
Nel 1915 il medico di Lollove, paesino sperduto sui monti del Nuorese, viene ucciso a fucilate in un agguato e Adelasia Cocco non esita a sostituirlo. Il Comune di Nuoro, però, le impone di muoversi solo dietro scorta di una guardia comunale armata. Per raggiungere i suoi pazienti, dispersi in zone isolate e poco raggiungibili, nel 1919 ottiene la patente di guida, prima donna in Sardegna.

Nel 1928 lascia la condotta per un nuovo incarico come Ufficiale sanitario del Comune di Nuoro e in questa veste fa opera di educazione sanitaria. Raduna le concittadine e insegna loro le nozioni basilari di medicina, contribuendo in questo modo all’ingresso delle donne nel campo della sanità, in un contesto regionale tutt’altro che aperto alle innovazioni.
Adelasia considera la malattia come un fatto sociale e politico e arriva a dirigere nel 1935 il Laboratorio Provinciale d’Igiene e Profilassi, dove lavora fino al pensionamento.
Importanti i suoi studi di Microbiologia a Roma, all’Istituto di Sanità Pubblica e presso l’Università di Pisa, concentrati, in particolar modo, sulla rabbia, sulle enteriti e sulla malaria.
In una delle ultime interviste dice: «Ho vissuto un’esperienza bellissima a contatto con i poveri, i contadini, i pastori… Ho dovuto lottare contro tutti, in un ambiente talvolta ostile… ma ho avuto la stima della popolazione, anche se, soprattutto all’inizio, mi sono sentita dire più di una volta: Signorina, quando arriva il dottore?».