“L’assistente ideale” di Cecile Bertod, recensione di Daniela Domenici

Un anno e mezzo dopo aver recensito due sue opere
torna a “trovarmi” virtualmente Cecile Bertod con “L’assistente ideale” che, ancora una volta, ho divorato in meno di ventiquattro ore per gli stessi motivi che ho elencato nelle mie precedenti recensioni: straordinaria ironia, dialoghi scoppiettanti al fulmicotone e perfetta descrizione psicologica dei principali protagonisti che in questa storia sono Adel (che poi diventa, per lavoro, Charlotte), correttrice di bozze in una casa editrice, il suo collega Philippe, grafico nella stessa, e Killian, un celebre archeologo e scrittore, la cui vita incrocia casualmente, per un equivoco, quella di Adel-Charlotte che dovrà fare i conti con le dinamiche esplosive che si verranno a creare tra lei, Philippe e Killian.
Questa volta l’ambientazione scelta dall’autrice è il castello di Glamis in Scozia ma anche la città francese di Lione dove vivono e lavorano Adel e Philippe, perfette le descrizioni del castello e di altri luoghi esclusivi dove si dipanano i “giorni scozzesi” di Adel-Charlotte.
Bertod si dimostra, ancora una volta, una Scrittrice con la S maiuscola sia per lo stile narrativo (neanche una manchevolezza stilistica, qui parla la correttrice di bozze ed editor) che per il pathos che riesce sempre a creare fino all’ultima riga quando non vedi già l’ora…di leggerne un altro!