accadde…oggi: nel 1906 nasce Maria Cibrario Cinquini, di Sandra Linguerri

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Nella prima metà del Novecento, Giuseppe Peano, Guido Fubini e Francesco Giacomo Tricomi erano i “decani” dell’analisi matematica a Torino. Maria Cibrario, nata a Genova il 6 settembre 1905 da Cristina Botto e dal cav. Giulio dei Conti Cibrario, membro di una illustre e nobile famiglia piemontese, collaborò con tutti e tre, sebbene a diverso titolo.

Si considerò sempre allieva di Fubini con il quale si laureò nel 1927 discutendo una tesi su La trasformazione di Laplace e le sue applicazioni alle equazioni lineari di tipo parabolico a coefficienti costanti. In seguito, diventò assistente di Peano, il quale ebbe sempre nei confronti delle donne che si occupavano di scienza e di cultura un’apertura affatto comune per l’epoca. Nel 1932, ottenuta la libera docenza in analisi matematica, iniziò a lavorare con Tricomi, il quale era subentrato a Peano deceduto proprio quell’anno. La sua intensa attività di didattica e di ricerca le valse nel 1933 il Premio ministeriale per gli assistenti, che veniva assegnato dall’Accademia dei Lincei.

Poco dopo il matrimonio con il collega Silvio Cinquini, celebrato nel 1938 e dal quale ebbe tre figli, Giuseppe, Vittoria e Carlo, Maria si trasferì all’Università di Pavia come professore incaricato, mentre il marito saliva alla cattedra di analisi che ricoprì ininterrottamente fino al 1976. La carriera la portò poi a ricoprire il posto di professore straordinario nelle università di Cagliari, dove giunse nel 1947 dopo essere stata ternata al primo concorso a cattedra di analisi matematica bandito dopo la lunga parentesi della guerra, e di Modena, fino al definitivo rientro a Pavia nel 1950 come ordinario. Qui restò per più di trent’anni e, nel 1980, fu nominata professore emerito di quell’Università. L’anno seguente venne eletta socio corrispondente dell’Accademia nazionale dei Lincei per le scienze fisiche. Era il coronamento di una carriera che annoverava altri prestigiosi riconoscimenti accademici: socio corrispondente dell’Istituto lombardo di scienze e lettere nel 1951 e membro effettivo del medesimo Istituto nel 1967 nonché dell’Accademia delle scienze di Torino dal 1968.

Nella sua produzione scientifica, un centinaio di memorie e note originali, affrontò molteplici e impegnativi argomenti rispetto ai quali propose soluzioni e risposte esaustive rivelando uno stile di lavoro al contempo rigoroso e poliedrico. Si è occupata di «questioni geometriche, calcolo delle variazioni, trasformazioni di Laplace, numeri e polinomi di Bernoulli e di Eulero, rapporti tra serie trigonometriche e serie di polinomi sferici generalizzati» e così via. [Guerraggio, 1998, p. 107]. Il tema centrale dei suoi studi, tuttavia, è costituito dai problemi di analisi pura riguardanti le equazioni differenziali a derivate parziali verso le quali fu indirizzata, fin dall’inizio, da Fubini.

Con facilità e rapidità, si impadronì altresì del settore di ricerca che nei primi anni Venti aveva contribuito alla fama del giovanissimo Tricomi: lo studio di un’equazione lineare alle derivate parziali di «tipo misto», ovvero un’equazione che cambia di tipo in diverse regioni del piano e, precisamente, è di tipo ellittico nel semipiano superiore e iperbolico nell’inferiore. Ripreso e approfondito il problema della classificazione di siffatte equazioni, nel 1932, dimostrò che la cosiddetta «equazione di Tricomi», sviluppata dall’autore in una nota memoria lincea del 1923, è valida solo sotto certe restrizioni che, se non soddisfatte, danno origine ad altre forme canoniche per le equazioni di «tipo misto».  Correggeva così Tricomi il quale aveva erroneamente assunto la “sua” equazione come modello di quelle di «tipo misto».

Ottenuta la classificazione completa delle equazioni in questione, un ulteriore gruppo di lavori che va dal 1935 al 1942 riguardò lo studio sistematico delle proprietà di tutte le sottoclassi individuate con il proposito di indagare, per ciascuno dei differenti tipi, i problemi da sciogliere, la portata delle soluzioni, la scelta delle tecniche da usare e gli artifici matematici ai quali ricorrere.

Ironia della sorte, quando agli inizi degli anni Quaranta Maria abbandonò sostanzialmente queste indagini, la comparsa degli aerei a reazione aprì un sorprendente campo applicativo per le sue ricerche. Si trattava infatti di studiare i fenomeni che si manifestano nella fase transonica, ossia «nell’intervallo di tempo in cui l’aereo è prossimo alla velocità del suono, la raggiunge e la supera» [Fichera, 1999, p. 301].

L’Italia scontava in questo campo le conseguenze del suo isolamento durante i difficili anni di guerra in particolare nei confronti degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. Ebbene, nel 1945, indipendentemente l’uno dall’altro, T. von Karman negli USA e F.I. Frankl nell’URSS si accorsero che la soluzione era offerta, nello specifico, dall’«equazione di Tricomi» e, in generale, dal settore di ricerca da lui inaugurato e proseguito con successo dalla Cibrario.

Intanto, l’interesse scientifico di Maria si era prevalentemente orientato verso le equazioni e i sistemi di equazioni iperboliche non lineari.  In questo contesto, ella sviluppò «la teoria delle caratteristiche»; una teoria che K. Friedrichs, pur essendone uno specialista, aveva ritenuto «di difficile applicazione» tanto da spingere altri illustri matematici come R. Courant, P. Lax, H. Lewy, I. Petrowski e J. Schauder ad elaborare metodi alternativi. [Magenes, 1994, p. 39]. Ella al contrario, utilizzando tale teoria, riuscì a risolvere diversi annosi problemi tra i quali quello di Goursat per le equazioni di tipo iperbolico non lineari e quello di Cauchy per i sistemi di equazioni alle derivate parziali del primo ordine. Sotto questo profilo, la sua memoria Un teorema di esistenza e di unicità per un sistema di equazioni alle derivate parziali, edita negli «Annali di matematica» del 1945, fu menzionato nel noto volume di R. Courant e D. Hilbert, Method of Mathematical Physics del 1962.

Col passare del tempo, in virtù di metodi d’investigazione che affondavano le loro radici nei procedimenti classici (come, per esempio, quello delle approssimazioni successive) ma che erano da lei adattati e potenziati con penetranti accorgimenti, riuscì a comporre una teoria delle curve che aveva come pregio e carattere di novità quello di estendere al campo delle funzioni di variabile reale risultati che in precedenza erano stati ottenuti solo nel campo analitico.

Infatti, a partire dagli anni Cinquanta, la Cibrario si dedicò ai sistemi iperbolici di equazioni esaminati da un nuovo e più ampio punto di vista che,  grazie al concetto di «soluzione in senso generalizzato» da lei introdotto in collaborazione con il marito, permetteva di risolvere un’equazione per così dire «in grande», ossia in una classe funzionale più ampia di quella richiesta dalla concezione classica [Magenes, 1994, p. 41].

Ma per far questo fu necessario assumere definizioni più generali del concetto stesso di “soluzione” e, conseguentemente, utilizzare adeguati strumenti analitici. Una parte significativa dei risultati cui si è accennato sono illustrati in maniera organica nell’importante trattato Equazioni a derivate parziali di tipo iperbolico, pubblicato nel 1964 nella collana delle monografie del Consiglio nazionale delle ricerche.

Al rigore della ricerca Maria Cibrario seppe unire il desiderio di condividere le sue conoscenze anche attraverso seguitissime conferenze come quelle, per citare le più famose, tenute nel 1977 all’Università di Torino al convegno dedicato a Francesco Tricomi e, due anni dopo, nella locale Accademia, in occasione della giornata di studi in onore di Guido Fubini e Francesco Severi. Questa spiccata propensione per la divulgazione caratterizza pure i suoi testi didattici tra i quali si ricorda l’ampia raccolta delle lezioni sulle equazioni non lineari e teoria delle caratteristiche che lei svolse nel 1956 a Varenna presso il “Centro internazionale matematico estivo” (C.I.M.E.).

È deceduta a Pavia nel 1992.