accadde…oggi: nel 1988 muore Nella Mortara, di Maria Grazia Ianniello

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Nacque a Pisa il 23 febbraio 1893. Di famiglia ebrea, era la quarta dei cinque figli di Lodovico e di Clelia Vivanti. Il padre, insigne giurista, fu trasferito da Pisa, dove insegnava all’Università, prima a Napoli e nel 1903 a Roma. Qui, dopo aver frequentato il liceo Visconti, Mortara si laureò in fisica nel 1916 presso il R. Istituto fisico di via Panisperna. Erano quelli gli anni di consolidamento dell’istituto romano sotto la lunga e illuminata direzione di Pietro Blaserna, che aveva riformato in modo radicale la didattica con l’istituzione della Scuola pratica di fisica. Alla morte di Blaserna, nel 1918, a ricoprire la cattedra di fisica sperimentale e a dirigere l’Istituto gli succedette Orso Mario Corbino. A ottobre del 1919, Mortara venne nominata sua assistente con il compito, che già era stato di Filippo Keller, Giuseppe Folgheraiter e Alfonso Sella, di coordinare la Scuola pratica per i corsi di fisica, ingegneria, matematica e chimica. Assolse questo incarico con grande competenza e profondo senso del dovere per tutta la sua carriera accademica. Tra le prime donne in Italia a occuparsi di fisica sperimentale, rappresentò l’aspetto più nascosto ma non meno importante della vita d’istituto, tanto da diventare un riferimento sicuro per generazioni di studenti che riconoscevano con affetto la funzione di guida autorevole di «zia Nella».

La sua attività di ricerca in tutti i settori applicativi allora di punta, soprattutto in campo medico, fu contraddistinta da grande intelligenza, raffinatezza e abilità sperimentali, non disgiunte da un’attività di routine faticosa e ripetitiva ma essenziale in quel tipo di pratica scientifica. Il lavoro di esordio, sui tubi per raggi X impiegati in radiografia (La caratteristica dinamica dei tubi per raggi X , 1916), esemplifica assai bene questo tipo di attività.

La ricerca si svolse all’inizio sotto la guida di Corbino, che insieme al suo giovane assistente Giulio Cesare Trabacchi aveva studiato tra i primi in Italia le applicazioni dei tubi di Braun e quindi dei tubi per raggi X. In quegli anni erano stati condotti studi approfonditi sulla scarica nei gas in tubi a bassa pressione ma solo per intensità di corrente costanti e nel caso statico. Mancava invece per la particolare classe dei tubi per raggi X lo studio completo delle curve tensione-corrente per correnti rapidamente variabili di grandi intensità e potenziali elevati. Mortara affrontò proprio questo studio su una varietà di tubi di produzione europea e americana, dimostrando rara padronanza nell’elettrotecnica del suo tempo, in particolare nella circuitistica, che andava configurata in laboratorio passo per passo in assenza di standard di riferimento. Nel caso specifico, un rocchetto di Ruhmkorff con il primario alimentato in corrente alternata dava tensione al tubo per raggi X, mentre un tubo di Braun-Wehnelt veniva impiegato come oscilloscopio per rivelare tensione e intensità di corrente istantanee dallo spostamento del fascio catodico. Degne di nota sono le modifiche apportate al circuito in modo da rendere gli spostamenti verticali e orizzontali del fascetto catodico proporzionali rispettivamente alla tensione ai poli del tubo e all’intensità di corrente che attraversava il dispositivo. Componendo i due spostamenti, Mortara ottenne le curve caratteristiche  che fotografò per diversi gradi di durezza del tubo.

Simile per metodologia sperimentale è un altro lavoro di quell’anno, condotto in collaborazione con Elena Freda (Sulla caratteristica dell’arco cantante …, 1916).

L’obiettivo della ricerca riguardava la costruzione delle curve della tensione in funzione dell’intensità di corrente che attraversava l’arco in un dispostivo di Duddell, impiegato all’epoca per l’illuminazione sfruttando la scarica ad arco tra due carboni. Il tema era stato già studiato da Corbino nel 1903 ed era tornato all’attenzione in seguito a una controversia sorta tra Michele La Rosa e Augusto Occhialini sulla natura degli spettri emessi all’aumentare della capacità e al diminuire dell’induttanza in un circuito secondario del dispositivo. Al variare di questi parametri, la trasformazione da spettro d’arco a spettro di scintilla rappresentava secondo La Rosa un unico fenomeno che variava con continuità, mentre per Occhialini i due fenomeni dovevano considerarsi distinti. Anche in questa ricerca venne utilizzato un tubo di Braun come oscilloscopio per rivelare le curve caratteristiche al variare dell’intensità di corrente nel circuito principale, della distanza tra i carboni, della capacità e dell’induttanza del circuito derivato. L’analisi spettrografica associata alle curve fornì risultati che confermavano l’ipotesi di La Rosa.

Negli anni seguenti Mortara diresse la Scuola pratica, con tutti i gravosi impegni didattici che questa comportava. Dal 1925 le fu affidato anche il compito di monitorare, presso l’Ufficio metrologico istituito da Blaserna a via Panisperna, il corista uniforme, cioè il diapason che forniva la frequenza musicale campione. Nello stesso periodo, la sua attività sperimentale subì una svolta decisiva in occasione del nuovo indirizzo di ricerca aperto da Corbino nel campo della radioattività naturale applicata al campo medico.

Nel 1923 Corbino aveva istituito, nei locali di via Panisperna, l’Ufficio del radio che, sotto la direzione di Trabacchi, si specializzò presto nella preparazione dell’emanazione estratta da soluzioni di cloruro di radio e nella taratura dei preparati solidi, liquidi e gassosi destinati all’Istituto fisioterapico per lo studio e la cura del cancro e agli ospedali a esso collegati. Un primo impianto per la preparazione di emanazione di radio era stato installato nel 1925, mentre un secondo impianto, interamente di produzione italiana, venne avviato nel 1929.

Mortara s’impadronì presto delle tecniche radiologiche che il complesso sistema di estrazione e purificazione dell’emanazione richiedeva fino a ottenere gli aghi contenenti il preparato opportunamente tarato da inviare agli ospedali. Uno dei problemi principali da risolvere riguardava l’individuazione di metodi che consentissero al personale addetto di eseguire l’intero ciclo di preparazione nel modo più semplice, rapido e in condizioni di sicurezza. In questa direzione si orientarono gli studi di Mortara, che offrì un contributo importante sugli apparecchi per la taratura dei preparati radioattivi mediante raggi gamma. Gli apparecchi in questione consentivano misure di grande sensibilità anche per campioni dell’ordine del microgrammo di radio, mediante una o più camere di ionizzazione collegate a un elettrometro a quadranti con lettura a specchio. In un suo contributo (Un metodo semplice per determinare il coefficiente di diffusione della emanazione di radio, 1933), Mortara determinò il coefficiente di diffusione dell’emanazione di radio in buon accordo con i valori trovati da altri ricercatori, con il vantaggio di semplificare notevolmente il metodo di misurazione.

Negli stessi anni, a via Panisperna Enrico Fermi e i suoi collaboratori si preparavano alle grandi scoperte del 1934 sulla radioattività indotta dai neutroni e sulle proprietà dei neutroni lenti. È noto il ruolo cruciale giocato dall’Ufficio del radio a favore del successo di queste ricerche, sostenute con determinazione da Corbino e da Trabacchi. Tra le attività di Mortara e quelle del gruppo Fermi non ci furono tuttavia contatti diretti; le vicende scorsero in parallelo rivelando il contrasto, come scrive Mario Ageno ([1989] 2008, p. 38), «tra la ruvida, sincera, autentica umanità di zia Nella, e il sofisticato ambiente del piano di sopra: l’ambiente in cui stava nascendo la fisica del nucleo atomico».

Risale allo stesso periodo una ricerca di acustica musicale (Metodo semplice per lo studio di apparecchi destinati alla riproduzione elettrica dei suoni, 1934), con la quale la scienziata individuò un metodo alternativo per studiare le curve di risposta in funzione della frequenza di vari dispositivi per la riproduzione dei suoni quali pick up (i cosiddetti diaframmi elettromagnetici), amplificatori e altoparlanti.

Un circuito contenente una pila termoelettrica e un galvanometro a specchio veniva collegato all’apparecchio da analizzare. Grazie a un sistema di leva ottica, dalle deviazioni dello specchio del galvanometro percorso dalla corrente sviluppata dall’apparecchio, era possibile disegnare manualmente su carta la curva delle frequenze in funzione del quadrato dell’intensità di corrente sfruttando gli spostamenti della traccia del fascetto luminoso riflesso dallo specchio del galvanometro. Per trasformare la curva in modo da avere in ordinate la radice quadrata delle intensità di corrente, Mortara, su suggerimento di Trabacchi, costruì un ingegnoso apparecchio grafico (ora conservato nella collezione di strumenti presso l’Istituto superiore di sanità di Roma), costituito da vari telai di legno e ottone, da punte scriventi e da un meccanismo intercambiabile che consentiva di trasformare le ordinate della curva da quadrati in radici oppure da valori logaritmici in lineari e viceversa.

A gennaio 1934 prese la libera docenza in fisica sperimentale presso la facoltà di scienze dell’Università di Roma; dal 1933 al 1937 occupò la cattedra del corista uniforme e tenne un corso di misure di grandezze fisiche. Nel 1937, la morte del padre Lodovico e del suo maestro Corbino, provocarono una crisi profonda nella sua vita personale e accademica. Un forte «esaurimento fisico ma soprattutto nervoso» (Roma, Archivio storico dell’Università La Sapienza, f. 5739 – N.M., c.n.n.) la costrinse al collocamento a riposo. Le leggi razziali aggravarono ancora di più la situazione. Il 18 marzo 1939, con decreto ministeriale, venne infatti dichiarata decaduta dall’abilitazione alla libera docenza in fisica sperimentale, «perché di razza ebraica, con effetto dal 14 dicembre 1938-XVII» (ibid.). Si rifugiò allora in Brasile dal fratello maggiore Giorgio, a sua volta emigrato a seguito delle leggi razziali. Nel marzo del 1941 tornò con un viaggio avventuroso a Roma per riavvicinarsi alla famiglia e trascorse dall’ottobre del 1943 al luglio del 1944 un periodo di clandestinità presso le suore Orsoline polacche.

Nell’agosto 1944 si resero vacanti due posti di assistente di ruolo presso l’istituto di fisica: a uno, già tenuto da  Bernardo Nestore Cacciapuoti, promosso aiuto di ruolo, venne nominato Umberto Cialdea, mentre l’altro, liberatosi per le dimissioni di Eolo Scrocco, fu messo a disposizione dal direttore Antonino Lo Surdo «per il reintegro della dott.ssa Nella Mortara che già l’occupava avanti i provvedimenti razziali» (ibid.). Così, il 25 maggio 1945 la scienziata fu riassunta in servizio con decorrenza dal 1° gennaio 1944; tenne il corso di esercitazioni di fisica sperimentale fino al 1958 anno in cui Trabacchi la accolse come ospite presso i laboratori di fisica dell’Istituto superiore di sanità, dove rimase a collaborare per altri vent’anni, sotto la direzione di Trabacchi prima e di Ageno poi, come assistente di Daria Bocciarelli al reparto di microscopia elettronica.

Morì a Roma il 2 luglio 1988.

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