accadde…oggi: nel 2002 muore Letizia Fortini, di Sara Mostaccio

https://www.elle.com/it/magazine/storie-di-donne/a31927748/letizia-fortini-poesie/

Ha scelto uno pseudonimo per affrancarsi da un padre ingombrante, ha frequentato sin da bambina i più grandi intellettuali del suo tempo e ha scritto romanzi, racconti e poesie. Questa è la storia di Letizia Fortini, una delle poetesse italiane dimenticate.

Letizia nasce a Milano nel 1929 e non si chiama ancora Fortini ma Mattioli. È figlia del banchiere Raffaele Mattioli, al centro della scena economica sia italiana che internazionale dal secondo dopoguerra fino agli Anni 70.

Il padre è anche un appassionato umanista che nel tempo libero traduce Coleridge e Shakespeare e si improvvisa poeta e che negli Anni 30 accarezza il sogno di diventare editore. È lui che prima di tutti gli altri la incoraggia a seguire la passione per le parole. In casa passano gli intellettuali più in vista del tempo: letterati, economisti, editori. Il salotto di casa Mattioli ospita spesso La Malfa, Croce, Cuccia, Einaudi, Sraffa, Gadda, Montale e Contini.

Sin da piccola Letizia inventa storie. Ancora non sa scrivere e già recita a voce alta racconti e poesie che ha immaginato. A scrivere comincia appena impara, già dai 6/7 anni, reinventando le storie che ha letto. All’inizio solo per divertimento.

A un certo punto mi sono ammalata e ho cominciato a scrivere sul serio (prima scarabocchiavo fra le risate affettuose dei miei fratelli) piccoli racconti fantasiosi, un po’ folli, un po’ tristi. Li diedi a leggere a Bigongiari, ne sottopose alcuni alla Banti che mi telefonò invitandomi da lei.

La guerra interrompe ogni cosa. Letizia ha molto tempo per leggere, divora libri su libri. Poi si sposa. È giovanissima, ha 23 anni quando convola a nozze con Leonardo Rimediotti e si trasferisce a Nozzole tra le colline del Chianti, nella fattoria che le regala il padre. Firenze diventa il nuovo centro di gravità anche se con la città avrà sempre un rapporto conflittuale, continua altalena tra amore e odio.

Tu volevi imporre

a una cavalla di razza

incomprensibili furbizie,

piccolo mulo scaltro.

Non lo sapevi

che le sarebbe bastato

uno sguardo sincero

e sentirne il coraggio

per farla saltare

senz’altro foraggio?

Inizia a frequentare i salotti letterari fiorentini dove negli Anni 60 stringe amicizia con Anna Banti che presto diventa un modello da seguire, per vita e letteratura. Seguendo il suo esempio e in suo onore sceglie uno pseudonimo per affrancarsi dall’ingombrante cognome del padre. Fortini è il nome della via dove abita Anna. A Firenze collabora anche con diverse riviste tra cui Nuovi Argomenti, Paragone e L’Approdo. Proprio su Paragone Banti le propone di pubblicare i primi due racconti.

Intanto conosce e corrisponde con personaggi come Natalia Ginzburg, Umberto Eco, Cesare Segre, Liliana Cavani, Eugenio Montale e Eugenio Scalfari. I suoi primi lettori sono Banti, Mattioli e Bigongiari e tutti e tre la incoraggiano ma Letizia ha già in sé la necessaria fiducia per lanciarsi nella letteratura.

Insegnante studente

fotografo pittore

evaso dall’ergastolo

ex-galeotto

dimesso da una clinica psichiatrica

sfuggito all’erba

o ancora sottomesso

figlio di migranti

o di nessuno forse

di noi tutti

il merito e la colpa

re in incognito

ebreo negro donna

oscuro furore

chiara la grazia

dibattuto amore

ladro e innocente

puro nel mio cuore.

Esordisce nel 1970 con la raccolta Pena la vita seguita poi da Il punto acerbo nel 1974 che per il titolo prende ispirazione da una delle Operette morali Leopardi (Che fu quel punto acerbo. Che di vita ebbe nome?). L’anno prima è morto il padre e la sua vena poetica sembra inaridirsi. Solo nel 1986 esce una nuova raccolta, Con altra voce, il cui titolo stavolta si ispira a Dante.

Gettata aerea di tregua inattesa,
in bilico,
fra due rive contrarie.
Perplessità di una sosta sospesa
Sulla via del mare.
E schiuma e onda
In avventura salata,
ridanno gusto alla vita,
che così è ricordata.

Nel frattempo si dedica anche ai racconti con le raccolte Il cavallo nero del 1972 e Una donna ubbidiente e altri racconti che esce nel 2002, nell’anno della sua morte. Ma anche ai romanzi: Borje esce nel 1980, I sussurri delle api cinque anni dopo, Esilio e morte di Robert Fox Lambert nel 1987, La valigia di cuoio di Russia nel 1995. Colpiscono soprattutto i dialoghi. A quanto pare sono frutto di lunghi anni di esercizio, dice: l’abitudine di parlare da sola, creando un dialogo costante con se stessa, le ha facilitato il lavoro.

Col respiro che sembra rassegnato
tenta una via d’uscita
insiste, prigioniero, a battere monotono
il muro lo scoglio la battigia.
Sornione ha baglio allarmanti
creste in vedetta un odore fresco e antico.
Le conquiste, i confini più arditi
raggiunti con tanto spreco di magnificenza
solo pochi metri per poche ore.
Qualche barca inghiottita, qualche corpo sommerso.
Un ago in un pagliaio.
La forza, tanta forza inutile burrasca.
Calmo, ma non persuaso,
ritorna ad allenarsi fiducioso
mentre paziente canta:
sirene in gara con l’incantesimo del suo destino.
Si allunga, si ritrae, pensa.
Dagli abissi alla superficie trema.
«Se attacco di sorpresa…»
Non smetto di sperare.

La sua scrittura in prosa sembra non conoscere arresti. In un’intervista racconta che si tratta di un fluire creativo che viene da sé, senza riflessione, nella “felicità della scrittura”. I suoi romanzi vogliono essere brevi per essere fulminanti “come un corto circuito.” Lo sono anche le sue poesie. A Milano trascorre gli ultimi anni della sua vita ed è lì che muore il 28 ottobre 2002.

Come vuoi che non impallidiscano

i pesci rossi

— e che poi muoiano —

condannati

al pianto della fontana.