Bina Agarwal, pioniera del femminismo ambientalista, di Sara Marsico

Bina Agarwal, pioniera del femminismo ambientalista

«Quando una donna ha un lavoro, una casa e un terreno può contare su un’opzione concreta per sottrarsi alla violenza maschile. Vale in India, come in Occidente», Bina Agarwal. Ci tiene a dire che non è un’ecofemminista però si è occupata di parità di genere in agricoltura, è indiana ma contesta la cosiddetta rivoluzione verde degli anni Sessanta, che ha danneggiato l’ambiente; difende le foreste ma lo fa da prima che diventasse una moda, combatte le disuguaglianze ma con un approccio intersezionale. L’economista che presentiamo alle nostre lettrici e ai nostri lettori è nata nel Paese di Gandhi e insegna Economia dello sviluppo e ambiente a Manchester, in Gran Bretagna. Tra i suoi molti libri A Field of one’s own, che richiama lontanamente nel titolo Una stanza tutta per sé di Virginia Woolfha ricevuto moltissimi premi ed è stato apprezzato in tutto il mondo. Comparando 5 Paesi dell’Asia Meridionale in un’analisi accuratissima, Agarwal sostiene che rafforzare il diritto delle donne alla terra migliorerà non solo la loro condizione ma anche il loro empowerment sociale.

Pioniera della lotta alle discriminazioni di genere in agricoltura, Bina Agarwal nasce nel 1951 e studia a Cambridge, dove compie gli Economic Tripos e a Delhi dove nel 1978 consegue il Phd in Economia. Si dedica all’insegnamento dell’economia all’Università di Delhi e dal 2009 diventa Direttrice dell’Istituto per la Crescita Economica in quello stesso ateneo. Sarà docente a Harvard, Princeton, Minnesota e Sussex. Ma il suo impegno non si limiterà alla teoria e all’Accademia; lavorerà per il Comitato delle Nazioni Unite per lo sviluppo, proponendo politiche pubbliche e sarà consulente della Planning Commission del Governo Indiano.
Fin dall’inizio della sua carriera Agarwal ricerca percorsi che siano in grado di cambiare le vite delle donne nelle aree rurali povere dell’India e del Sud del mondo. È la famiglia il luogo in cui le donne subiscono le ingiustizie create dalla legge e dalle norme sociali che rafforzano il potere maschile e dalla famiglia bisogna partire per comprendere l’origine della disuguaglianza. Da questa premessa fondamentale prende le mosse il suo pensiero, anche nella lotta contro la povertà. La sua critica a Esther Duflo e ad altri Nobel che si sono confrontati con il problema della povertà è netta: «Usano in economia un metodo di controllo a campione adattato dalla ricerca in medicina. È un metodo valido come altri. A me però interessa cambiare le istituzioni, a cominciare dalle leggi che applicano». Promuovere l’autodeterminazione delle donne è prioritario e per farlo occorre agire sulle leggi e sulle istituzioni. Sulla base delle sue ricerche nel 2005 una campagna di attiviste/i ha ottenuto il cambiamento in soli nove mesi dell’Hindu Succession Act eliminando la discriminazione di genere in materia di diritti di proprietà. Anni prima Agarwal aveva studiato le leggi sulla successione in Nepal, Bangladesh, India e Sri Lanka, riuscendo a decostruire il presupposto che le accomunava, cioè il fatto che la proprietà della terra si ottenesse per eredità e che dall’eredità le donne fossero escluse. La legge è cambiata ma a 17 anni dalla riforma solo una quota minima di donne ha potuto ricevere la terra per via ereditaria. Questo a causa di norme sociali patriarcali, all’interno delle famiglie, dure a morire. Cambiare le leggi non basta, sostiene Agarwal, se non cambia il potere sociale la diseguaglianza non potrà essere eliminata.
Dotata di competenze non comuni, nelle sue ricerche approfondisce temi chiave per lo sviluppo e le questioni di genere: povertà e disuguaglianza, agricoltura, tecnologia e sicurezza alimentare, gestione ambientale.
Economista non ortodossa, privilegia da sempre, come molte studiose di economia, l’approccio interdisciplinare nello studio, coniugando economia, giurisprudenza, etnografia, sociologia, scienze politiche e antropologia. Bina Agarwal, con le sue intuizioni originali e le soluzioni innovative ai problemi, aprirà presto nuove vie nella ricerca accademica e suggerirà politiche coraggiose a governi, ong e agenzie internazionali impegnate nella lotta alle disuguaglianze di genere in tutte le loro forme.
Nei suoi numerosi scritti, che inseriscono accurate ricerche empiriche all’interno di un quadro teorico fondamentale per la comprensione del potenziale dell’empowerment femminile, in famiglia e fuori, la critica alle percezioni discriminatorie nei confronti del contributo economico apportato dalle donne è una costante.
Il lavoro femminile in agricoltura, secondo le ricerche empiriche di Agarwal, permette di raggiungere risultati migliori. Negli anni Novanta in India e in Nepal le foreste di proprietà comune furono attribuite a comunità agricole per un uso collettivo. La gestione composta per un terzo, o esclusivamente, dalle donne diede risultati migliori nelle coltivazioni e nella commercializzazione dei prodotti. Altre ricerche di Agarwal hanno dimostrato che il coinvolgimento femminile nei comitati di gestione del patrimonio forestale poteva migliorarne la conservazione, ma non solo: una significativa presenza delle donne nei comitati esecutivi delle stesse istituzioni tutelava meglio la biodiversità, incrementando la qualità della gestione dell’ambiente.
Sulla cosiddetta rivoluzione verde indiana, basata su pesticidi, fertilizzanti, contaminazione dei suoli e monoculture, la posizione della studiosa del femminismo ambientalista è ferma: è stata una fase che ha ottenuto risultati significativi ma deve essere superata a favore di pratiche agroecologiche, come la raccolta dell’acqua piovana e la microirrigazione. Bisogna incentivare la coltivazione di gruppo che ha dato risultati molto positivi, soprattutto se la cooperazione è tra donne che raggiungono performance migliori di quelle degli uomini.
Agarwal è contraria al taglio degli alberi per costruire attrezzi e case o per farli ardere e per riscaldare. Sostiene la necessità di passare al gas naturale o al biogas perché più sostenibili. Non vuole però essere confusa con le ecofemministe, preferisce parlare di ambientalismo femminista. Secondo l’economista indiana l’ecofemminismo, che nasce in Occidente negli anni Ottanta, commette un errore quando sostiene che le donne sono più vicine alla natura e gli uomini alla cultura. Se la natura è vista come inferiore rispetto alla cultura, le donne inevitabilmente lo saranno rispetto agli uomini. L’ambientalismo femminista contestualizza il complesso rapporto femminile con la natura, mediato da divisioni diseguali del lavoro, della proprietà e del potere tra i sessi. Sia donne che uomini hanno la conoscenza della natura e l’interesse alla sua conservazione ma in modi diversi, poiché diversa è la loro dipendenza dalle risorse naturali. Per capire la forza delle posizioni di Agarwal all’interno dell’economia politica è utile ascoltare le sue parole, pronunciate in occasione del ricevimento del Premio Balzan nel 2017: «Quando cominciai la mia ricerca 40 anni fa si prestava poca attenzione alla disuguaglianza economica in generale e a quella di genere in particolare. Oggi la disuguaglianza economica è al centro della scena, ma la disuguaglianza di genere è rimasta ai margini sia della ricerca che della politica […] Tuttavia è questa forse la più profonda forma di disuguaglianza con cui dobbiamo confrontarci oggi, soprattutto quando incrocia le disuguaglianze di classe, razza, casta, perché influenza negativamente non solo l’economia di un Paese ma anche il suo tessuto politico e sociale. La disuguaglianza di genere è incorporata in tutte le nostre maggiori istituzioni: famiglia, mercato, comunità e Stato. Molti aspetti di questa disuguaglianza, tuttavia, restano invisibili, nascosti entro norme sociali di genere che spesso, in modo scorretto, sono viste come perfettamente naturali, o giustificate in nome della tradizione […] Lasciatemi evocare il preambolo della Costituzione indiana, che è fondato su quattro principi: Giustizia, Libertà, Uguaglianza e Fraternità. Le ultime tre sono una eco del motto nazionale francese, a cui l’India ha aggiunto la Giustizia. Per soddisfare pienamente tutti e quattro questi principi io credo che la giustizia di genere sia essenziale». A tale riguardo le sue osservazioni sulla violenza maschile a cui sono sottoposte le donne che si dedicano all’agricoltura in India e nel Sud globale sono estremamente illuminanti: «Nei casi in cui le donne sono impiegate, ma il marito non lo è, ci sono state le più alte segnalazioni di violenza domestica[…] In Kerala, uno stato nel sud dell’India, abbiamo analizzato cinquecento famiglie urbane e rurali alla luce di due condizioni: il possesso sia della terra che della casa, di uno di questi beni, o di nessuno. Quando le donne non possiedono né casa né terra, il 49% ha subito una violenza domestica. Di coloro che avevano la terra, il 17% ha subito violenza. Di coloro che avevano una casa, il 10% l’ha sperimentata. E di coloro che avevano entrambi i beni, il 7% ha subito violenza».
Il prestigioso Premio Balzan è stato assegnato «per avere messo in discussione i fondamenti tradizionali dell’economia e delle scienze sociali attraverso una innovativa prospettiva di genere; per avere accresciuto la visibilità e l’empowerment delle donne in ambito rurale nel Sud del mondo; per avere aperto nuove vie intellettuali e nuove prospettive politiche nei settori cruciali dello sviluppo dal punto di vista del genere»; oltre a questo riconoscimento, Agarwal ha ricevuto il Padma Shri dal Presidente Indiano nel 2008; il Leontief Prize dalla Tufts University nel 2010 e il Louis Malassis International Scientific Prize nel 2017 per la sua eccezionale carriera nello sviluppo agricolo.
È stata Presidente della Società per l’Economia ecologica, Vicepresidente dell’Associazione Economica Internazionale, Presidente dell’Associazione per l’economia femminista; ha fatto parte del Consiglio del Network dello Sviluppo Globale ed è una delle 21 persone che compongono la Commissione per la Misurazione della Performance Economica e del Progresso Sociale. Ha conseguito lauree honoris causa presso l’Istituto di Studi sociali in Olanda e all’Università di Antwerp in Belgio. Tra i suoi numerosi libri segnaliamo Diseguaglianze di genere nelle economie in via di sviluppo, edito da Il Mulino nel 2021 e Beyond Family Farming: Gendering the Collective Olschki (2021).