Lidia Menapace, il diritto di combattere, di Loredana De Vita
la foto è tratta da Il Manifesto.it
Lidia Menapace, the Right to Fight
Vorrei si potesse parlare senza retorica della morte di una donna piccola ma immensa che è stata capace di segnare un’epoca che l’ha segnata, trasformando le cicatrici in segni di lotta e di ricostruzione.
Ieri, nell’ospedale di Bolzano, all’età di 96 anni, si è spenta una donna e una lottatrice, una persona che ha creduto nel valore della lotta a favore della pace e della giustizia e non ha mai avuto paura, o forse ne ha avuta senza che questo la fermasse, di imprimere di significato il proprio vissuto contro ogni forma di dittatura e di bigottismo che penalizzasse la dignità e la libertà delle persone.
Lidia Menapace nomen omen, donna per la pace sin da giovane ha combattuto per la libertà, come staffetta partigiana, e poi per tutto il lungo corso della sua vita ha continuato a farlo partendo da una posizione “scomoda”: essere donna.
Ha combattuto senza guerra, da donna e pacifista, contro ogni sopruso a favore della pace, del femminismo, della democrazia (ma quella vera). Nota è la sua affermazione di ritenere ogni arma uno spreco e una fonte di inquinamento, noto il suo essere voce di un pacifismo attivo e responsabile, noto il suo accanimento nel restituire alle donne la libertà del loro essere libere e indipendenti.
Ecco, il lascito che riceviamo da Lidia Menapace è la sua voce, il concetto equilibrato e mai individuale di libertà e passione per la lotta civile senza armi. Una donna piccola ci ha lasciato, ma il suo canto di libertà tuona ancora… e deve.