accadde…oggi: nel 1991 muore Patrizia Vicinelli, di Sara Mostaccio
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Prima scendo in vita per poi scrivere” diceva Patrizia Vicinelli e in lei vita e opera hanno sempre coinciso. La sua esistenza aggrovigliata è stata nutrimento per una poesia che della vita è stata specchio e manifestazione e che spesso ha travalicato la pagina. La poetessa è nota per le sue performance vocali di rara potenza ma la sua opera poetica, che sia grafica o sonora, ha sempre forza corporea e una qualità scenica eccezionale. Ricorre a caratteri grafici e tipografici insoliti quando scrive e si serve di tutto il corpo quando recita.
E capita (sono solo) (?)
O accade: no; sono.
Allora ascolta la musica
Stanno eleggendo. LA LA LA
Moi. Je seulement peut-etre SUIS
LA LA LA. E capita la nuova: SOLUZIONE
Che letto. Come letto. Quando.
O accade: la psichiatria. Analisi
d’un letto, (sono solo) (?) CERTO.
Il fatto del letto è il sono.
LA LA LA Adesso ascolta la musica.
Vuoi venire? Tu? Se ti spogli.
Lo eleggeranno, lo sai. Proprio
solo, je suis peut-etre. Nel letto
Come sei freddo per questa terra.
È a Bologna che Patrizia nasce nel 1943 e come poetessa esordisce presto. Ha 19 anni quando pubblica E capita sulla rivista Bab Ilu del poeta e amico Adriano Spatola che la mette insieme nel salotto di casa con un gruppo di amici. Escono solo due numeri ma fanno storia. Un anno dopo la poetessa si avvicina alle neoavanguardie e specialmente al lavoro di Emilio Villa, poi nel 1966 partecipa al convegno di La Spezia del Gruppo 63 dove si esibisce con l’opera à, a. A edita l’anno seguente sia su carta che in vinile. Esplode il suo talento performativo:
alla fine della prospettiva
nel viale lungo che andava verso sud,
ricorda sempre, NON sempre RICORDANO
loro spostando – come scacchi –
la camera quadrata – di ferro –
una mossa ancora –
DI PIU’ DI PIU’ DI PIU’
MOLTO DI PIU’
sbatte sottolineando
contro forsennatamente
SDAN SDAN SDAN SBADADAN
UNA BATTERIA? cucchiaio contro lo sgabello
zoccolo che si spacca sull’asfalto
) … quella mattina era bagnata di rugiada …)
dilaniato cervello contro scontro
——— MA ——- COSI’ —— E’ —— COME ——–
————————— UCCIDERE ———————-
ancora non credeva,
: nun aggi’io acciso mmai, lo ggiuro, siggnurì,
e canto selvaggio che non si spegne e
moribondi appestati muoiono in questi capannoni
di metallo ardente
canto selvaggio la sua origine del sud
spini cardosi fiori d’arancio a mano, sole
rovo ma sole e nomadi fermi, rocce
non è qui il suo posto della morte,
di chi è la colpa? DI CHI E’ LA COLPA? DI CHI?
la colpa non esiste, LE COLPE STANNO A MONTE,
DI CHI E’ LA COLPA? DI CHI E’ LA COLPA?
Il tormento della voce, come quello della parola scritta, fanno parte della sua ricerca non solo poetica ma anche filosofica, un percorso irto di accidenti proprio come la sua vita segnata da una reclusione in carcere, dalle dipendenze e dall’aids, di cui morirà nel 1991.
Non tornerò.
Sui ponti infuocati
D’estate
brilla la luna
brillano
scarpette a strisce
si
vedono sulle
piazze gelide e deserte
d’inverno l’incuria
di essi per il tempo sarebbe
un buon inizio
ma sotto il senso climatico
la sua angustia
l’ho promesso,
non tornerò mai lì.
Contro vado
e dirimo
dirimpetto
all’abisso fornace
che singulto
da singoli avvicinarsi
avercelo
condizionato nella mente
il tempo rotto
il tempo consumato
siamo a prestito
adesso.
Dal giro dei grandi editori resta fuori, orgogliosamente lieta di “non essere inclusa in certe antologie” perché i suoi testi sono volutamente spiazzanti, non rispondono alle regole, non si adeguano alle mode. Ma emarginata è stata anche per le sue scelte di vita. Una outsider in piena regola, senza timore di pagarne il prezzo.
Nel 1979 esce per Tau/ma Apotheosis of schizoid woman che su richiesta dell’autrice viene stampata da destra a sinistra con pagine a ritroso. Nel 1986 AElia Laelia stampa il poemetteo Non sempre ricordano. Postuma, a tre anni dalla morte, esce una antologia per Scheiwiller. Ma solo nel 2009 il suo lavoro, inediti inclusi, viene raccolto nel volume Non sempre ricordano. Poesia Prosa Performance per Le Lettere.
Collabora a numerose riviste tra cui Ex, Quindici, Che fare, Marcatré, Alfabeta. Alla voce Patrizia Vicinelli che scrive per l’Autodizionario degli scrittori italiani pubblicato nel 1989 si descrive con tono autoironico predicendosi “un futuro sicuramente radioso” pur essendo già sulla via della dissoluzione:
“Molto complessa esistenzialmente la sua vita, è sempre o quasi di ottimo umore e molto fiduciosa in un futuro che si prospetta sicuramente radioso.”
La sua poesia visiva viene esposta in ogni angolo del mondo, da San Francisco a Tokyo, da New York a Milano e Venezia, mentre la poesia fonetica vive in molte registrazioni. Ma la poesia propriamente detta non è l’unico canale espressivo di Patrizia che partecipa come attrice anche a diversi film d’avanguardia.
Compare nei film La notte e il giorno, Transfert per camera verso Virulentia, Durante la costa dei millenni a firma dell’artista visivo Gianni Castagnoli. Il regista Alberto Grifi, con cui condivide gli anni 60, traccia invece una sorta di diario della poetessa con In viaggio con Patrizia 1965-2007. Recita anche nel film A Patrizia di Tonino De Bernardi in cui racconta un viaggio in Marocco. In Nord Africa fugge per evitare una condanna per il possesso di hashish risalente a 10 anni prima, alla quale però non riesce a sottarsi. Al ritorno viene arrestata e trascorre in carcere 9 mesi tra il 1977 e il 1978.
Il suo canto selvaggio è stato accostato a Dino Campana e agli espressionisti e ha assorbito le esperienze neoavanguardiste del Gruppo 63, ma Patrizia si è discostata da tutti gettandosi a capofitto nel fuoco ardente di una vita vissuta senza risparmio e lasciando che se ne impregnasse la sua poesia.
L’acqua infetta le sponde dell’oblio
che sempre cerco – come viandante –
sulla strada senza riposo
come una mèta già sorpassata
silenzio
aria di pini
vertigini
di fronte all’uscita
troppa luce
ricorda disperatamente invece
brilla
la mia materia si fonde
in esplosione violenta e violetta
che sia la prima vibrazione sana?
l’aura e l’aureola e l’aurora
tempo congiungiti con le mie diramazioni
non sorpassarmi
non avanzarmi
sii uno col mio spazio unico
e il senso interno che mi guida a tracciato
dall’esterno –
fonditi.
È bella Patrizia, affascinante e pericolosa, spesso ricordata dagli amici con un bicchiere in una mano e una sigaretta nell’altra, bionde chiome tagliate corte e uno sguardo che ti inchioda dritto nell’anima. Tanti gli amanti, dallo scrittore Nanni Cagnone al cineasta Alberto Grifi, dal mercante d’arte Gianni Michelagnoli all’artista Gianni Castagnoli. Due figli da padri diversi, troppe intemperanze, mai un pentimento.
Il riflesso dello specchio è vuoto
come l’anima che mi accoglie
la vitale spinta che mi fu data
non voltarti disse,
ma il contatto sanguineo
con quell’antica piramide di uomini
scalatori di stelle inesplorate
fecero inevitabile il contatto dei fili
elettrici due tracciati che combaciano
e come l’amore in congiunzione
esplodono
e producendo creano
tutto quell’altro mondo
che chiamiamo sogni
che neghiamo speranze
che siamo già
infinitamente fuori
da quegli spazi congiunti
e ancora opposti.
Non fa mistero di nulla, non nasconde mai niente delle sue avventure e delle sue disavventure. Neanche la dipendenza che la distrugge. È sempre protesa alla vita, pronta ad assaggiarne ogni sapore, anche il più amaro.
Sono stanca di raccontare
a tutti
la mia storia
Perché non la capiscono,
la mia storia
non credono sia mia
E finirò col credere
che la mia storia
è un’altra
Eppure racconta. Racconta con la medesima vitalità con cui le ha vissute l’esperienza della prigione a Rebibbia (dove mette in scena una Cenerentola femminista insieme alle altre detenute), gli amori, le persecuzioni della polizia, le lotte femministe, l’eroina. Porta sul viso i segni di un terribile incidente stradale e sul corpo quelli della dipendenza dalle droghe.
Ho cercato di essere umano fra quelli che chiamano umani
trattandoli come si deve,
con la fiducia che ci fosse carne
sangue uguale sotto l’ombra gigantesca che li avvolgeva.
Ho sperato di essere io a sbagliare,
sapevo di essere pazza comunque, nonostante loro,
sapevo anche che la mia follia sarebbe cresciuta con me.
Feci di tutto per non vedere
bloccando gli schemi della memoria
credendo in un dio di uguaglianza
pensando alla natura da cui l’uomo parte
e si riflette in sfaccettature.
Ho pensato che si poteva aver pietà,
e che granelli della mia luce e del mio orrore
urlassero in pianto sull’infinito per cadere su qualcuno,
in qualche modo sotterraneo
potessero infine modificare.
Ho chiuso le mie finestre sul mondo
quando ciò per più volte non accadde.
Le parole, come la sua vita piena di scandali, sono scorticate e messe a nudo. La poesia è un urlo che mescola struggente dolcezza e scatenata furia, muta continuamente ritmo ma sempre corre a perdifiato verso un destino che è personalissimo ma anche collettivo. L’io poetico tradizionale non è più centrale, anzi è volutamente abolito (sia letterariamente che politicamente) per lasciare spazio a un soggetto poetico equivoco e multiforme. In qualche caso si declina addirittura al maschile.
Le norme stilistiche consuete non sono capaci di contenere l’esplosione fisica della sua voce e un’urgenza di dire tanto incalzante da stravolgere tutti i piani temporali e frantumare il verso. La parola si polverizza in fonemi, diventa puro suono. Abbondano iterazioni e allitterazioni, la sintassi è spezzata e i lessemi frammentati e ricomposti danno accesso a una dimensione alternativa e visionaria.
In questa direzione va anche la scelta di sovrapporre diverse lingue, tutte con la medesima importanza e non subordinate alla lingua madre. Il plurilinguismo è un potente strumento espressivo tra le mani di Patrizia e nella sua bocca. Molti dei suoi testi sembrano (e spesso effettivamente sono) partiture da eseguire dal vivo con la voce:
APOTEKE: “prego, un’ampoule De Lagrange”/
i francesi dicono: “un’ampoule de maxiton
fort”, una certa droga diabolica di 350 anfé,
con cui, après la chute, sali mezz’ora,
hai tempo di intervistare i cherubini,
come quello: … certo Benito G. mexicano
e poeta finito a colpi di shock electro
anche! terapy in Tangier, anno 71…
I pochi libri che pubblica li cede senza compenso, ricava 50.000 lire solo dalla pubblicazione dell’opera a, à. A, poi niente più, né dalle stampe né dalle mostre o dai dischi di poesia sonora. Dice di sé che “vive coi soldi dei due padri dei rispettivi figli, perché si è sempre rifiutata di fare qualsiasi cosa.”
Eppure di cose ne fa. Lavora anche con musica e teatro mettendo in scena insieme al trombettista Paolo Fresu Majakovskij il tredicesimo apostolo. È lei stessa a interpretare il poeta folle in italiano mentre Joan Minguell gli dà voce in catalano. Si produce anche come pittrice, ruolo che interpreta anche nel film Amore tossico di Claudio Caligari. Come il personaggio del film Patrizia vive pericolosamente e senza freni una vita incandescente e tormentata.