accadde…oggi: nel 1803 nasce Flora Tristan, di Sara Mostaccio

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Flora Tristán ha attraversato un Oceano alla ricerca delle sue radici peruviane (e di un’eredità che le spettava e non ha avuto) ma è stata anche scrittrice che aveva a cuore le questioni dell’emancipazione femminile e della classe operaia.

Flora Célestine Thérèse Henriette Tristán y Moscoso nasce a Parigi il 7 aprile del 1803. Il padre Mariano Tristán y Moscoso è un colonnello dei Dragoni del Re di Spagna. Era nato ad Arequipa, Perù, allora colonia spagnola, da una famiglia ricca e potente che rivendicava la discendenza da Montezuma.

La madre Anne-Pierre Laisnay è francese, figlia di un cattolico rifugiato in Spagna dopo Rivoluzione. Si conoscono a Bilbao nel 1802 e si sposano poco dopo ma l’atto di matrimonio non viene registrato dunque per la legge non c’è mai stato. Questa disattenzione sarà l’inizio di molte sventure.

La coppia si stabilisce a Parigi ma pochi anni dopo don Mariano muore improvvisamente lasciando senza sostanze né diritti vedova e figli, ufficialmente illegittimi. Tutte le proprietà che possedeva in Perù e in Spagna vanno ai familiari peruviani mentre le proprietà francesi vengono acquisite dallo stato.

I fasti del passato sono tramontati e Flora è costretta a lavorare. Diventa apprendista dell’incisore André Chazal che la madre la incoraggia a sposare nonostante le sue resistenze. Convolano a nozze nel 1821 ma il marito è violento e la vita coniugale è un inferno. Inoltre nel 1816 la Restaurazione ha abolito il divorzio. Flora non ha scampo.

Il primo figlio, nato l’anno dopo, muore ancora bambino. Due anni dopo nasce Ernest-Camille ma l’anno seguente Flora, nuovamente incinta, decide con grande scandalo di lasciare il marito e tornare dalla madre dove dà alla luce Aline Marie (futura madre del pittore Gauguin). Flora vive da reietta, per di più perseguitata dal marito che pretende l’affidamento dei figli e più volte tenta di rapirli.

In questi anni si mantiene come può. Mette i figli a balia e lavora vendendo merceria, poi come dama di compagnia in una famiglia inglese. Ma tutto cambia quando incontra il capitano Zacharie Chabrié appena tornato dal Perù dove ha conosciuto la famiglia di Flora. Decide così di scrivere allo zio Pío Tristán y Moscoso, fratello minore del padre, descrivendo la sua situazione di indigenza (ma tacendo la condizione di moglie fuggitiva) e chiedendo la sua parte di eredità. Lo zio le regala una somma di denaro e la invita ad andare a trovarlo ma sull’eredità è chiaro: non ha diritto a niente.

Flora accoglie l’invito dello zio come un’occasione per liberarsi dalle continue persecuzioni del marito. Con la speranza di far valere le sue ragioni, nell’aprile del 1833 si imbarca sul piroscafo Mexicain a Bordeaux. La traversata dura 133 giorni, a bordo è l’unica donna tra 15 membri dell’equipaggi e 6 passeggeri. E sola viaggia per tutta la vita infischiandosene dei pregiudizi e delle convenzioni dell’epoca. “Ero sola, completamente sola, fra le due immensità dell’acqua e del cielo”.

Sbarca a Valparaíso e da lì prosegue verso Islay dove “tutti mi guardavano perché rappresentavo un avvenimento”. Da qui intraprende il faticoso viaggio verso Arequipa. In molti la scoraggiano dal viaggiare nel deserto su una mula ma Flora è determinata e l’11 settembre parte, con un tappeto arrotolato sul cuscino di paglia che funge da sella e tanto caffè per darsi la carica.

“Io, che ignoravo tutto dei viaggi, ero partita come se avessi dovuto andare da Parigi a Orléans. Portavo degli stivaletti di traliccio grigio, una vestaglietta di tela bruna, un grembiule di seta nella cui tasca c’erano un coltellino e un fazzoletto e un piccolo cappello blu di tela indiana”.

Il viaggio è tutt’altro che comodo tra sentieri pericolosi, un caldo insopportabile e l’immenso deserto davanti a sé mentre sullo sfondo, lontanissimi, si stagliano la Cordillera e i vulcani di Arequipa:

“Alla vista di quel magnifico spettacolo ho dimenticato le mie sofferenze, vivevo solo per ammirarlo e avevo la sensazione che non bastasse tutta la vita per ammirarlo degnamente… Ero in estasi. Mai nessuno spettacolo mi aveva dato tanta emozione”.

Attraversare la pampa si rivela sfibrante e Flora si ammala ma è terrorizzata all’idea di essere lasciata indietro dai due compagni di viaggio in una zona dove manca del tutto l’acqua e il sole fa sembrare la sabbia liquida e pronta a inghiottirla. Perciò continua nonostante tutto e quando finalmente arriva è allo stremo delle forze. Ma ha raggiunto il suo obiettivo. “Mi trovavo dunque nella casa dove era nato mio padre, dove i miei sogni d’infanzia mi avevano spesso trasportata!”

Ad Arequipa viene accolta con affetto e per 8 mesi vive nella casa dei parenti godendosi gli agi del lusso e le delizie della buona società. Eppure non manca di notare le condizioni di vita dei più poveri, la disparità sociale e il razzismo verso gli indios, l’eccessiva teatralità religiosa, la corruzione e l’avidità dei politici. Si interessa anche alla condizione delle donne peruviane che sembravano godere di una sorprendente autonomia.

“Non c’è luogo sulla terra dove le donne abbiano maggior potere e libertà che a Lima… Tutte le donne portano il saya, il costume nazionale, a qualunque classe appartengano… vanno quasi tutte in giro da sole… è impossibile riconoscerle. Non ci vuole molta fantasia per apprezzare i vantaggi di questa pratica di travestimento… se ne vanno libere e indipendenti tra la folla, molto più di quanto non lo siano gli uomini, che hanno il viso scoperto… sotto il saya le donne limegne sono libere e si godono la propria indipendenza… Sono sempre se stesse, in ogni situazione, e non subiscono costrizioni”.

Il Perù che visita Flora si è appena reso indipendente dalla Spagna ma è in corso la guerra civile. La viaggiatrice assiste personalmente ad alcune battaglie e propone anche una serie di riforme sociali intervenendo direttamente nella vita pubblica locale grazie ai contatti dello zio nel governo: “mi sono messa in aperta rivolta contro un ordine di cose che sanzionava la schiavitù del sesso debole e la spoliazione degli orfani, di cui ero anch’io vittima.”

Il 15 luglio del 1834, dopo un periodo trascorso a Lima, Flora si imbarca per il viaggio di ritorno: “La mia impazienza di tornare in Europa cresceva ogni giorno. Da quando l’avevo lasciata, l’amavo e apprezzavo di più.” La famiglia le ha concesso una piccola rendita che le permette di vivere dignitosamente ma soprattutto porta con sé una nuova consapevolezza con cui mettere a fuoco il suo programma politico e sociale.

Nel 1835 pubblica a Parigi l’opuscolo Nécessité de faire un bon accueil aux femmes étrangères con la proposta di creare una società di soccorso per le donne straniere in difficoltà. Rielabora gli appunti scritti in Perù e pubblica Il convento di Arequipa sulla Revue de Paris. Scrive anche i ricordi di viaggio Le peregrinazioni di una paria che escono nel 1838 e ottengono un enorme successo ma provocano anche la furia dello zio e la sospensione della rendita. Contemporaneamente esce il romanzo Méphis su un operaio che si oppone ai crimini di un gesuita. Flora si sta facendo una fama come scrittrice.

Il marito però non si è ancora rassegnato ad aver perduto la moglie, che secondo i costumi dell’epoca è una proprietà esclusiva, e il 10 settembre del 1838 le spara per strada. Il proiettile le rimarrà conficcato nel petto per tutta la vita. Al processo la difesa descrive Flora come una donna deprecabile ma Chazal viene comunque condannato a 20 anni. “Finalmente sono libera” scrive lei.

L’anno dopo soggiorna a Londra per 4 mesi e visita le industrie, i quartieri dormitorio degli operai e le periferie degradate, vicoli e bordelli a pochi passi dalle lussuose vie del centro dove passeggiano eleganti signore e dai club esclusivi dove si riuniscono nobili e borghesi. Si sofferma sulle condizioni di vita delle donne costrette a lavorare in fabbrica come gli uomini ma pagate meno. Arriva persino a travestirsi da ambasciatore turco per entrare al Parlamento, vietato alle donne. Nel 1840 pubblica Passeggiate londinesi in cui parla della situazione sociale inglese e della necessaria emancipazione femminile, di cui fu precorritrice rifiutando il presupposto dell’inferiorità delle donne e criticando pesantemente l’istituto del matrimonio.

“Rivendico i diritti delle donne, perché sono convinta che tutte le sofferenze del mondo derivino dalla mancanza del rispetto e dal disprezzo dei diritti naturali e imprescindibili dell’essere femminile”.

Nel libro anticipa anche l’analisi della classe operaia che qualche anno dopo sarà esposta da Marx e Engels. All’epoca circolavano le idee utopistiche di Saint Simon, Fourier e Owen che auspicavano una società egualitaria e Flora le conosceva bene ma la sua posizione era diversa: credeva che la classe operaia, la più numerosa, dovesse fare fronte comune a sé. Riprenderà le stesse tesi nel libretto L’Unione Operaia, stampato a sue spese nel 1843.

L’anno dopo viaggia in tutta la Francia per diffondere le sue idee e ne trae un altro libro, Tour de France. Spesso viene ostacolata dalle autorità locali che inviano la polizia per impedirle di parlare alle assemblee o a sequestrare le sue opere. La stampa conservatrice non è più clemente, mette alla berlina le sue idee e ne rimarca le origini illegittime. Ma niente scoraggia Flora, battagliera come sempre.

È già ammalata e le fatiche del viaggio peggiorano la situazione. Muore a Bordeaux il 14 novembre 1844, a 41 anni. Gli operai, per cui si era tanto strenuamente battuta, trasportano il feretro e organizzano una colletta per erigere un monumento sulla sua tomba.

“C’è mai stata una vita più varia della mia? In questi quarant’anni ho vissuto molti secoli!”

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