una donna caparbia e anticonformista, Isabelle Eberhardt, di Clara Tessaro

Una donna caparbia e anticonformista. Isabelle Eberhardt

Ci sono donne che viaggiano per piacere e divertimento, altre per lavoro, perché si annoiano o per una passione che si trasforma in una necessità dell’animo.
Il film di cui tratterò in questo articolo si intitola Isabelle Eberhardt (1991), il lungometraggio è stato diretto dal regista Ian Pringle ed è l’attrice Mathilda May a vestire i panni della caparbia e anticonformista protagonista. Il film è una biografia dal tocco drammatico della formidabile vita dell’esploratrice e scrittrice svizzera di origini russe, Isabelle Eberhardt, che ha vissuto e viaggiato in gran parte del Nord Africa, in particolare in Algeria. Ci viene narrata la ricerca e la creazione dell’identità di una donna durante i conflitti politici e le brutalità della colonizzazione, facendo luce in particolare, sull’attività di colonizzazione a opera dell’impero coloniale francese nelle terre del Nord Africa. Isabelle Eberhardt intraprese le spedizioni nel diciannovesimo secolo, nasce infatti a Ginevra il 17 febbraio 1877 e muore a Aïn Séfra, il 21 ottobre 1904. L’Ottocento fu un secolo caratterizzato dall’intensa attività coloniale francese, definita dagli storici “La spartizione dell’Africa”. La Francia conquistò l’Algeria, che fu la vera prima colonia francese e costituì il modello per la futura espansione, successivamente vennero conquistati il Marocco, la Tunisia e buona parte del Sahel centro-occidentale che comprese Stati come Niger, Ciad e Mali.
La donna iniziò la sua carriera come scrittrice fin da giovanissima, pubblicando vari racconti, sotto lo pseudonimo maschile di Nicolas Podolinsky e il soggetto dei suoi scritti era il più delle volte il Nord Africa. Esordì, nel 1895, su Nouvelle Revue Moderne con il racconto Infernalia e con il saggio Visione del Moghreb. Ma nonostante fosse considerata una scrittrice esperta sull’argomento, la giovane donna in un primo periodo della sua vita apprese tramite lo studio teorico di libri e documenti, e intrattenendo una corrispondenza con studiosi di cultura araba residenti in Francia, Egitto e Medio Oriente. Solo in un secondo momento della sua vita approfondirà i suoi studi viaggiando. La scrittura, la pubblicazione dei suoi scritti e la stampa sono aspetti che hanno un ruolo importante nel lungometraggio franco-australiano, in quanto il mondo della stampa è centrale per la narrazione e determinati sviluppi della trama. La stampa infatti, nel lungometraggio, diverrà per Eberhardt non solo un modo di espressione ma anche una fonte di guai. Più avanti in riferimento a questo argomento, si parlerà di come un suo articolo la metterà nei guai con il regime francese, dopo aver riportato le azioni violente attuate sulla popolazione araba del luogo. La scrittrice non tacerà nemmeno in quel caso, attirando su di sé le ostilità di chi sta al comando delle truppe francesi.

Il film, tra l’altro reperibile in modo gratuito in lingua inglese su YouTube, inizia introducendoci dalla prima inquadratura la protagonista, Isabelle Eberhardt, mentre fa ritorno dal Nord Africa per raggiungere a Ginevra il padre in fin di vita. Padre con cui non ha un rapporto stretto, in quanto lui non approva assolutamente le sue scelte e stile di vita, per nulla conformi rispetto a ciò che ai tempi ci si aspettava da una donna. La prima sequenza, caratterizzata da un amaro litigio tra i due, si conclude con la morte dell’uomo provocata da una dose letale di farmaci, somministratagli dalla sua stessa figlia. E quello che non sfugge a chi guarda il film, è la mancanza di timore nel mettere fine alla vita del padre. Ci troviamo di fronte a una donna che non conosce la paura e il significato dell’essere intimiditi.
Dopo l’addio al padre, Isabella Eberhardt viene convocata dalla moglie del marchese de Mores a Parigi per chiederle aiuto nella ricerca del marito scomparso in Nord Africa. Isabelle, che solo recentemente era stata in Algeria con la madre alla ricerca del fratello arruolatosi nella Legione Straniera, decide di farci ritorno una seconda volta per cercare il marchese de Mores. Chiaramente viene coinvolta per la sua conoscenza della regione. L’esploratrice dopo aver accettato l’impresa, arriva in Algeria e fa subito la conoscenza di Victor Barrucand, l’editore del giornale locale, che la approccia in quanto interessato agli scritti di Eberhardt. Ma Barracund la invita inoltre ad abbandonare le ricerche di de Mores, in quanto, a detta sua, ricerche inutili. Le autorità francesi non accolgono di buon grado Eberhardt, i colonizzatori sono infatti spaventati che vengano a scoprire le attività violente che essi svolgono nei confronti dei locali. L’esploratrice viene convocata e le viene intimato dalle autorità di non continuare le ricerche dell’uomo scomparso, ma Isabelle era già arrivata alla conclusione che tale persona fosse morta. Le viene assolutamente proibito di viaggiare oltre i confini dell’Algeria. Tuttavia, Isabelle nonostante l’ambiente ostile, decide di rimanere per ricerche personali, questa sua scelta le permetterà di conoscere un uomo, che entrerà nella sua vita e non ne uscirà mai più: Slimène Ehnni, interpretato da Tchéky Karyo, un musulmano di nazionalità francese, che anche nella vita reale diverrà il suo compagno di vita. È doveroso citare la scena in cui compare per la prima volta Slimène, che rimane subito affascinato dalla donna, a differenza del collega invece seduto vicino a lui, che schernendola per gli abiti maschili che porta dice: «He wants to know if you’re a boy or a girl», «Vorrebbe sapere se sei un ragazzo o una ragazza». «Let him find for himself», «Lasciate che lo scopra da solo», risponde caparbia Isabelle, addirittura provocando i due uomini.
Questo scambio di battute sarà decisivo e porrà la base per la complessa storia d’amore tra i due giovani. Fin da subito nel film si fa la conoscenza di una donna alquanto inusuale, se ovviamente la si pone in relazione al tipico stereotipo della donna di fine Ottocento e ai rigidi canoni estetici femminili, che solitamente ai tempi ogni donna seguiva alla lettera. Ma lo spirito di Eberhardt, anche nella vita vera, era sempre stato libero e anticonformista e chi guarda lo nota già dai primi secondi della visione. La protagonista ha, infatti, un taglio di capelli corto e sbarazzino e spesso indossa abiti maschili, che velano leggermente la percezione della sua identità. Un’identità che attira, in particolare gli uomini, ma allo stesso tempo li spaventa. La si vede, inoltre, fumare e addirittura possedere un’arma. Ci troviamo davanti a una donna che non si fa problemi a infrangere tutte le convenzioni sociali del tempo.
Sarà lo stesso Slimène che le permetterà di viaggiare senza che i francesi lo vengano a sapere. Ed è durante una di queste spedizioni, che si assiste alla forza dirompente della giovane donna in una delle sequenze centrali del film, quando per errore assiste a un omicidio di un uomo arabo per mano dei francesi. Essendo testimone del fatto viene rinchiusa, ma nonostante questo tragico avvenimento, si dimostra estremamente coraggiosa fino alla fine della sua prigionia, non piegandosi mai al volere degli uomini che intendono sottometterla. Durante la prigionia stringe amicizia con un altro detenuto di nome Sayed, che verrà però più avanti giustiziato. Ma Isabelle Eberhardt è una donna senza timore, è audace. Ci viene narrata la storia di una donna in un mondo in cui gli uomini sono convinti sempre di sapere cosa sia meglio per lei, ma lei continua imperterrita per la sua strada e con le sue convinzioni. Appena libera dalla prigionia, si reca all’ufficio stampa locale di Barracund e scrive un articolo riguardo le gesta violente delle truppe francesi. In seguito, dopo un attentato alla sua vita comandato da Comte, un ufficiale militare sentitosi minacciato dal suo articolo, verrà allontanata e deportata a Marsiglia, seguita da Slimène, che finirà anche per sposare: il loro sarà un matrimonio con alti e bassi.
Qualche anno più tardi, Eberhardt riesce a far ritorno in Algeria, ma lì purtroppo si ammala di malaria. Le sue condizioni sono gravi, perciò Slimène corre a prenderle delle medicine che potrebbero aiutarla. Questa scena è analoga a quella iniziale, in cui si vede la morte del padre. Poiché in quella finale assistiamo alla morte invece di Isabelle, è una sequenza ricca di tensione e va a chiudere il film. La giovane donna, già gravemente malata come già detto, verrà travolta da un’onda di piena mentre si trova all’interno della sua capanna. Anche nella realtà l’esploratrice morì per tale disastro naturale.
Nell’ultimissima scena del film, possiamo sentire la voce di Eberhardt fuori campo mentre legge un paragrafo del suo racconto The Breath of Night, mentre sullo schermo scorrono immagini del deserto e dell’acqua. La scena finale non chiude solo il lungometraggio, ma chiude un ciclo. Il padre malediva le sue decisioni e la condannava, lei è rimasta fedele a sé stessa fino alla fine.
Eberhardt, come è possibile vedere in molte sequenze porta il velo e quindi è facile dedurre che professi l’Islam. Figlia di un precettore russo di origine armena, era stata cresciuta però in un ambiente laico, la conversione all’Islam avvenne in età adulta. In seguito, adottò anche il nome di Si Mahmoud Saadi, che utilizzava quando si faceva passare per un letterato tunisino, con lo scopo di addentrarsi in territori inaccessibili e interdetti alle donne. Il suo comportamento poco ortodosso la rende presto una reietta agli occhi dell’amministrazione francese che fa di tutto per ostacolarla e metterla a tacere. Ciò nonostante non si smette mai di vedere una donna sicura delle proprie decisioni e valori. La maggior parte delle persone spesso non ha il coraggio di essere fedele a sé stessa, nel bene e nel male, e le innumerevoli sfumature esistenti vengono viste come debolezze, non come semplici caratteristiche. Il coraggio che possedeva Isabelle Eberhardt, che traspare nelle numerose inquadrature, è quello che per molti rimane solo un desiderio quasi proibito.
I personaggi di questo lungometraggio vengono ripresi da inquadrature spesso in primo piano e forse un pò troppo scure, ma le composizioni pittoriche del direttore della fotografia, Manuel Teran, riescono comunque a imprigionare la bellezza della natura ripresa, che diventa quasi una seconda protagonista: parliamo ovviamente del deserto e del mare. Ho trovato toccante in particolare un dialogo tra i due innamorati, in un momento in cui entrambi si trovano in uno stato di fragilità e smarrimento, arrivando perfino a parlare di suicidio. Slìmene parla di Isabelle definendola una sognatrice, ma lei sostiene che un posto per i sognatori in questo mondo corrotto non ci sia più. La donna incolpa le stelle e inizia a sparare al cielo. Ma ciò che rende veramente suggestiva la scena è il luogo e il tempo in cui questa conversazione si svolge; l’ambientazione di notte rende difficile la visione allo spettatore e alla spettatrice che faticano a cogliere tutti i dettagli, ma dal suolo delle onde che si infrangono è facile comprendere che i due protagonisti stanno camminando con i piedi nell’acqua, probabilmente si trovano sul bagnasciuga di una spiaggia. L’illuminazione è debole, soprattutto perché la scena si svolge di notte e i colori sovrani sono il nero e il blu del cielo. Mare e cielo arrivano a toccarsi in una composizione dell’inquadratura dal tocco poetico.
Necessario citare anche la scena finale che chiude l’intero lungometraggio. È curioso notare come Isabelle Eberhardt, sia nel film che nella vita reale, abbia trascorso la maggior parte della sua vita tra dune di sabbia, tra il giallo del sole cocente e il marrone dei cammelli, in ambienti estremamente secchi; invece, incredibilmente, la causa della sua morte è stata un’onda di piena dal colore blu scuro in piena notte. La sua è stata una vita dura come una tempesta di sabbia, ma è stata caratterizzata anche dalla passione e dall’amore, dolce come l’acqua di fiume. Il deserto può essere percepito anche come metafora della durezza della vita del personaggio interpretato da Mathilda May.