attiviste e pioniere della carta stampata negli USA, Jane Grey Cannon Swisshelm, di Rossana Laterza

Attiviste e pioniere della carta stampata negli Usa. Jane Grey Cannon Swisshelm

Popolarissima ai suoi tempi, ha lasciato testimonianza del suo passaggio in un’autobiografia dal titolo Half a Century. La sua peculiare vicenda personale, fortemente e indelebilmente segnata dalla formazione calvinista di orientamento Covenanter, ne ha influenzato le scelte private e le prese di posizione pubbliche. Nata a Pittsburgh dove i suoi nonni erano emigrati alla fine del XVIII secolo, fu allevata nel culto e nella devozione verso gli antenati presbiteriani scozzesi-irlandesi, martiri delle guerre di religione. Dai racconti della nonna aveva appreso dell’eroica resistenza dei Covenanters a Giacomo II durante l’assedio di Londonderry e «incorporò nella sua personalità sia le loro ammirevoli qualità che i loro difetti», «furono immensamente coraggiosi, fieramente testardi e di rigidi principi… non ci fu mai un gruppo di fanatici religiosi più convinti di operare per la gloria di Dio» (Sylvia D. Hoffert, Jane Grey Swisshelm Un Unconventional Life, 1815-1884, The University of North Carolina Press 2004, ed. digitale).
Dopo la Rivoluzione americana il fervore religioso delle ex colonie rinasceva dando vita al Secondo grande risveglio di matrice evangelica. Mentre i Presbiteriani Covenanter continuavano a seguire i rigidi principi calvinisti secondo cui l’umanità, irrimediabilmente tendente al peccato, era destinata alla dannazione eterna, a eccezione di poche anime elette dall’imperscrutabile volontà divina, gli Evangelici del Secondo grande risveglio, confidando nella Seconda venuta di Cristo, invitavano le folle a convertirsi e a praticare giuste riforme sociali per meritare la salvezza. «Questi riformatori raccoglievano enormi somme di denaro per i poveri e organizzavano società di temperanza per combattere l’alcolismo e società abolizioniste per combattere la schiavitù. Alcune supportavano persino il movimento dei diritti delle donne».
Anche Jane Swisshelm si impegnò in tal senso «ma a differenza di altri riformatori la sua identità religiosa non deriva dalla tradizione evangelica». È importante sottolineare quest’aspetto per darsi conto del particolare carattere di Jane che, tormentata in gioventù dal terrore della dannazione eterna, dopo la morte del fratello strinse un patto personalissimo con Dio (sul modello del patto stretto dai suoi antenati): «Dio avrebbe preparato un posto in Paradiso per lei e per suo fratello e lei avrebbe dedicato tutta la sua vita a qualunque lavoro Dio le avesse affidato senza alcun segno di approvazione […] Avendo rinunciato a qualsiasi idea di libero arbitrio e avendo fatto la sua promessa […] fu convinta che il suo proposito fosse stato accettato e che quando sarebbe arrivato il tempo di morire avrebbe avuto qualche speranza di ricevere la grazia […] “Avrei avuto tutto il lavoro e le privazioni per i quali avevo contrattato, sarei stata uno scavatore di cardi nella vigna”». A ulteriore chiarimento del carattere della chiesa Covenant va brevemente aggiunto che «il Reformer Presbitery of America nel 1789 denunciò la Costituzione americana come documento immorale perché non stabiliva che la legge di Dio era al di sopra di quella terrena e perché non sanzionava la schiavitù […] nel 1800 vietò ai suoi membri di possedere schiavi. [I ministri] umiliavano pubblicamente dal pulpito i membri che infrangevano le regole e gli anziani supervisionavano l’andamento delle famiglie e giudicavano se ammettere o meno i bambini alla comunità religiosa». Jane si sentiva stretta tra la scelta indipendente di dover rispondere del suo operato solo a Dio e l’esigenza di rispettare i modelli di genere imposti alle donne della sua posizione sociale – a metà fra middle class e classe lavoratrice – dalle quali ci si aspettava che fossero modeste, sottomesse al marito, orbitanti entro i limiti della sfera domestica e votate al destino biologico di madri. Per questo oscillò a lungo tra i tentativi di rispondere, anche sacrificandosi, al modello coniugale tradizionale e il perseguimento di ciò che secondo la sua coscienza era giusto seguendo per tutta la vita l’ammonimento del pastore presbiteriano di Pittsburgh John Black: «Lascia che gli altri facciano ciò che vogliono. Tu devi seguire l’Agnello attraverso il bene e il male, in un palazzo o in una prigione, seguilo anche se ti conduce fuori dalla Chiesa». Sentendosi dalla parte giusta come strumento al servizio della volontà divina Jane ingaggiò una battaglia, prima in famiglia e poi nell’arena pubblica, in scritti che avvalendosi di straordinarie capacità oratorie, facevano ricorso ad argomentazioni basate sulle Sacre scritture, attaccando il nemico di turno in uno stile spesso sarcasticamente caustico e corrosivo. Di fatto mise in atto comportamenti che forzavano i confini di genere fungendo da apripista per molte altre donne. Morto il padre, la madre in difficoltà economica mandò Jane e la sorella a lavorare come merlettaie, ricamatrici e decoratrici del velluto, ma Jane manifestò subito il suo carattere indipendente trovandosi un lavoro di insegnante a lei più congeniale.

Nel 1836 aveva sposato James Swisshale, un anziano Metodista da cui si era fatta promettere che non avrebbe tentato di convertirla: voleva essere una brava moglie, ma doveva seguire la sua coscienza e per quanto avesse idee piuttosto convenzionali sui ruoli di genere si rese presto conto che l’unione non poteva funzionare per la distanza emotiva e culturale tra lei e il marito. James era un contadino grande e grosso, di poche parole, piuttosto semplice che aveva letto solo la Bibbia; Jane, minuta e delicata, era vivace, energica e dotata di senso dell’umorismo, amava scrivere, leggere e dipingere, vocazione che, ricordò nell’autobiografia, decise di abbandonare per adempiere pienamente ai doveri di buona moglie, «misi via i miei pennelli […] passai i miei migliori anni e le mie forze a cucinare cavoli». Di lei è rimasto un autoritratto del 1840. Lungi dall’adeguarsi al modello di moglie rassegnata, almeno fino al 1842 si rifiutò di andare ad abitare a Allegheny (Swissvale) con il marito e la suocera che, nonostante la promessa, volevano convertirla al Metodismo. Rimase nella casa materna per poco più di un anno, poi accettò di trasferirsi a Wilkinsburg in una casa acquistata da James che la raggiungeva solo una volta a settimana. Quando più tardi seguì il marito trasferitosi per affari a Louisville Kentucky, ebbe modo di assistere direttamente alle pratiche crudeli degli schiavisti e fu lì che «affilò la sua penna» per i suoi interventi abolizionisti. Una sua vicina ricordava che «cominciò a parlare di liberazione degli schiavi a tutto il vicinato», ma subì l’ostilità di tutta la comunità che accusava gli abolizionisti di fomentare la ribellione degli schiavi. Fallita l’impresa del marito, lavorò mandando avanti una sartoria ma, sottoposta a continue molestie, faticava a far accettare la sua condizione di donna lavoratrice. Nel 1839, contravvenendo all’esplicito divieto del marito, tornò a Pittsburgh per assistere la madre gravemente malata che, prima di morire, volle salvaguardarla con una disposizione legale che avrebbe impedito al genero l’accesso al patrimonio della figlia. Conseguentemente James minacciò di denunciare la moglie per non aver ottemperato ai servizi domestici dovutigli nel periodo in cui si era assentata da casa. Rimasta a vivere nella casa materna, Jane aveva cominciato a scrivere lettere e poesie per i giornali locali e nei primi articoli si firmava con le iniziali. «Per usare le mie iniziali avevo due ragioni: la mia antipatia per la pubblicità e il timore di mettere in imbarazzo il Liberty Party con la questione del sesso. Gli abolizionisti erano uomini dalle idee spigolose. Organizzarle era come legare dei bastoncini storti in un fascio, e una delle questioni che li dividevano era il diritto delle donne a prendere un ruolo di rilievo negli affari pubblici».
Lavorò come insegnante e continuò a farlo anche quando, in un ulteriore tentativo di rispondere al modello di moglie devota, nel 1842 si decise a coabitare con marito e suocera a Swissvale. Tuttavia le scenate fra loro si intensificarono: Jane, accusata di trascurare la cura della casa, non solo rifiutava categoricamente di convertirsi al Metodismo, ma contrattaccava argomentando anche contro i ministri del culto e dopo uno di questi scontri fu costretta a rifugiarsi dai vicini. Le esperienze le avevano fatto prendere coscienza delle ingiustizie contro le quali sentiva la missione di combattere così mise le sue straordinarie capacità espressive al servizio delle riforme. «Entrò nel giornalismo con una poesia in esametri che attaccava i quattro ministri metodisti che avevano approvato la Black Gag Law», una legge che proibiva di accogliere nella chiesa Metodista la gente nera negli Stati razzisti, pubblicandola su The Spirit of Liberty. Scrisse lettere contro la pena capitale partendo dal presupposto che il compito di un magistrato cristiano dovesse essere quello di proteggere le persone innocenti e riabilitare quelle colpevoli: «Nessuno mai si è riabilitato con l’impiccagione!». Collaborò con il Pittsburgh Commercial Journal di Robert M. Riddle: «Il Pittsburgh Commercial Journal ha una nuova collaboratrice che si firma Jane G. Swisshelm, intinge la penna nell’oro liquido e leviga la sua carta con la peluria delle ali delle farfalle». Nel 1847, decisa a fondare un giornale abolizionista tutto suo si rivolse a Riddle per chiedergli di usare il suo ufficio di redazione e nacque il Pittsburgh Saturday Visiter. Non c’erano precedenti, nessuna donna aveva condiviso prima d’allora lo stesso ambiente di lavoro maschile. Lo stupore e l’imbarazzo iniziale di Riddle furono vinti dalla determinazione di Jane, la cui firma già garantiva un successo di pubblico, ma bisognava rendere la situazione socialmente accettabile: si sarebbero tenute abbassate le persiane esponendo alla vista tutto l’ufficio in modo che chiunque potesse vedere le attività che vi si svolgevano e Jane, nel suo stile, superò ogni remora residua: «Ho affermato pubblicamente il diritto delle donne a guadagnarsi da vivere come contabili, impiegate, commesse e ora dovrei ritirarmi per paura del pericolo che chiunque potrebbe incontrare facendo ciò che ho consigliato? Questo è il mio Mar Rosso. Non può essere più terribile di quello che ha affrontato Israele. Il dovere è dall’altra parte, e io vado oltre! “Dì ai figli d’Israele che vadano avanti”. Le onde cremisi dello scandalo, la schiuma bianca dei pettegolezzi si apriranno davanti a me e si accumuleranno come muri da entrambe le parti». (Jane Swisshelm, Half a Century, 1880, cap. XXI ed. digitale). Assunse donne nella sua redazione retribuendole come gli uomini a parità di lavoro e badando che fra loro non ci fosse spazio per la “galanteria” maschile o per altri comportamenti maschili e femminili non strettamente professionali. Lei stessa si vestì sempre in modo da mortificare le sue attrattive e indossando un grottesco e antiestetico copricapo: «Qualsiasi tentativo di aiutare gli affari con l’attrazione femminile era a mio avviso estremamente ripugnante e sicuramente avrebbe portato alla sconfitta finale» (Sylvia D. Hoffert, Op.cit.). Il giornale raggiunse una tiratura nazionale di seimila copie trattando temi politici e sociali, sostenendo la Temperanza, l’Abolizionismo e i diritti delle donne e nel 1854 si fuse con il Pittsburgh Commercial Journal. Nel 1850 Jane fu assunta dalla New York Tribune come reporter free lance e fu la prima donna ad accedere alla Galleria dei Reporter del Congresso. Ma anche se i temi su cui si impegnava erano gli stessi del contemporaneo movimento per le riforme, solo raramente si mobilitò con le associazioni che coordinavano le loro azioni per fini comuni. Rispetto alla Temperanza si concentrò sulle conseguenze negative dell’alcolismo maschile nei confronti delle donne che subivano le violenze di mariti ubriachi e richiamava alle responsabilità morali chi, gestendo le rivendite di alcol, era all’origine della perdita del diritto delle donne a vivere secondo i principi costituzionali. Incitava a dare fuoco alle taverne paragonando le donne ai bostoniani Figli della Libertà di epoca rivoluzionaria: «Crediamo fermamente che le donne abbiano lo stesso diritto di sfondare i barili di whisky, rompere le bottiglie, svuotando i negozi di liquori come i ragazzi di Boston avevano il diritto di smantellare le casse di tè». Nel 1852 in occasione della nascita della figlia Mary Henrietta, chiamata affettuosamente Zo, lasciò solo per qualche mese la direzione del suo giornale che continuò a tenere fino al 1857, quando, dopo l’ennesima crisi familiare, lasciò il marito fuggendo con la figlia piccola a Saint Cloud Minnesota. Erano gli anni della Guerra Civile, della presidenza di Abraham Lincoln e della rivolta Sioux in Minnesota, Jane, oltre a partecipare attivamente alla vita politica locale, riprese la sua attività di tipografa e redattrice fondando il St. Cloud Visiter che cambiò nome in St. Cloud Democrat, dopo che l’ufficio di redazione fu danneggiato da atti di vandalismo seguiti ai suoi articoli corrosivi contro i democratici. Sulla schiavitù condivise le posizioni di immediata abolizione fin dal suo soggiorno a Louisville, dove descrisse le atrocità commesse da «chi si diceva cristiano» ai danni della popolazione nera e continuò a farlo sui suoi giornali opponendosi al Fugitive Slave Act del 1850: «Nella misura in cui una Costituzione fissa su un essere umano la maledizione della schiavitù […] non vale abbastanza la paglia da bruciarla». Contraria ad educare separatamente popolazione bianca e nera lottava contro le pervasive discriminazioni razziali che perduravano nella mentalità comune. «Le donne con i capelli rossi e le labbra sottili non sono escluse dalla società e l’unico problema nel futuro potrebbe essere che probabilmente si faccia obiezione alla forma del mio naso». Secondo lei tutte e tutti avrebbero dovuto avere uguali opportunità educative, economiche e sociali. Sostenne gli obiettivi della Convenzione di Seneca Falls del 1848 per i quali si era mobilitata in forma autonoma nei suoi scritti e nelle scelte di vita, senza collegarsi ad alcuna organizzazione e partendo da presupposti decisamente diversi rispetto a quelli del gruppo femminista da cui, sia pure con qualche riserva, era apprezzata per il vigore della scrittura e le potenzialità di orientare l’opinione pubblica. Dal canto suo, Jane non condivideva alcune questioni strategiche che mise in evidenza nelle successive Convenzioni.

Nell’emancipazione femminile era favorevole a una politica gradualista, fatta di piccoli passi perché riteneva che i pregiudizi contro le donne fossero così profondi che gli obiettivi massimi avrebbero frenato i consensi. Inoltre non approvava che nelle Convenzioni la causa dei diritti delle donne fosse sostenuta insieme a quella dell’abolizionismo perché ciò avrebbe allontanato chi intendeva appoggiare solo i diritti delle donne. Infine nel suo stile franco, ma tagliente, non mancò di rilevare incompetenze organizzative nella gestione della Presidente Frances Gage. Continuò comunque a sostenere la causa soprattutto in merito ai diritti di proprietà delle donne sposate. «Era sicuramente un fascio di contraddizioni. Da una parte lavorava per liberare gli schiavi del Sud […] Dall’altra conduceva una campagna di sterminio dei Dakota in Minnesota». Dal 1862 il Minnesota fu teatro della rivolta delle tribù Sioux che, scacciate dalle loro terre e ridotte alla fame, reagirono violentemente al mancato rispetto degli accordi negoziati con Washington. Jane che al suo arrivo, da un punto di vista etnocentrico, aveva considerato le tribù native «parte del panorama della frontiera […] esotica curiosità [da trattare] con atteggiamento benevolente», scatenò tutto il repertorio della sua incendiaria retorica per incitare la cittadinanza allo sterminio delle tribù ribelli. «È una follia combattere gli indiani come faremmo con i soldati europei, lasciamo che la nostra legislatura offra una taglia di 10 dollari per ogni scalpo sioux fuorilegge». Seguirono la repressione, un’impiccagione di massa e la deportazione di parte della popolazione nativa, ma Jane, facendosi portavoce della popolazione bianca, partì per Washington per richiedere al presidente Lincoln provvedimenti più drastici. Con la Guerra Civile in corso non ebbe modo di farsi ascoltare, tuttavia rimase nella capitale ad assistere i feriti come infermiera militare nell’area di Washigton, continuando a inviare periodicamente i suoi dispacci al St. Cloud Democrat. Tornata alla fine della guerra, nel 1865 fondò un nuovo giornale che chiamò The Reconstructionist monitorando quanto i diritti civili della popolazione nera fossero rispettati nel periodo postbellico. Ma in seguito a un incendio appiccato alla sua redazione decise lasciare il giornale. Trasferitasi a Pittsburgh, vinse una causa contro il marito per il possesso di Swissvale dove continuò a vivere svolgendo la sua attività di giornalista free lance e conferenziera fino alla morte avvenuta nel 1884.
Secondo Sylvia Hoffert non stupisce il fatto che gli studi di genere, focalizzati prevalentemente sulle protagoniste del movimento emancipazionista e sulle conquiste come frutto di un contributo collettivo, non abbiano dato molto spazio alla figura di Jane Swisshelm. Resta comunque il fatto che da pioniera «contribuì a gettare le basi per quella che all’inizio del secolo sarebbe stata la New Woman, una donna istruita, economicamente autosufficiente e determinata a lasciare il segno del suo passaggio nel mondo. In tal senso Jane rappresenta una figura simbolica di transizione, un ponte tra le convenzioni di genere della metà del XIX secolo e quanto di nuovo stava emergendo nel XX».