Käthe Schmidt Kollowitz, di Livia Capasso

Per Käthe Schmidt l’arte grafica è il mezzo espressivo preferito, e le tematiche sociali l’argomento con il quale documentare ingiustizie ed emarginazione e soprattutto le atrocità delle guerre, perché le ha sperimentate sulla propria pelle. Fa parte della Secessione di Berlino, un movimento espressionista che tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX rappresentò la realtà tragica dell’Europa di quegli anni dissociandosi dagli stili ufficiali.

Käthe nasce nel 1867 a Königsberg, Prussia orientale (ora Kaliningrad, Russia), quinta di otto figli, da una famiglia della borghesia progressista: il padre era un mastro muratore e la madre era figlia di un predicatore. Insieme al fratello Konrad aderisce all’ideale socialista. Nel 1881 manifesta, assecondata dal padre, la sua vocazione artistica, prende le prime lezioni da Rudolf Mauer, incisore in rame, e dal pittore Gustav Nauyok, e comincia a praticare l’acquaforte. Trasferitasi a Berlino, s’iscrive a una scuola d’arte aperta alle donne, dove si interessa più al disegno che alla pittura. Nel 1889 si sposta a Monaco e prende lezioni da Ludwig von Herterich, pittore e insegnante d’arte; qualche anno dopo sposa Karl Kollowitz, medico socialista, da cui avrà due figli, Hans nel 1892 e Peter nel 1896, e vanno a vivere a Berlino. In questo periodo, dopo aver assistito alla rappresentazione del dramma Die Webern (I tessitori) di Gerhart Hauptmann, produce un ciclo di tre litografie e tre acqueforti: La Rivolta di tessitori, 1895-1898, ispirato alla vicenda.

Tra il 1901 e il 1908 pone mano al ciclo La Guerra dei contadini, ispirato alle rivolte nel sud della Germania negli anni Venti del Cinquecento, una guerra combattuta quindi quasi quattro secoli prima. La ribellione dei contadini fu un fallimento, perché i proprietari terrieri avevano cavalli e artiglieria, i contadini no, ma combatterono con la dignità, il coraggio e la forza dei poveri.

Nel frattempo compie alcuni viaggi: a Parigi, dove conosce Rodin e impara a scolpire, e in Italia, a seguito della vincita del premio Villa Romana che le garantisce per un anno la permanenza in uno studio fiorentino.
Arriva la Grande Guerra, Käthe all’inizio la sostiene, ritenendola una guerra di aggressione e di grande pericolo per la Germania, e si impegna nella Commissione ausiliaria femminile. Il suo secondo figlio Peter parte volontario. Ricorda l’artista stessa nel suo diario: «Peter aveva diciotto anni e mezzo. Karl, che sulla guerra non aveva cambiato idea, disse no. Peter si rivolse a me. La mattina dopo ebbi con lui ancora un’altra conversazione e i miei tentativi di trattenerlo furono totalmente inutili». Peter parte il 13 ottobre 1914. Dieci giorni muore sul fronte.
La perdita del figlio e via via la morte di tanti giovani come lui gettano Käthe nello sconforto e la inducono a rivedere le sue idee sulla guerra, dove riconosce ora solo follia omicida, distruzione e disumanizzazione. Comincia per lei un lungo periodo di profonda depressione e inattività.
Nel 1917 ottiene un grande riconoscimento: in occasione del suo cinquantesimo compleanno, ben 150 opere vengono esposte a Berlino alla galleria di Paul Cassirer e, nello stesso anno, partecipa a numerose mostre in tutta la nazione. Nel 1919 entra come docente all’Accademia d’arte di Berlino, prima donna insegnante, e più tardi, nel 1928, otterrà la direzione della specializzazione in grafica.
Solo nel 1920 Käthe trova la forza di riaccostarsi all’arte e di esprimere tutta la sofferenza sua e di quanti, donne, bambini, sopravvissuti, hanno sofferto per le conseguenze della guerra.
«Io devo esprimere il dolore degli uomini, un dolore che non ha mai fine e che ora è enorme. Questo è il mio compito, anche se non è facile assolverlo. Queste incisioni devono girare in tutto il mondo e devono dire in maniera concisa a tutti gli uomini: Così è stato, questo abbiamo noi tutti sofferto in questi anni indicibilmente dolorosi».
A sette anni di distanza dalla morte di Peter, nel 1921-22, esegue un ciclo di sette xilografie, La guerra, ora al MoMA di New York, e racconta un dolore che non è solo il suo, ma di tutte le mamme che hanno perso i loro figli. La guerra, vinta o persa, è comunque una catastrofe per tutti, non solo per i giovani mandati al fronte, ma anche per orfani, e vedove.

La xilografia è una tecnica di stampa da legno inciso, più espressiva ed essenziale dell’acquaforte; lascia un segno sintetico, duro, drammatico, e rinunciando a ogni forma di eleganza e chiarezza gioca sull’alternanza del vuoto e del pieno, del bianco e del nero. Il sacrificio mostra una madre che immola il proprio figlio, sollevandolo in alto. I volontari rappresenta la generazione di chi si è votato alla guerra e alla morte. I genitori sono un blocco di dolore, lei piegata e sorretta da lui che si nasconde il viso con una mano. Vedova 1 e Vedova 2 raffigurano entrambe giovani donne, una incinta con il viso reclinato e le braccia incrociate sul ventre a difendere il nascituro, l’altra distesa sulla nuda terra mentre stringe sul petto il figlioletto; Madri rappresenta un gruppo di donne, strette a cerchio, decise a proteggere i loro figli; nella settima xilografia, Il popolo, ancora madri, sole, disperate e rassegnate, assieme ai loro figli. Emergono dal nero, il colore del dolore, che invade tutto il campo, solo volti scheletrici e mani ossute.





L’impegno politico di Käthe si fa sempre più forte, come si può vedere nella xilografia dedicata alla morte di Karl Liebknecht, un avvocato socialista più volte arrestato per le sue idee contrarie alla guerra: torturato e interrogato per diverse ore, fu ucciso il 15 gennaio 1919. Gli operai fanno blocco sulla salma di Liebknecht, le loro grosse mani, allungate sul bianco lenzuolo funebre danno alla scena una forte intensità drammatica.

E ancora il manifesto litografico I sopravvissuti del 1922, dove una madre, dalle orbite incavate e nere, è circondata a sinistra da anziani, a destra da mutilati e in basso da bambini che con le sue robuste braccia cerca di proteggere. Nel 1924 il manifesto pacifista Mai più guerra! è una protesta contro il militarismo, dove il gesto imperioso del giovane con un braccio alzato e una mano sul cuore suggella il giuramento.

Il secondo ciclo xilografico, del 1924-1925, ha per titolo Proletariato, ed è composto da tre fogli: Disoccupazione, Fame, I bambini della Germania muoiono di fame. È come sempre caratterizzato dall’essenzialità nel segno, dalla drammaticità della scena, dominata dal colore nero che quasi si impossessa del bianco.


Finalmente, iniziato nel 1919 e terminato nel 1932, dopo quattordici anni di gestazione, porta a termine il monumento dedicato al figlio morto e a tutti i suoi compagni caduti nella Grande Guerra. Il memoriale Genitori addolorati, oggi a Vladslo, in Belgio, nel Cimitero di guerra tedesco, è composto da due enormi statue in granito, rappresentanti un padre e una madre chiusi nel loro dolore.

Con l’ascesa di Hitler e del suo partito, Käthe è costretta a dimettersi dall’Accademia di Berlino. Ormai è un personaggio scomodo per le sue idee progressiste e pacifiste, anche se non è né ebrea, né esponente dell’arte cosiddetta “degenerata”. Viene lasciata lavorare purché le sue opere non siano esposte. Inizia allora quel lungo “esilio interno” che la vedrà esclusa da tutte le manifestazioni culturali; i suoi lavori vengono rimossi dalle sale e dalle gallerie pubbliche e private. Solo la sua fama internazionale la salva dalla deportazione in un campo di concentramento.
Tra il 1937 e il 1939 lavora alla Pietà (Madre col figlio morto), scultura realizzata ancora una volta in memoria del figlio due decenni dopo la sua morte. Il corpo del figlio è quasi completamente avvolto dalle membra e dalle vesti della madre che lo abbraccia, esprimendo un desiderio di protezione e unione anche dopo la morte.

Nel 1993 una versione più grande della scultura è stata installata in modo permanente nella Neue Wache di Berlino, dedicata a tutte le vittime della guerra, trasformando il dolore personale di Käthe in un simbolo di perdita universale.
Il suo ultimo ciclo di litografie, Della morte, è ispirato a quella morte con cui ha fatto i conti per tutta la vita.

Nel 1939, la Germania è di nuovo in guerra e Käthe, ormai vecchia e stanca, è colpita da un’altra scomparsa, quella nel 1942 sul fronte orientale del nipote Peter, figlio di Hans. Nello stesso anno realizza un’altra litografia, ultima sua opera a stampa, che ha per titolo una frase di Goethe che per lunghi anni si è portata dentro: Non macinate le sementi; rappresenta una madre che, con uno sguardo deciso e braccia forti, tiene al riparo i tre figlioletti, appunto le sementi.

Vive a Berlino in miseria, ormai vedova dal 1940. Vi rimane fino al 1943, quando la popolazione abbandona la capitale per via dei bombardamenti; si rifugia nei pressi di Dresda, dove muore il 22 aprile 1945, pochi giorni prima della resa della Germania nazista.
Le sono stati dedicati due musei, uno a Colonia nel 1985 e l’altro a Berlino l’anno successivo. Il suo volto compare su un francobollo nel 1991, nella serie Donne della storia tedesca.