“Dillo alla luna” di Hazem Saghieh, recensione di Daniela Domenici

Dall’Algeria ci arriva un libro affascinante, commovente, doloroso che mentre da un lato ci descrive
una società, quella algerina contemporanea, che pochi di noi credo conoscano
nei dettagli dall’altra ci narra la storia di Randa, una donna imprigionata nel
corpo di un uomo, in una società che non capisce perché uno dovrebbe rinunciare
ai privilegi del maschio per essere qualcosa di ancora meno importante: una
transessuale.

Hazem Saghieh, editorialista di Al Hayat, quotidiano libanese in lingua araba edito a
Londra, ci racconta in “Dillo alla luna”, ottimamente tradotto da Alessandro
Buontempo, pubblicato in Italia dalla Piemme, in modo coinvolgente e crudo, la
storia vera di Randa che è costretta a rinnegare se stessa per salvarsi la
vita: dopo la pubblicazione in Libano questo libro ha scosso il mondo arabo alzando
per la prima volta il velo su una galassia negata: quella delle persone trans.

“…la sensazione di avere a che fare con un corpo che cambia è qualcosa di
sorprendente …è un’esperienza che le persone normali non conoscono; loro non si
osservano crescere e diventare grandi, subiscono il cambiamento invece di
provocarlo intenzionalmente, e non ci pensano perché è un fenomeno che sta nell’ordine
delle cose, succede e basta. Per gli altri il cambiamento è netto, come passare
di colpo dalla pioggia dell’inverno al sereno dell’estate o dall’albeggiare al
tramonto. E soprattutto non lo vedono compiersi sul proprio corpo, non ne
seguono l’evolversi giorno per giorno”: straordinaria questa descrizione della
trasformazione del corpo durante la somministrazione degli ormoni che somiglia
a quella che molte amiche e amici trans mi hanno descritto della loro personale
transizione.

La protagonista di questo libro è anche un papà che è costretto a lasciare il suo
amatissimo figlio e la sua terra natale per poter continuare in questo percorso
con una serie infinita di sacrifici e talvolta le vengono dei dubbi atroci di
aver fatto la scelta giusta: “…in un impeto di cieca rabbia verso me stessa mi
chiesi come avessi potuto essere così egoista da abbandonare mio figlio solo perché
volevo diventare donna. Forse era proprio per questo che i miei si vergognavano
di me, per quell’incapacità di vedere oltre il mio naso, di preoccuparmi di
qualcosa che non fosse il mio misero io. Non poteva dardi che avessero ragione
loro, che io non fossi altro che un essere riprovevole e degno di disprezzo?”: parole
pesanti come macigni, anche queste molto simili a quelle che mi hanno confidato
molte persone che hanno fatto la transizione da genitore.

Un libro che lascia il segno.