“Undici ore d’amore” di Carmelo Musumeci, recensione di Daniela Domenici
Quanto valgono undici ore d’amore per una persona che è reclusa da vent’anni e che non ha mai potuto abbracciare i suoi cari se non attraverso il bancone divisorio della sala colloqui di un carcere o addirittura solo dietro il vetro quando era in regime di 41bis?
Quanto valgono undici ore d’amore vissute tutte di seguito senza sbarre, senza agenti di polizia penitenziaria, senza rumore di porte che si chiudono, di cancelli che sbattono, con il sole e la luna tutti interi e non a strisce e l’erba, e la gente, e lo spazio senza confini?
Che fareste se dopo vent’anni di carcere aveste solo undici ore per rivedere quelli che amate?
Carmelo Musumeci, uno dei miei amici detenuti a cui scrivo da tanto tempo e i cui libri precedenti ho recensito, che sta scontando l’ergastolo con l’aggravante dell’ostatività, atroce aberrazione solo italiana, nel carcere di Spoleto ha potuto vivere, per la prima volta, undici ininterrotte ore di libertà e di amore grazie alla collaborazione e alla ferrea determinazione di due volontari della Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Nadia Bizzotto e Giuseppe Angelini, i suoi angeli come li definisce Carmelo, che sono riusciti a ottenere questa concessione in occasione della discussione della tesi di laurea specialistica in giurisprudenza, e nello specifico in diritto penitenziario, di Carmelo a Perugia. Dopo l’università Carmelo ha potuto trascorrere qualche ora presso la sede della comunità a Bevagna godendo, per la prima volta dopo vent’anni, del calore, dell’affetto e dell’abbraccio della sua compagna, dei suoi due figli e dei suoi due nipotini senza sbarre, senza cancelli e senza controllori per poi rientrare, dolorosamente, attraverso undici porte e cancelli, tanti quanti le ore trascorse fuori, all’interno dell’Assassino dei Sogni, come Carmelo chiama il carcere, che lo nuovamente fagocitato.
Tutto questo Carmelo ce lo racconta con uno stile originalissimo, “con un ritmo che toglie il respiro, nel moto ondoso delle parole”, dalla prefazione di Barbara Alberti, che è ormai il suo valore aggiunto, una cifra stilistica che lo caratterizza come un vero scrittore doc, mi permetto di prendere in prestito ancora altre parole di Barbara Alberti “…Cosa aveva più degli altri Saviano oltre al coraggio? La voce. Saviano è un grande scrittore. Anche Carmelo, gli auguro di scrivere il suo Gomorra sul carcere con tutta la potenza del suo genio narrativo…”; voglio darvene un esempio “…i pensieri libri in carcere sono odiati, temuti e puniti…per questo molti miei compagni …hanno rinunciato a pensare. Io invece non rinuncio a pensare da prigioniero libero. E mi piace soprattutto mettere i miei pensieri sulla carta per descriverli a me stesso e a chi li legge. Scrivo per trasformare la mia rabbia e il mio dolore in pensieri d’amore, perché come fa a rieducare un luogo dove non ci sono giustizia, umanità e sorrisi? …nessuno è mai veramente solo fin quando ha il proprio futuro. Per questo gli uomini ombra si sentono così soli, non hanno più nessun futuro. Molti di noi camminano, respirano e sembrano vivi ma in realtà sono morti. Siamo morti…”
Grazie Carmelo, finché tu avrai la forza e il coraggio di far sentire la tua voce non sarete morti.