“Tu sei la mia grazia” di Linn Ullman, recensione di daniela Domenici

Figlia d’arte, nonostante abbia nel DNA i geni di due mostri sacri del teatro e del cinema come Ingmar Bergman e Liv Ullman, ha scelto un diverso percorso creativo e artistico, quello della scrittura sia come giornalista che come autrice di ben tre libri, tutti editi da Mondadori per l’Italia, di cui “Tu sei la mia grazia” è il secondo, cronologicamente parlando, del 2004, perfettamente tradotto da Pierina M.Marocco.

E nonostante non sia recentissimo ho avuto l’occasione di leggerlo e amarlo per due motivi in particolare: prima di tutto per il tema centrale, trattato in modo soave, delicato e commovente, quello dell’eutanasia, della dolce morte. E poi per la deliziosa ironia di cui è pervaso, soprattutto nella descrizione dei caratteri, e per la splendida storia d’amore, un patto eterno d’amicizia e di solidarietà, che lega i due protagonisti principali, Johan e sua moglie Mai.

“…penso che sia mostruoso costringere una persona a continuare a vivere contro la sua volontà. Mi sembra mostruoso che malati terminali in preda ad atroci sofferenze non vengano aiutati a morire quando essi stessi lo vogliono. Quando lo richiedono espressamente, intendo dire. Tu parli di dignità. Non esiste dignità, Johan. Chi sta per morire, vecchio o malato che sia, o in entrambi i casi, viene ridotto allo stadio infantile, prima dalla natura, poi dalle strutture sanitarie. R questo, secondo te, lo si può definire rispetto per la vita umana? No, lo so che non la pensi così. E non voglio che questo debba succedere a te. Non lo voglio. Perché è l’esatto contrario di tutto ciò che è bello, buono e vivo”: questo dice Mai al suo amatissimo marito Johan quando è ancora lucido e in grado di intendere e di volere, parole pesanti come macigni.

Ringrazio Linn per queste sue parole e per tutte le emozioni e i sorrisi che mi ha regalato con il suo libro che mi danno il desiderio di leggere anche gli altri da lei creati.