Orfeo ed Euridice, in rima baciata, di Monica Castiglione
http://dilloconunarima.altervista.org/orfeo-ed-euridice/
Viveva un tempo nell’antica Tracia
Un giovane famoso non certo per l’audacia
Ma noto a tutti per l’armonia
Della sua musica e poesia.
Orfeo era il giovane chiamato
E di Euridice era innamorato:
Una fanciulla dalla triste sorte
Perché col morso di una vipera trovò la morte.
Orfeo non si voleva dar pace
E negli inferi scese audace,
Ammansì con la musica i mostri infernali
E arrivato al cospetto dei regali,
Ade e Persefone esattamente,
Chiese indietro la sua sposa ardentemente.
Gli dei presi a compassione
Lo esaudirono ad una condizione:
Orfeo non si sarebbe dovuto voltare
Ma guardando avanti doveva camminare
Finché tra i mortali di nuovo giunto
Ad Euridice si sarebbe ricongiunto.
Avanzando senza sosta il nostro artista
Dallo sconforto fu preso alla sprovvista
E appena dal sole fu abbagliato
Pensando sulla terra di essere arrivato
di scatto ahimè si voltò
Ed Euridice agli Inferi tornò
Vide infatti nel voltarsi
L’ombra dell’amata dileguarsi.
Sulla terra Orfeo addolorato
Canto’ il suo dolore disperato
Ed ancora lo rammentano nel tempo moderno
Per le melodie rivolte al suo amore eterno.
Autore?
” io “… *________*
ieri sera dopo la lettura del tuo post, ho improvvisato questa versione. Conosco i Miti, sono pagano, di religione Mitologica e anche un poco poeta orfico (ma solo per gli amici)
Il poemetto l’ho iniziato alle 21,00 in risposta e sullo stile della poetessa. La data che riporto alla consegna è delle ore 23,47. Poi mi sono perso altrove fino alle ore 01.30 del mattino.
Rileggendomi, noto un sacco di errori di grammatica(verbi) Improvvisare non permette finezze; ma se vuoi, posso riprenderla ed elaborare una versione più completa e più accurata, magari meno baciata della poetessa che ha elaborato la sua versione molto carina e in rima.
Sempre se vuoi, ti faccio un pdf e te lo spedisco e lo pubblichiamo sui nostri rispettivi siti o magari… no, sul tuo si, è meglio, visto che è più specifico. Metterò sul mio Blog un link che porta a te. (Nel mio tratto di altro e di specifico sull’Arte del 1900: Avanguardie) .
Ti va?
Se si, mandami una risposta anche x e.mail, oppure,scrivila qui sotto, tanto la notifica mi arriva direttamente sul Blog.
ciao
FiloRossoArt
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certo che mi va, eccome 🙂 rielabora e manda che lo pubblico subito ❤
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ok!
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Gentile Daniela D,
sono finite le vacanze natalizie e sto continuando l’elaborazione del Canto orfico dedicato a “Orfeo” secondo FiloRossoArt, compito che mi son preso nella nostra scorsa corrispondenza.
Nella stesura dei paragrafi da sviluppare la cosa si sta rivelando impegnativa in quanto, il tema, appartenendo alla Tragedia greca, non può essere interpretato diversamente dai suoi parametri generali, e quindi, nella stesura dei vari Canti, (saranno diversi) la cosa si complica in quanto ho individuato l’elemento chiave della tragedia che nessun filosofo o poeta ha mai trattato, origine delle motivazioni sulla discesa negli inferi di Orfeo.
Che sia l’Amore la motivazione della discesa penso che sia vero, …. “ma l’amore di chi?”
Qui sta il giallo nella tragedia di Orfeo.
Quando Orfeo canta e decanta con la cetra diamantina, che cosa narra nei suoi canti per affascinare ADEs e Persefone al punto di donargli la resurrezione di Euripide? Quali argomentazioni dell’amore ha decantato Orfeo per stordire le due potentissime divinità dagli inferi?
Ecco su questo svilupperò l’opera.
La cosa migliore sarebbe mandarle il primo Canto abbozzato e poi altri successivi relativi la scoperta d’amore tra Orfeo e d Euripide, Se amore c’è stato, bisogna dimostralo, e per fare ciò , un poeta orfico deve preparare il lettore all’incantesimo del primo Canto: la magia che vuole due anime sconosciute innamorsi senza capire cosa le stia succedendo quando senza aspetto si spalancano le cataratte del cielo restando avvolti in quella luce sconosciuta nella quale si lasciano andare fiduciosi rapinare con affetto ecc ecc
Tale scenario deve iniziare fuori dagli inferi, per cui, per riavere indietro il proprio amore rapito dalla Marte, un Argonauta come Orfeo, sull’esempio dei suoi compagni di viaggio sfiderà la malasorte degli Dei affrontando il peggiore dei menasfiga: ADEs, ma non con la forza in quando sa essere impossibile la Gloria, ma userà l’amore sconosciuto che gli ha fatto conoscere Euripide sapendo quel Dio di Morte sprovvisto di simile straordinaria arma. .
Il Canto di Orfeo altro non è che una delle grandi imprese degli Argonauti, e ad essi va ricondotto per comporre quell’Opera Epica che si è persa nel tempo in quanto Orfeo è un Argonauta.
La Tragedia Greca è l’insieme delle imprese di Argonauti in viaggio nell’universo divino.
Orfeo avrà la sua giusta corona d’alloro per un opera d’amore universale che va oltre la sua bella e amata Euripide. Orfeo insegnerà alla Morte ad amare e ce la farà, come fecero tutti gli Argonauti che si sacrificarono battendosi in Vita per la Morte e liberare il genere umano dalle Tragedie.
Se interessata mi dia un recapito elettronico anonimo dove spedirle volta per volta il materiale, visionarlo insieme e visto che siete insegnante, correggerlo. Tanto poi vi apparterrà…
cordialmente
FiloRossoArt
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grazie per questa sua spiegazione così dettagliata e per l’impegno che sta profondendo in questa sua opera, sarò ben felice di leggerlo, la mia mail è pubblica ed è danieladomenici57@gmail.com
la ringrazio in anticipo, Daniela
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Ok!
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Veramente?…. carina questa versione.
Io ne conosco un altra per arricchire la memoria sul Mito.
(ci provo, m’imporvviso)
D’Orfeo, ricordo diversamente,
la storia dei risorti al presente,
lui, che di canto e cetra fu maestro
disceso negli inferi dei maldestri
che Euripide rosata, gli fu recisa
al mondo dei viventi, vergine e figlia
dannandosi Orfeo l’anima di pianti.
E dal Vate ricevette sottovoce i consigli
che dai morti è possibile tornare vermigli
ma solo chi sappia intonare bei canti
alla bella Persefone rapendola d’incanti
così, per amore, Orfeo volle sfidare la Sorte
incantare il cuore della bella sposa di Morte
e che se mai. non fosse riuscito o piaciuto
lasciarsi morire in eterno, senza voce e muto,
accanto a colei che stava con madre propria
scontando eternamente senza carne e ossa
la pena di chi ombra non vedrà più la luce
e dei volti belli amati soffrirli a rinunce
che sagome d’ombre ADEs ci riduce
meditando sui peccati che ci addice.
Orfeo, deciso, affrontò i luoghi inferi
arrivando via nave alle isole Lipari
partito da quel mare che d’azzurro adduce
rendere più splendenti le isolane terre sicule
e da là, verso l’onda lontana chesi fa nera e cupa
erettosi polena con certa sonante a prua
intona da prima le prossime note soavi
dediche al cuore di donna ma di altro sposo,
senza pudore offendere l’ira della Morte
che di medesimo amore orfico volle rapirla
dalle erbette la vergine di stirpe olimpica
per degnarsi come gli Dei tutti di una sposa
che ratto senza testimoni col funesto carro
volle brandire sua la povera fanciulla
che disperata aiuto invocava con intorno nessuno
dove i chicchi di melograno non sfiammarono
la gola arsa dalle urla e salato pianto,
veste strappate da artigliosi graffi forti
guardando quel suo signore nero bruno
al quale non conviene reazione alcuna
per non subire eterna pena capitale.
“Non ti amerò mai! “ disperata piangeva,
mentre il sovrano delle tenebre attendeva
e mosso da compassione spezza in due
mezze la melagrana offrendola ad ambedue
che il bel musetto dalla gola bruciata
spigolava dei chicchi uno, amareggiata,
e il conforto alla gola poco dissetata
altri chicchi alle labbra portava deliziosi
che la bocca bella arrossata dai rubini
accendeva di passione ancor piu il Signore
che mai nei suoi inferi vide una sibbella
leggermente spettinata da lotta ribelle,
guardarlo con mansueti occhioni bovini
degni dei suoi temibili destrieri di crini
che per quegli occhi amabili la chiese sposa
rendendola sovrana del suo macabro regno
offrendolo in dote paritetico in pegno,
se ospitato nel cuore suo di vergine ,
tenere per se solo la falce della Morte
lasciandole lo scettro della Resurrezione.
“No! Non mi piace qui! Non ce la luce
e non c’è la mia mamma… sarà in pensiero lo sai?”
Così narrava Orfeo pizzicato dalla sua cetra
che da gorghi attirato sotto, le legnose prue,
con l’ultimo respiro profondo d’aria trattenuta
sperava come i marini, di ADEs compassione
magari respinto in alto ancorato crocefisso
a fasciami legnosi svelti da gorghi marini.
Orfeo immobile alla sua cetra abbracciata
discendeva a candela i profondi abissi.
A nel buio silenzioso grave di pentimenti
dove le anime mute meditano risentimenti,
come lucciole estive pizzicate note scintille
attiravano spalancati occhioni neri sfavilli
della bella Persefone, unica viva tra le morte,
la curiosa gioia infantile di movimentate note
che dal pontile dello Stinge pervienro con voce
di una cetra umana pizzicante corde soavi
rendendo gradevole il regno dei defunti
magia di un poeta incantatore di “Unti”
rizzando in piedi la sovrana affascinata
della sopresa arrivata dal regno dei vivi:
“Daiii… E’ un tuo dono Mio Signore?”
ADEs non rispose, poi: “Huf! Si sa
i poeti sono immortali anche da morti!”
“Allora mio Signore, c’è spettacolo stasera?”
“Pare di si , ma non lo conosco l’artista.”e l’autorizza.
I demoni fanno spazio in tondo davanti al trono.
Canta la cetra, canta e tutti incanta:
“Mia bella Sovrana dei moti immobili
sposa rapita dal Sovrano dei Torti
che tutto ci vuole sotto zolle distesi
come semi deposti in attesa dei venti
che rifiorire sanno in verdi germogli
accarezzando i novelli prati spogli
ove i vostri piedini giocando a palla
da fiori mai pressi, tenendovi sollevata
per fine leggerezza vostra, mai calpestati,
ridendo in coro facendovi solletico
profumandoveli di lavande e viole,
mammole e margherite sparse
prelibate ai miti ruminanti
come alle allodole decantati
dai cieli primaverili e castani tersi
come i vostri occhi belli dispersi
qua e la volti alle meraviglie, ignara
che la Sorte vi osservava nascosta
dai silvestri boschi fitti ai confini
profumando arie i pini marini
e al rombo dei zoccoli sonanti,
voltatavi per capire l’ardire dei tali
foste per amore e non dispetto rapita
portata nei regno dei morti viva
unica carne amabile tra i defunti
senza piu corpo.
Mia Sovrana, da Dea a devoto…
quello del vostro signore fu amore
patteggiando a lungo la liberazione,
lo so, conosco il pianto di Demetra
madre vostra delle Messi dorate
della quale il suplizio vi narrerò poi
del suo amore per voi e le umiliazioni
che dovette subire cercandovi
come io a cospetto farò del pianto
per amore di Euripide, quell’ombra là
che ascolta con gioia la voce mia
abbracciata alla madre sua infelice
come quella del vostro Signore
che spera di trovarvi in amore degna.
“L’azione del ratto vostro, fu amore
desiderandovi di cuor ADEs Signore”
“Orfeo, Dove avete imparato questa canzone?”
Dal vostro cuore di sposa mia signora,
e le ceramiche gote pallide si tintesi di rosa
non sfuggirono all’arcigno sguardo di ADEs
che in se sorride sulla avveduta sorpresa
della sua bella amata sposa divenuta emotiva e
che l’imbarazzo al sovrano non seppe nascondere
guardandolo atterrita, con occhi mori profondi,
pensando d’essere fraintesa, di lui rea traditrice
avvampandosi ancor più infuocate le belle gote
scopertasi per quel sentimento nascosto da tenere
il dubbio di una disobbedienza impraticabile
coi morti e indegna per una sovrana.
Persefone: “Non fraintendere vero?”
ecc… ecc..
Ecco. Intorno alla figura della madre Demetra e della figlia Persefone si genera il Mito. Orfeo comporrà un canto dolcissimo rimembrando in Persefone l’amore di sua madre, incrociandosi ADEs. Così, a fine del canto, Orfeo ricevette dallo scettro di Persefone il dono della resurrezione della sua amata prossima sposa,… ma… a una condizione: “Chi esce dagli inferi non deve voltarsi indietro… mai!”. E Avvenne che quando la madre nel sapere che si sarebbe eparata definitivamente dalla figlia, incominciò a invocarla e disperarsi nel chiamarla indietro. L’abbandono della mammae da parte delle figlie, è una dolore allucinante per ambedue. Il figlio maschio, ci passa… ma la figlia perduta per sempre, per le madri diventa “Tragedia”.
Cosi avvenne che, premiato Orfeo e Euripide, ella straziata in cuore dal pianto della madre lasciò la mano di Orfeo per correre indietro e abbracciare la madre, stringendosi forte al petto.
Orfeo rimase di stucco, si era voltato anche lui per contemplare da poeta quell’amore spirituale femminile per la progenie, ma non ne parlò mai più. Pare divenne muto.
Persefone quindi, guardato il suo Signore cupo: “Hai capito adesso il dolore che ho provato quando mi hai rapita dalla mamma e il dolore della poverina quando mi cercò per mesi e mesi? Mascalzone! Ricordatelo per sempre”.
ADEs crucciando il ciglio nero oscuro da contorti pensieri, seppe lo scettro della Resurrezione in buone mani, buone perché, Lui, che conosce ogni pensiero recondito delle menti, sapeva già il finale. Lui stesso volle che la propria Sposa si comportasse cosi,
“Nessuno senza il suo permesso può lasciare il regno dei morti”.
Un giorno però avverrà e ADEs lo sa. Lo ha promesso a un condannato a Morte che si è presentato tutto piagato da testa ai piedi morto sul corcifisso di ADEs in dotazione ai romani, e che alla domanda “ Chi è stato?’” senti il condannato senza vendetta chiedere perdono per tutti… Demetra quel giorno non sapendo che fare, lasciò dalle sue mani lo scettro deponendolo nelle mani del suo Signore, sentendo pronunciare un Verdetto Eterno segreto.
Poi, rivolto a Persefone: “Quel giorno avverrà e sarai libera”
Rispose Persefone: “No! Non ti lascio. Sei antipatico!… però ti volgio bene.”
Ade sorrise lievemente riversando il suo sorriso raro negli occhi di lei… compiaciuta.
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deliziosa, grazie davvero, mi piacerebbe pubblicarla come post nel sito, chi ne è l’autrice o autore? 🙂
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