“il commercio della carne umana è avvilente”, di Ester Rizzo

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Sicuramente è una delle più conosciute tra le Madri Costituenti e il suo nome è collegato alla legge sull’abolizione delle c.d. “case chiuse”.

Sono tanti quelli che sconoscendo la sua storia personale, pensano che sia stata una “gretta benpensante’ degli anni 50” che non tollerava le prostitute. Invece fu una delle donne più rivoluzionarie d’Italia. Ripercorriamone sinteticamente la storia.

Lina Merlin, all’anagrafe Angelina, era nata a Pozzonovo, in provincia di Padova, nel 1887. Dopo la maturità magistrale, per motivi di studio, si trasferì in Francia, a Grenoble. In seguito conseguì la laurea in Lingua e Letteratura Francese. Diventò insegnante, socialista e tenuta sotto controllo dalla polizia. Collaboratrice di Matteotti, quando nel 1925, quest’ultimo venne ucciso, Lina venne arrestata.

Ritornata in libertà venne licenziata perché si rifiutava di prestare il giuramento di fedeltà al regime. Iniziò così il suo peregrinare per varie città italiane ed a Milano iniziò a collaborare con Filippo Turati.

Venne nuovamente arrestata e condannata a cinque anni di confino in Sardegna, in Barbagia. In quell’occasione, il prefetto di Nuoro le consigliò di scrivere al Duce “una breve lettera chiedendo semplicemente di essere liberata” Angelina rispose: “Vi sono tanti uomini che hanno dimenticato la dignità. So e sento di poterli scusare. Ma è bene che essi sappiano che in mezzo a tanti uomini che hanno poco coraggio, vi è una donna che ne ha per sé e per loro”.

Restò così in Sardegna dedicando il suo tempo a insegnare alle donne del luogo a leggere e scrivere. Rientrata a Milano, prese  parte attiva alla Resistenza con i “Gruppi di difesa della Donna”. Venne catturata dai nazisti ma riescì a fuggire. Dopo la fine della guerra si trasferì a Roma alla direzione del Partito Socialista Italiano.

Nel 1946 venne eletta all’Assemblea Costituente. A lei, insieme alle altre si deve la dicitura all’art. 3 della Costituzione “senza distinzione di sesso”. E a lei si deve la chiusura dei bordelli con un iter parlamentare durato dieci anni.

Così scriveva: ”Quando si traversa il centro di Roma si è colpiti da file di soldati e marinai alleati che sostano lungo le strette vie su cui si aprono le case di tolleranza. E’ uno spettacolo non meno triste di quello degli sciuscià inginocchiati ai piedi ben calzati dei vincitori o delle bancarelle polverose su cui si offrono i generi del mercato nero. Il commercio della carne umana è però più avvilente di quello dei viveri e degli indumenti. Commercio non libero, come quello dei lustrascarpe, ma regolamentato dallo Stato, che ne incamera una parte dei benefici. Il mercato delle donne dietro le persiane chiuse appare insopportabile e non per puritanesimo. Migliaia di donne vivono prostituendosi, non escluse quelle delle classi alte, che la guerra e l’occupazione hanno impoverito, ma le più degne di pietà sembrano le tesserate, prese in una rete di visite mediche, di sorprese  della polizia, di soprusi delle tenutarie, di sfruttamento dei lenoni e che restano bollate, schedate come detenute, anche se interrompono il mestiere. Per le venditrici libere si tratta di una scelta…ma per le altre è come un lavoro forzato. Come possono le autorità rilasciare una tessera che definisce ufficialmente una donna prostituta?…che genere di figli avete allevato se non sanno avere una donna se non servita su un piatto come un fagiano?”

Nel 1948, Lina Merlin fu la prima donna eletta al Senato. Nel 1958, eletta alla Camera, fece parte della Commissione Antimafia, ma in quell’anno iniziò la “rottura” con il Partito. Lina, militante intransigente non era ben vista e si palesarono ostilità e inimicizie. Allora lei, stracciò materialmente la tessera dichiarando di non poterne più “di fascisti rilegittimati, analfabeti politici e servitori dello stalinismo”. E’ morta a Padova nel 1979. In Italia  alcune strade sono a lei intitolate come a Rovigo, Chioggia, Crotone. Per chi volesse approfondire la sua storia sappia che la sua autobiografia, che non era stata resa pubblica, è stata pubblicata nel 1989  dalla senatrice Elena Marinucci: da donna a donna per non dimenticare.