La vita in piazza, di Maria Concetta Distefano, recensione di Daniela Domenici

Un anno dopo averla “incontrata” virtualmente con il suo “Le amiche del ventaglio”

https://danielaedintorni.com/2018/09/16/le-amiche-del-ventaglio-di-maria-concetta-di-stefano-recensione-di-daniela-domenici/

torna a “trovarmi” Maria Concetta Distefano con “La vita in piazza” che ho letteralmente divorato nonostante le sue 350 pagine che volano via con ininterrotti sorrisi come la sua prima opera.

E ancora una volta Distefano ci regala i ritratti, splendidamente cesellati con la sua straordinaria ironia, leggera e sempre rispettosa e colma di affetto, di tante persone che si trovano a interagire con la protagonista, Irene, una delle “amiche del ventaglio”, scrittrice in cerca d’ispirazione per il suo nuovo romanzo, la quale riesce a portare, a modo suo, sempre la pace (questo vuol dire Irene in greco) in tutte le vicende in cui si trova coinvolta suo malgrado; e così conosciamo Beatrice e Otilia, Pervinca e Geronimo, Irina e Adele, Simona e Vera, Ornella ed Enrico, Assuntina, Teresa, Gualtiero, Terenzio, tutte/i loro, in qualche modo, ricevono un suggerimento o un aiuto da Irene che diventa la loro “dea ex machina”, l’angelo di questa “vita in piazza”.

E fantastica è Agatha, l’alter ego di Irene, che Distefano fa “dialogare” con la sua padrona in modo assolutamente originale: divertentissima.

La città di Torino, come nel primo romanzo, è descritta con dettagliata conoscenza intrisa di profondo amore, è anche lei un personaggio, non semplicemente un setting, una location (l’autrice e la sottoscritta amano l’inglese…). La Sicilia, terra natale di Distefano (e anche mia), trova spazio nei deliziosi dialoghi tra Pervinca e Assuntina che nonostante siano tanti anni che vive a Torino ha mantenuto la “calata” sicula nel parlare.

Concludo con queste parole dell’autrice che mi trovano pienamente concorde “Quella settimana appena trascorsa l’aveva catapultata nella vita di individui del tutto sconosciuti prima di allora e in quella di altri con i quali aveva sempre e solo scambiato poche, superficiali parole. Durante quegli ultimi sette giorni si era sentita parte di qualcosa di cui solo in quel momento stava comprendendo il significato: di una rete di socialità reale fatta di relazioni umane vere che l’avevano profondamente arricchita e fatta sentire più viva di prima. Le nostre esistenze, si disse, hanno bisogno di una sola cosa: humanitas”: tutti/e noi abbiamo bisogno di più humanitas, grazie Maria Concetta!!!