Tree and leaf, di J. R. R. Tolkien, recensione di Loredana De Vita

J. R. R. Tolkien: Tree and Leaf – Writing Is Testifying

“Tree and Leaf” di J. R. R. Tolkien (Harpercollins, 2020) nella sua nuova edizione contiene oltre “Tree and Leaf”, un saggio sulle origini, il significato e il valore della Fairy-story, anche il poema “Mythopoeia”, sulla costruzione del mito, e “The Homecoming of Beorththelm’s Son”, un poema drammatico.
Tolkien si interroga e interroga su che cosa si intenda per Fairy-story e che cosa la distingua da una favola qualsiasi. Per Faërie si intende la terra dove vivono le fate, gli elfi, ma anche tutto il resto del creato inclusi il sole, la luna e il mare. Questo per dire che si tratta di un mondo a parte in cui la vita si svolge come noi la svolgiamo nel nostro mondo, solo con regole proprie. In questo mondo l’incontro con gli esseri umani è spesso dovuto al caso o alla necessità, un incrociarsi, insomma, più che una condivisione.
Per tentare una spiegazione, si potrebbe dire che una Fairy-story così come Tolkien la intende, non ha una definizione storica concernente gli elfi e le fate, ma sulla sua natura di Faërie, cioè il pericoloso Reame e la sua aria che diventa un modo di essere e di vivere. Una delle qualità di questo luogo è che non può mai essere completamente descritto, sebbene sia completamente percepibile.
Tolkien, nel saggio Tree and Leaf, spiega che cosa non è una Fairy-story per rendere più comprensibile che cosa essa sia in effetti. Una Fairy-story non è una storia di viaggi, nè l’invenzione di un sogno per spiegare un mondo fantastico che non si può comprendere, e nemmeno una storia di animali sebbene la Natura tutta partecipi della narrazione.
Le Fairy-story hanno un origine molto antica che riguarda il mondo intero e non solo una parte di esso, difatti, subiscono influenze reciproche per cui, per comprenderle, è necessario riuscire a conoscerne l’invenzione, l’eredità, la diffusione. Tra questi elementi conoscitivi, l’invenzione è quello più essenziale.
Una Fairy-story non prescinde mai da tre fondamentali relazioni: Mistico vero sovrannaturale, Magico verso natura, il disprezzo e/o la pietà vero l’Uomo.
Nel periodo in cui Tolkien lavorò a questo saggio, aveva cominciato a costruire la magnifica dialettica del percorso del Signore degli anelli, di certo si può dire che la sua esperienza di scrittura e i suoi studi e le ricerche abbiano contribuito alla stesura di questo interessante studio sulla Fairy-story.
Tolkien si interroga anche su quale sia il valore, oggi, di una Fairy-story e se sia vero che sia un genere legato solo all’infanzia o ai bambini in genere. La sua conclusione è che il suo valore sia enorme e non solo per i bambini, ma anche per quegli adulti che sono ancora capaci di costruire il proprio mondo basandolo non sulla possibilità di un mondo fantastico ma sulla sua desiderabilità.
Una Fairy-story, in definitiva, ha il valore di ogni forma letteraria, aggiungendo, però, a tale valore anche il riconoscimento di un luogo che sia fantasia, rifugio, fuga, consolazione.
Nel poema Mythopoeia, Tolkien discute della costruzione del mito e affida l’arduo acompito a due protagonisti: Philomythus, che ama il mito e Mysomithus, che odia il mito.
Nel poema drammatico “The Homecoming of Beorththelm’s Son”, Tolkien narra la storia della disastrosa Battaglia di Maldon nel 991 durante la quale il il Comandante Inglese Beorhtnoth fu ucciso.
Per gli amanti della letteratura inglese, delle Fairy-story e di Tolkien, questo libro può essere un interessante e piacevole incontro con il mondo “desiderabile” che hanno imparato a conoscere.