quando un diritto è un diritto? di Loredana De Vita

When Is a Right a Right? – Writing Is Testifying

Sto studiando, per motivi di ricerca per un mio lavoro, in modo più approfondito la storia degli “in-díos” (lo scrivo volutamente in questo modo perché il termine non indicava la confusione tra quel popolo e la ricerca di Colombo per le Indie, ma il fatto che quei “nativi” venissero conquistati in nome di Dio) e sempre più mi domando che cosa noi occidentali abbiamo fatto della grandezza del pensiero della nostra civiltà per ridurci a meri usurpatori e violentatori di popoli, culture, territori. Quello che abbiamo stabilito è una sorta di regime totalitario (non dichiarato tale) che si impone su larga scala, ma è anche quello stesso desiderio di presupponenza che ora ci sta conducendo all’autodistruzione nell’evidente incapacità di riconciliare le parti all’interno dello stesso mondo dell’ovest.
Sono molte le domande che mi sto ponendo mentre studio e ricerco, sono molte le evidenze che mi trovo dinanzi senza poterle confutare, sono molte le disillusioni che mi affliggono in questi giorni di studio e analisi perché la verità che sovrasta ogni sensazione nella visione della relazione con cui il mondo occidentale (in generale) si pone dinanzi al resto del mondo è quella di una supremazia assoluta e senza bisogno di spiegazioni e motivazioni.
Molte cose andrebbero riviste e pensate con l’attenzione di chi non si pone al di sopra o dinanzi e nemmeno di fronte, ma semplicemente accanto. Molti tradimenti vedo perpetrati proprio contro quei valori e principi di cui una parte del mondo ha creduto di essere portatore rispetto al vuoto circostante. Eppure, non sono che menzogne che probabilmente raccontiamo a noi stessi per non provare quel sentimento di vergogna che dovremmo provare invece e dal quale potremmo riscattarci semplicemente nel riconoscimento del diritto di ogni popolo (e di ogni persona) di essere sé stesso, con la propria cultura (lingua, religione, tradizioni, etc.), il proprio pensiero, il proprio diritto alla scelta e alla vita.
Il che mi porta a pensare al diritto, ai diritti. Quando un diritto è un diritto? Cioè, quando un diritto è riconosciuto come tale e da chi? Si sa, se i diritti li stabiliscono i più forti e lo fanno in base ai loro interessi e li modificano a proprio piacimento, non stiamo parlando di diritti, ma di legalizzazione dei soprusi.
Un diritto serve a regolarizzare le relazioni tra pari (questo è, infatti, il primo problema: essere in grado di percepirsi gli uni gli altri come “pari”) affinché tutti vengano trattati nello stesso modo, tutti possano appellarsi alla legge e difendersi, tutti possano acquisire una forma di relazione con l’altro in cui il bene e non il male reciproco ne siano la misura e ne costituiscano l’equilibrio.
Troppo spesso, però, il diritto, sebbene ben impostato, viene sfruttato in favore dei più forti mentre, paradossalmente, sono proprio le fasce considerate più deboli che hanno più bisogno di essere tutelate. Invece, come scriveva G. Orwell in Animal Farm, c’è sempre qualcuno che è più uguale degli altri.
Questi studi mi fanno riflettere molto. Sono cose che sapevo, ma non conoscevo. Tutti sanno e molti negano le violenze perpetrate contro gli indíos (così come quelle contro altri popoli e non solo), tutti sanno che le storie dei cowboys e degli indiani non sono sempre narrate dalla prospettiva della realtà quanto da quella di un immaginario fantastico in cui prevale il desiderio di avventura. Quanti, però, si chiedono a quale costo? Quale il prezzo delle nostre fantasie? Quale la responsabilità orribile di cui nel passato generazioni si sono macchiate in tante parti del mondo del sangue dei più deboli e per il solo desiderio di possesso, ricchezza, diffusione del proprio credo?
Ebbene, sto studiando questi temi per un motivo ben preciso, ma la conoscenza e la coscienza che sto sviluppando andrà ben oltre il mio lavoro in sé. Se generazioni hanno ridotto “il diritto” a zerbino dei propri malesseri e delle proprie sfrenate e irriverenti ambizioni, noi siamo ancora in tempo per avviare un corso nuovo in cui l’umanità non vada sprecata, ma anzi accresciuta e incarnata e in cui l’individualità (che sfocia nell’individualismo) non debba cantare vittoria sull’Uomo.