accadde…oggi: nel 1966 muore Giana Anguissola, di Sara Bonomini
Negli anni che vanno dall’immediato dopoguerra fino alla fine degli anni Sessanta, Giana Anguissola (Piacenza 1906 – Milano 1966) è una delle scrittrici italiane per ragazzi – ma sarebbe meglio dire per ragazze, vista l’epoca – più amate, conosciute e vendute d’Italia.
Anche nei decenni successivi la sua produzione letteraria è premiata da una notevole fortuna editoriale: i suoi titoli più famosi sono rimasti nei cataloghi Mursia fino a pochi anni fa, come Priscilla, edito nel 1958 e riproposto nel 1995, Il diario di Giulietta (Editrice La Sorgente, 1961) ristampato fino al 1993, Violetta la timida (Mursia, 1963) ancora pubblicato nel 2001, fino a Gli eredi del circo Alicante, che per la sua attualità è stato ristampato l’ultima volta nel gennaio 2020 (Mursia). La casa editrice piacentina Scritture ripubblica nel 2010 anche Il romanzo di molta gente (per adulti), che fu edito la prima volta da Arnoldo Mondadori nel 1931 valendo alla scrittrice la medaglia d’oro “Stanze del Libro” del Premio Viareggio come miglior autrice esordiente.
Nonostante la popolarità che segnò la sua prolifica carriera – fu autrice di oltre trenta romanzi per ragazzi e di una ventina di opere per adulti -, Giana Anguissola è ormai annoverata fra gli “autori dimenticati” e la sua opera assimilata a quello spazio-tempo ormai remoto che fu l’Italia dal dopoguerra agli anni Sessanta. Un’Italia prima impegnata nella ricostruzione, sulle rovine morali e materiali lasciate dalla guerra, e poi dinamica, piena di aspettative e segnata dal miracolo economico, ma ancora fondata su un sistema di valori tradizionali che la scrittrice non mette apertamente in discussione.
Dalla provincia povera ai salotti milanesi, la ragazza timida diventa una donna indipendente.
Ma Giana Anguissola non è affatto una scrittrice “d’altri tempi”. È una donna indipendente e affascinante, timida figlia della provincia popolare (fino a vent’anni visse in via della Maddalena, a Piacenza) che trova la determinazione per sottrarsi alla strada (da) maestra che era stata prevista per lei al fine di realizzare la sua vera ambizione: diventare giornalista. E lo fa a soli 16 anni “con assoluta sfacciataggine”, come lei stessa racconterà, presentandosi alla redazione milanese del Corriere della Sera con in tasca una novella e una dose massiccia di coraggio. Prende così il via la collaborazione con i settimanali illustrati del Corriere della Sera, Il Corriere dei Piccoli più d’ogni altro, che porterà avanti per tutta la vita.
Alla fine degli anni Venti, l’Anguissola lascia la piccola città e si trasferisce a Milano. Per potersi mantenere, ostinata com’è, si trova un lavoro da aiuto scenografa e costumista al Teatro La Scala, un’esperienza che riverserà in Priscilla (1958), uno dei suoi romanzi più celebri.
Anche quando sposa il fine letterato e traduttore Rinaldo Kufferle (da cui ha il figlio Riccardo), la sua prima preoccupazione è comunicare all’editore la ferma intenzione a continuare a lavorare e scrivere anche dopo il matrimonio.
Negli anni 30 e 40 è giovane, bella e famosa, e insieme al marito si muove con disinvoltura fra i salotti milanesi e la vita glamour della Versiglia. Gioca sulla sua possibile parentela con la pittrice Sofonisba Anguissola, ma non perde la concretezza e l’inconfondibile “r” della sua provincia.
Durante la guerra, con la famiglia, l’Anguissola si ritira prima sulla riviera ligure e poi in una fattoria biodinamica di Varese, dove frequenta un gruppo di intellettuali illuminati con cui si dibatte di letteratura e antroposofia steineriana. In questo periodo, probabilmente, l’autrice approfondirà le sue riflessioni sulla valenza pedagogica della letteratura per ragazzi.
Dal dopoguerra in poi, Giana Anguissola torna a Milano, ma trascorre le estati e i fine settimana a Travo, dove abita l’antica torre del castello e intesse relazioni e amicizie con gli abitanti del paese.
Per tutta la vita dimostrerà la sua vitalità da donna proiettata al futuro, non solo dando voce, e inchiostro, alla sua inesauribile vena creativa, ma anche sperimentandosi con molteplici linguaggi espressivi: dal fumetto al fotoromanzo, dalla radio fino alla nascente TV dei ragazzi.
Ragazze d’altri tempi, con problemi, emozioni e valori senza tempo
L’universo messo in scena dal Giana Anguissola nei suoi romanzi più famosi è quello degli adolescenti e preadolescenti dagli anni Trenta ai Cinquanta. Un modo lontano da quello attuale, popolato da famiglie del popolo o della buona borghesia, con padri severi e madri casalinghe dedite a partite a canasta o famiglie operaie alle prese, anche allora, con disoccupazione e problemi economici. Ragazze che frequentano una scuola in cui si indossano i grembiuli, dove vige una netta distinzione tra maschi e femmine e sussiste un timore reverenziale nei confronti degli insegnanti.
Ma su uno sfondo (magistralmente dettagliato) che oggi ha il sapore del romanzo storico, agiscono eroine che – come l’autrice -, guardano avanti e prendono in mano il proprio futuro. Adolescenti che vivono i sentimenti senza tempo generati dalle amicizie giovanili – affetto, gelosia, rivalità -, saggiano le responsabilità del mondo adulto, provano i primi turbamenti amorosi. Ma soprattutto ragazze che per realizzarsi non ambiscono soltanto a diventare mogli e madri, ma desiderano esprimere i propri talenti: come Violetta che supera la “sindrome del coniglio” per lavorare come giornalista, Priscilla che si impegna per diventare ballerina a La Scala, Pierpaola che desidera diventare ingegnera e dirigere l’azienda di famiglia (Coda di cavallo, La Sorgente, 1960).
Nei suoi romanzi Giana Anguissola non ingaggia una battaglia esplicita contro i valori tradizionali, contro i padri e i preti che ritengono che le mogli debbano stare a casa ad accudire il focolare, o contro le madri proibenti che negano autonomia alle figlie, ma li liquida attraverso i pensieri ironici delle sue eroine, che li sfidano coi fatti procedendo determinate verso i propri obiettivi.
La morale anglosassone e il sense of humour
I valori su cui si focalizza la narrazione e l’azione educativa dell’Anguissola sono forti, pragmatici e trasversali ad ogni tempo: costanza, tenacia, chiarezza d’intenti, affetto, amore, amicizia, generosità, fiducia, onestà. Uno degli intenti dell’autrice è la promozione dell’adulto – aspetto spesso trascurato dalla pedagogia contemporanea -, laddove adulto è colui/colei capace di osservare lucidamente la realtà, di compiere scelte razionali, di mediare, di rinunciare a qualche proprio desiderio quando necessario, e animato da un sano realismo.
La sua morale è solida ma non moralista. Si evince dai suoi libri, la naturale simpatia dell’Anguissola per i poveri, i diseredati (come Alice, la piccola sguattera de Il Signor Serafino), per gli emarginati, i “diversi”, gli afflitti da qualche forma di stigma (come avviene, in modo non stereotipato, ne Gli eredi del circo Alicante). Lo si capisce nel suo prendersela con gli “uomini squallidi” ma non con le prostitute, che guai a mettere in dubbio la loro dignità di Signore.
Questo approccio pragmatico alla vita, insieme alla peculiare ironia alla base della sua brillante tecnica narrativa, avvicina la produzione letteraria di Giana Anguissola alla letteratura giovanile edificante anglosassone. Nei suoi romanzi, il rigore morale e la prosa ricca e arguta sono resi potabili e vivaci da un elegante sense of humour, e credibili dai personaggi a tutto tondo, in cui è facile identificarsi al di là dello spazio e del tempo in cui sono stati concepiti.
La morte prematura, alla vigilia della rivoluzione culturale
Giana Anguissola morì a Milano nel 1966 all’età di soli 60 anni, stroncata dalla recidiva di un tumore al seno, quando la sua ispirazione era ben lontana dall’esaurirsi. Se ne andò lasciando sul comodino l’ultimo romanzo che stava scrivendo, Aniceto e la bocca della verità, che sarebbe uscito postumo, nel 1972, concluso dalla sua editrice e amica Giancarla Mursia Re.
La morte prematura le impedì di confrontarsi con la rivoluzione culturale del ’68, che avrebbe ribaltando i “buoni” sentimenti eterodiretti, come l’ordine, la disciplina e il rispetto.
In pochissimo tempo il modo sarebbe cambiato e una nuova generazione di autori e autrici per ragazzi, da Astrid Lindgren a Bianca Pitzorno, da Roald Dahl a Christine Nostlinger, avrebbe rigenerato l’immaginario dei lettori con una schiera di eroine ribelli e anticonvenzionali. Un passaggio che spazzò via il ricordo delle protagoniste passive della più tipica “letteratura per ragazze” anni 50 e 60 e, siccome si fa spesso d’ogni erba un fascio, segnò anche il declino delle eroine ben più intraprendenti dell’Anguissola.
Molti critici considerano i personaggi della scrittrice piacentina delle vere e proprie figure-ponte tra il passato e le nuove e irriverenti eroine degli anni a venire. Le Priscille, le Violette e le Giuliette si possono considerare le apripista di Pippi, Lavinia o Tea Patata, le sorelle maggiori più responsabili e meno ribelli, più proiettate verso la maturità ma anche meno sole.
Ora che gli anni della contestazione sono lontani e viviamo una società liquida, in cui l’individualismo ha preso il sopravvento sulla “civis” e la disgregazione dei sistemi valoriali omologa i soggetti e li trasforma in oggetti, avremmo forse ancora da imparare dalle eroine “coi piedi per terra” di Giana Anguissola. Ad esempio che il successo val poco se non si accompagna a virtù, generosità e talento, che la morale è altra cosa dal moralismo (e non sopporta alibi), e che ci vogliono occhi aperti e orecchie dritte, per smascherare le ipocrisie del mondo adulto.